Locandina The Shift

The Shift (2019)

The Shift
Locandina The Shift
The Shift è un film del 2019 prodotto in Italia, di genere Drammatico diretto da Alessandro Tonda. Il cast include Clotilde Hesme, Adamo Dionisi, Adam Amara, Jan Hammenecker, Steve Driesen, Myriem Akheddiou. In Italia, esce al cinema giovedì 3 Giugno 2021 distribuito da Notorious Pictures.

La storia di due giovani terroristi che irrompono in una scuola per compiere una strage di coetanei; uno si fa saltare in aria prima del previsto coinvolgendo l'altro nell'esplosione, il quale rimane ferito e viene caricato su una ambulanza dove però si risveglia e ne prende subito il controllo.

La storia di due giovani terroristi. Bruxelles. I 17enni Eden e Abdel irrompono in una scuola di Bruxelles per compiere una strage di coetanei, ma Abdel si fa saltare in aria prima del previsto coinvolgendo Eden nell'esplosione. Poco dopo i paramedici Isabel e Adamo, accorsi sul posto, caricano sulla loro ambulanza un ragazzo ferito e privo di sensi senza immaginare che si tratta proprio di Eden. Quando Isabel si accorge della cintura esplosiva è ormai troppo tardi: Eden si è svegliato e prende il controllo dell'ambulanza, minacciando i paramedici di premere il bottone se non eseguiranno i suoi ordini…

Info Tecniche e Distribuzione

Uscita al Cinema in Italia: giovedì 3 Giugno 2021
Uscita in Italia: 03/06/2021
Genere: Drammatico
Nazione: Italia - 2019
Durata: N.d.
Formato: Colore
Distribuzione: Notorious Pictures
Note:
Presentato in concorso alla Festa del Cinema di Roma 2020.

Cast e personaggi

Regia: Alessandro Tonda
Sceneggiatura: Davide Orsini, Alessandro Tonda
Musiche: Mokadelic
Fotografia: Benoît Dervaux
Scenografia: Igor Gabriel
Montaggio: Simone Manetti
Costumi: Christophe Pidre, Florence Scholtes

Cast Artistico e Ruoli:



Produttori:
Guglielmo Marchetti (Produttore), Joseph Rouschop (Coproduttore), Daniele Mazzocca (Produttore delegato), Andrea Borella (Produttore esecutivo), Francesca van der Staay (Produttore creativo), Karim Cham (Produttore esecutivo), Andrea Borella (Produttore esecutivo), Arlette Zylberberg (Produttore associato), Philippe Logie (Produttore associato), Laura Marongiu (Produttore associato), Daniele Mazzocca (Produttore delegato), Valérie Bournonville (Coproduttore)


Soggetto: Davide Orsini, Alessandro Tonda | Casting: Swan Pham, Christophe Hermans | Aiuto regia: Michaël De Nijs | Souno: Yves Bemelmans, Mario Iaquone, François Aubinet, Franco Piscopo | Organizzazione generale: Maxime Maisin, Cesare Apolito.

Immagini

[Schermo Intero]

IL FILM

The Shift nasce dall'urgenza di raccontare l'Europa contemporanea in uno dei suoi aspetti socialmente e culturalmente più drammatici, ovvero lo scontro in seno all'Europa stessa tra Islam radicale e civiltà occidentale, partendo dall'emergenza del terrorismo jihadista per arrivare all'esigenza di governare un processo di integrazione che sappia evitare il condizionamento di ogni tipo di estremismo. 

In una fase storica in cui la paura del terrorismo contribuisce ad alimentare il rischio che l'Europa si abbandoni alle crescenti spinte nazionaliste, The Shift parte proprio da quella paura per costruire un percorso di senso che – opponendosi a ogni generalizzazione e alla strumentalizzazione dell'odio a fini anche politici – riporti in primo piano la necessità irrinunciabile di costruire ponti tra culture o, meglio ancora, tra esseri umani. 

Se la rilevanza del tema non ha bisogno di sottolineature, è peculiare e ambiziosa la strategia narrativa attraverso cui The Shift si propone di affrontarlo, partendo sì dalla ferita ancora aperta degli attacchi terroristici su larga scala, del panico allo stato puro che questi hanno prodotto in tutta l'Europa e che percorre anche l'intero arco narrativo del film, ma compiendo un ulteriore passaggio di approfondimento drammaturgico e quindi tematico, attraverso cui il terrore non viene più solo combattuto ma anche guardato negli occhi.

È esattamente questa la fase che l'Europa e i suoi cittadini affrontano oggi: superato il picco della minaccia targata Isis, ma ancora ben lontani dal sentirsi al riparo dalla violenza fondamentalista, all'ovvia urgenza di difendersi inizia ad accompagnarsi quella di indagare più a fondo le ragioni dell'odio. Ed è questo ciò che accade all'interno dell'ambulanza che fa da teatro principale al nostro film: l'istinto di sopravvivenza e quindi di fuga dei protagonisti, presto frustrato dalla situazione, lascia progressivamente spazio alla necessità respingente quanto ineluttabile di volgere uno sguardo diretto all'aspirante kamikaze, di osservarlo e ricondurre la sua immagine a una dimensione umana, non certo per aprire le porte a qualche inverosimile forma di empatia ma più banalmente perché da lì passano le maggiori possibilità di salvezza.

La protagonista della storia – e il film stesso a un livello più generale – si tengono a ovvia distanza da ogni atteggiamento assolutorio, di comprensione nel senso sia emotivo che razionale del termine, ma devono e vogliono guardare, mettersi faccia a faccia con la deriva integralista perché solo così possono scorgere le aree di fragilità psicologica del giovane jihadista e del fondamentalismo tutto, trascendere l'uomo per scorgerne l'umanità e da qui rielaborare la propria strategia difensiva di lungo periodo. Un lungo periodo che nel film è rappresentato dall'arco della narrazione e nella società occidentale dagli anni che abbiamo davanti. Su queste basi, il film rifugge ogni forma di banalizzazione soprattutto psicologica, così come la riduzione della minaccia terroristica a puro dispositivo narrativo. Il racconto della situazione-limite prodotta da un'offensiva terroristica è volto all'obiettivo di mantenere saldo il legame con la realtà, in primo luogo quella psicologica e comportamentale, da cui certe dinamiche sono guidate e attraversate.

Un lavoro specifico e particolarmente articolato sottende come ovvio la costruzione del personaggio di Eden, il giovane jihadista al centro della vicenda nelle cui azioni, psicologia e biografia convergono istanze diverse e parimenti fondamentali, che spaziano dall'obbligo di esporre senza sconti la condizione radicalizzata del ragazzo al desiderio di esplorarne le fragilità, le paure e l'identità ultima di adolescente…

La scrittura ma anche la messa in scena, il trattamento visivo e la direzione degli attori, garantiscono a The Shift una cifra stilistica che prende le distanze dagli stilemi dei thriller di consumo, affermando con forza la propria identità autoriale ed europea. 

Il percorso del film sul mercato sarà quindi sostenuto e diversificato dai diversi livelli di lettura e modalità di fruizione con cui l'opera potrà essere approcciata, cosa che non significa produrre un film ibrido ma piuttosto un film con uno spessore maggiore e un'identità  forte, un'opera moderna che rifiuti di essere confinata in aree di mercato troppo rigidamente definite e che assecondi la dinamicità, la fluidità della fruizione audiovisiva contemporanea, sia in termini di canali di distribuzione che di bacino d'utenza.

The Shift guarda sì alla tradizione del drama/thriller claustrofobico con forte unità spazio-temporale, ma sceglie i propri riferimenti specifici tra le opere che, come United93 o Captain Phillips, hanno intrepretato il modello con uno stile non patinato, a tratti quasi documentaristico. Riferimenti privilegiati da questo punto di vista sono anche Locke di Steven Knight e soprattutto Lebanon di Samuel Maoz, vincitore del Leone d'Oro a Venezia nel 2009, senza dimenticare l'esempio estremo ma comunque ispirante di Buried. 

Dall'altro lato, il film guarda con convinzione a tutta l'élite dei thriller/crime autoriali europei o comunque indipendenti, ampliando lo spettro delle sue reference a una vasta gamma di modelli – magari lontani per soggetto ma ognuno a suo modo rilevante per determinate scelte stilistiche e per l'interesse verso i conflitti sociali o culturali – che va dal Jacques Audiard di Un prophète al Denis Villeneuve di Incendies.

L'insieme delle ragioni espresse finora rende evidente come il film aspiri a conquistare un pubblico variegato quanto lo è l'insieme di significati drammaturgici e tematici che la storia implica. Pur ammettendo una naturale maggiore inclinazione a un target maschile e giovane-adulto dettata dall'appartenenza di genere, comunque bilanciata da un tratteggio e centralità della protagonista femminile che agevola anche l'identificazione da parte delle potenziali spettatrici, The Shift si rivolge al sempre più vasto pubblico che cerca intrattenimento non fine a sé stesso ma unito sia a un alto livello di qualità cinematografica che allo spessore dei sottotesti, delle riflessioni socio-psicologiche e culturali, dei riferimenti alla contemporaneità. Un pubblico alla ricerca primaria di prodotti capaci sì di generare scariche emotive nel corso della visione, ma anche di sedimentarsi nella memoria e nel patrimonio culturale.

Il film nasce ed è stato sviluppato in Italia da due autori italiani ma la sua natura, geneticamente, è sempre stata europea ed internazionale sia per la storia narrata, in modo particolare nei propri tratti di genere, che anche e soprattutto per i temi toccati. 

Una storia che si svolge interamente a Bruxelles, non a caso prototipo della città internazionale e del melting point culturale nonché simbolo dell'Unione Europea.

NOTE DI REGIA – Alessandro Tonda

Ricordo come fosse ieri la mattina del 14 novembre 2015 quando, guidando per le strade di Torino diretto a lavoro, cominciai a riflettere con lucidità su quanto avvenuto la notte precedente a Parigi. Ero confuso. Nella mia testa rimbalzavano mille pensieri, mille domande cui non riuscivo a dare risposta.

Ricordo che pioveva. I tergicristalli dell'auto si muovevano in un ritmo perfetto con Hunger of the pine, la canzone degli Alt-J. Guidavo piano, ricordo, perché la pioggia copriva la visuale e perché ero davvero scosso. Mi sentivo disarmato, vulnerabile, fragile. In quei momenti la nostra ragione vacilla, è come se si fosse senza difese, perché non si sa esattamente da dove possa arrivare la violenza. E se fosse capitato a me? E se fossi stato tra le vittime, cosa avrebbe provato la mia famiglia? 

Non so perché, ma pensai a mio padre, che è un uomo taciturno, ma che quella mattina aveva commentato il massacro con un fiume di parole delicatissime, piene di dolore, mentre io rimanevo zitto bevendo il caffè insieme a lui in cucina. Mio padre è un volontario della Croce Rossa Italiana, guida l'ambulanza. E chissà come si sarebbe comportato lui se fosse dovuto intervenire sul luogo del disastro. Chissà cosa avrebbe provato, se tra quelle vittime avesse riconosciuto suo figlio. 

Gli attentati terroristici di matrice islamica susseguitisi nel tempo in Francia, in Belgio e nel resto del mondo, mi hanno spinto inoltre a interrogarmi sul perché di tali gesti e a sforzarmi di capire da dove venisse questa rabbia. Mi sono accorto che spesso, tralasciando le pure motivazioni storiche ed economiche, il fondamentalismo mette radici nel disagio sociale e che sempre più frequentemente trova terreno fertile tra gli adolescenti.

Così è nato The Shift. Non un film che abbia la pretesa di dare delle risposte su un argomento così ampio e delicato, bensì una storia che affronta il tema osservandolo da vicino, guardando dritto negli occhi di un giovane perso in un percorso folle e di una donna attaccata alla vita che proverà con tutti i suoi mezzi a farlo ragionare, a ricordargli chi è, da dove viene e soprattutto dove rischia di andare. 

Ho pensato che fosse fondamentale concentrare l'attenzione sull'evoluzione dei personaggi, della loro psicologia; sulla fragilità di Eden e sulla sua paura di morire. Quella stessa paura che lo porta a essere imprevedibile e pericoloso. Tutto questo, in termini drammaturgici e cinematografici, si traduce in un racconto ricco di tensione psicologica, dal ritmo serrato e compresso in un arco narrativo ristretto, dove il tempo reale e quello della storia coincidono. 

Sono molto soddisfatto del lavoro svolto insieme a Davide Orsini. Federico Sperindei, l'editor, ha contribuito poi con grande impegno ad epurare la sceneggiatura dai suoi difetti. La storia è diventata più diretta, permettendo di raggiungere una maggiore profondità narrativa all'interno delle singole scene. I personaggi sono stati disegnati in maniera nitida approdando a un'efficace complementarità lungo la gamma di emozioni che la vicenda narrata scatena in loro.   

Sono convinto però che, ancor più degli aspetti narrativi, formali ed estetici, gran parte del lavoro è affidato alla recitazione. Ho diretto gli attori verso un'interpretazione naturalistica, al limite tra realtà e finzione, e sono loro ad accompagnare, senza dare giudizi, lo spettatore verso una riflessione profonda su quale sia il limite della compassione e dell'empatia verso chi ha sbagliato in modo così grave.  

Per questo insieme ai produttori di Notorious e Tarantula abbiamo puntato ad un cast principale di livello e svolgendo una ricerca meticolosa del ragazzo che interpreta Eden. Ritengo sia importante spingere la ricerca verso un "non attore" per mantenere la freschezza dell'interpretazione e per trovare la verità nel suo volto e nel suo carattere.

È un film che si presta ad essere raccontato con uno stile fresco, ricco di respiro, quasi documentaristico. La macchina da presa "pedinerà" i personaggi, sarà spettatrice a sua volta e farà̀ in modo che il pubblico viva la loro stessa tensione. Già dalla prima sequenza siamo immersi in uno scenario crudo ed iperrealistico, come se noi stessi fossimo vittime della strage. L'accelerazione del ritmo, la tensione psicologica altissima ed esasperante all'interno dell'ambulanza conferiranno poi al film una collocazione di genere a metà tra il thriller e il dramma psicologico.

Il dialogo aperto e produttivo con due figure di riferimento quali il Direttore della Fotografia Benoit Dervaux e lo scenografo Igor Gabriel sono un ulteriore fonte di ispirazione. La loro esperienza nel cinema d'autore, al fianco di cineasti del calibro di Jean-Pierre e Luc Dardenne e di Abel Ferrara, arricchirà il film di valori formali ed autoriali. Oltre a essere un cameraman molto creativo e singolare, Benoit possiede un'enorme sensibilità che si affianca a uno spiccato gusto per l'immagine. Ha tanta esperienza documentaristica oltre che cinematografica e questo aspetto si sposa alla perfezione con il lavoro e l'accuratezza di Igor. Insieme non abbiamo avuto timore di girare la maggior parte del film all'interno di una vera ambulanza, sfruttando i suoi spazi angusti per aumentare il senso di claustrofobia necessario alla storia e per aver la possibilità di stare a stretto contatto con i personaggi e con le loro emozioni. 

Buona parte del film è raccontata attraverso i vetri dell'ambulanza, sui quali ho valorizzato la città, sfruttando riflessi, colori e forme. Benché la storia si prestasse ad essere raccontata in una qualsiasi capitale europea, non ho indugiato a scegliere Bruxelles, non solo perché il Belgio è sicuramente uno dei paesi più feriti e sensibili sull'argomento, e nel quale è giusto raccontare una storia che si fonda su un atto di eroismo, ma anche e soprattutto perché Bruxelles trascende la propria generica natura di metropoli e rappresenta, da un punto di vista istituzionale e nell'immaginario comune, un simbolo dell'intera Unione Europea. Ambientare il film a Bruxelles significa dunque ambientarlo in Europa prima ancora che in Belgio, sottolineando come i rischi della radicalizzazione e le opportunità dell'integrazione riguardino un intero continente chiamato a confrontarvisi in un modo per una volta coeso e coordinato.

Gli esterni sono naturali, reali, così come gran parte degli interni. Tuttavia, dei camera-car esterni mi hanno aiutato a valorizzare le sequenze adrenaliniche. Inoltre, l'utilizzo di espedienti pratico/tecnici quali interventi meccanici sull'ambulanza, o di attrezzature leggere, hanno regalato al film una scrittura per immagini originale. 

Un riferimento immediato è il piano sequenza della scena in automobile in I figli degli uomini di Alfonso Cuarón, dove la chiave di svolta tecnica che il regista adotta per ottenere una narrazione incisiva ed efficace, mantenendo la focalizzazione sul "qui e ora", è affidata a un rivoluzionario utilizzo della macchina da presa che si muove in un lungo piano sequenza all'interno dell'abitacolo a 360°.

Mi sono affidato ad una fotografia livida, dai toni cromatici freddi e incisivi, prediligendo il più possibile la luce naturale e l'illuminazione reale dell'ambulanza. Gli effetti speciali visivi hanno integrato e arricchito le sequenze di azione realizzate con reali effetti meccanici e le recenti tecnologie mi hanno aiutato a trovare soluzioni visive originali per raccontare il dentro/fuori dall'ambulanza. 

Credo che ogni film debba essere unico e rappresentativo ed è questo il motivo per cui non amo particolarmente fare paragoni con altri film. Tuttavia, ho attinto sia alla tradizione del cinema neorealista italiano che ai più recenti autori internazionali, quali Alejandro González Iñárritu (21 Grammi) e Kathryn Bigelow (The Hurt Locker), ed europei quali Michaël R. Roskam (Bullhead), Nicolas Boukhrief (Made in France) e Felix Van Groeningen (Alabama Monroe).

Il look del film vive di suggestioni che provengono dalla strada, dalla realtà̀. Vorrei far percepire sulla pelle e sui vestiti dei personaggi l'afa, il sudore e la paura, adeguando la palette cromatica ai toni della scenografia circostante. Non è vero che l'abito non fa il monaco. Bruxelles è una gabbia che racchiude tipi umani diversi ma uguali tra loro. 

Ogni inseguimento, incidente o colluttazione deve risultare estremamente vera e naturale. A questo scopo è stato fondamentale trovare per ogni sequenza d'azione quella diversa chiave di lettura e quel diverso punto di vista che risulti spiazzante per lo spettatore. Ho voluto ribaltare la percezione dell'inaspettato creando un vero effetto di stupore. 

Un ruolo fondamentale è stato giocato anche dalla colonna sonora: suoni e rumori di una città sotto assedio terroristico, vanno a compensare ciò che gli occhi non possono vedere, aumentando così il senso di claustrofobia e di effetto "film nel film". Le musiche minimali ma ricche di atmosfera dei Mokadelic confezionano minuziosamente il tutto.

Sono consapevole che con il mio film non riuscirò a trovare una soluzione ai mali del mondo e in particolare al terrorismo, ma credo che il mio ruolo e il ruolo di tutti coloro che si avvicinano a una forma di espressione sia proprio quello di sollevare e stimolare alla riflessione. Allora, cosa possiamo fare per arginare tutto questo? 

Probabilmente basterebbe cominciare ad ascoltare e ad ascoltarci. Ad integrare, ad integrarci.

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