Locandina Ahlat Agaci L’albero dei frutti selvatici 2018 Nuri Bilge Ceylan
Locandina L'albero dei frutti selvatici
L'albero dei frutti selvatici (Ahlat Agaci) è un film del 2018 prodotto in Turchia e Repubblica di Macedonia, di genere Drammatico diretto da Nuri Bilge Ceylan. Il film dura circa 188 minuti. Il cast include Dogu Demirkol, Murat Cemcir, Bennu Yildirimlar, Hazar Ergüçlü, Serkan Keskin, Tamer Levent. In Italia, esce al cinema giovedì 4 Ottobre 2018 distribuito da Parthenos.

Sinan è appassionato di letteratura e ha sempre desiderato essere uno scrittore. Ritornato nel villaggio in cui è nato, si impegna anima e corpo a raccogliere il denaro di cui ha bisogno per essere pubblicato, ma i debiti del padre lo raggiungono…

Info Tecniche e Distribuzione

Uscita al Cinema in Italia: giovedì 4 Ottobre 2018
Uscita in Italia: 04/10/2018
Genere: Drammatico
Nazione: Turchia, Repubblica di Macedonia, Francia, Germania, Bosnia Erzegovina, Bulgaria, Svezia - 2018
Durata: 188 minuti
Formato: Colore
Produzione: Detailfilm, Film i Väst (in co-produzione con), Memento Films Production, RFF International, Sister and Brother Mitevski, Zeynofilm
Distribuzione: Parthenos

Immagini

[Schermo Intero]

Note di regia – Nuri Bilge Ceylan

È fondamentale che ogni essere umano possa assumersi il rischio di uscire dal suo rifugio per mescolarsi agli altri. Se si allontana troppo, può succedere che perda a poco a poco la sua centralità, la sua identità. Ma se la paura di abbandonare il nido è troppo grande, allora fa un passo indietro e si richiude in se stesso, smettendo così di crescere e di evolvere. E se sente di essere caratterizzato da una diversità, essenziale per lui e che tuttavia lo emargina a livello sociale, la sua forza di volontà finirà con lo smorzarsi sul piano morale. Gli risulterà dunque difficile dare un senso alle contraddizioni di una vita che di per sé gli è diventata estranea e comincerà a lacerarsi tra l'incapacità di dare una forma creativa alle contraddizioni e l'impossibilità di risolverle. In questo film, cerco di raccontare la storia di un giovane uomo che, oltre a provare un senso di colpa, sente anche di essere diverso, ma è incapace di ammetterlo. Si rende conto di essere trascinato verso un destino che non ama e che non riesce ad accettare. Ho voluto dipingere questo personaggio così come gli altri che lo circondano per delineare un grande mosaico di soggetti, senza fare favoritismi e cercando di restare rigorosamente giusto con ciascuno di loro. Si usa dire che «ogni cosa che nasconde un padre riappare un giorno nel figlio». Che lo vogliamo o meno, non possiamo fare a meno di ereditare alcune caratteristiche dei nostri padri, come un certo numero delle loro debolezze, delle loro abitudini, dei loro tic e di una moltitudine di altre tratti. L'ineluttabile scivolamento del destino di un figlio verso una sorte analoga a quella di suo padre viene raccontato attraverso una serie di esperienze dolorose.

Intervista con Nuri Bilge Ceylan

Vedo la mia vita come un sogno (Incontro svoltosi a Cannes, il 15 maggio 2018. Intervista pubblicata sul numero di luglio/agosto 2018 della rivista Positif.)
Michel Ciment e Yann Tobin

Quando ha iniziato a pensare a questo progetto e come si è sviluppato?
A dire il vero, mia moglie Ebru e io stavamo lavorando a un altro progetto, di sapore autobiografico, la storia di una famiglia. Un giorno, ci siamo trovati in una casa di campagna vicino a Troia, dove io sono nato. Era in riva al mare, un posto sovrappopolato d'estate, in particolare in coincidenza con una festa religiosa, e abbiamo deciso di avvicinarci alla mia città natale. In un villaggio nei paraggi ho incontrato una persona che conoscevo, un insegnante. Si era sposato con una mia parente ed era un uomo interessante con cui mi piaceva stare a parlare, perché era diverso dalle altre persone del posto. Era capace di evocare i colori di un paesaggio o l'odore della terra. Gli abitanti dei dintorni non lo rispettavano e quando lui parlava nessuno lo ascoltava. È venuto a casa nostra e ci ha raccontato la sua vita in modo molto colorito. Mio padre era un po' come lui: per esempio, aveva una passione per Alessandro Magno, un personaggio che non interessava a nessun altro attorno a lui. Era un ingegnere agricolo, leggeva molto ed era un tipo alquanto solitario, non aveva molte cose in comune con gli altri. Per tornare a quel vicino, ho avuto modo di conoscere suo figlio che aveva terminato gli studi, lavorava in un giornale locale e aiutava anche il padre. Abbiamo cominciato a parlare ed è germogliata l'idea di fare un film attorno alla sua persona che parlasse anche della solitudine di suo padre. Sono andato a trovarlo più volte e gli ho chiesto se potesse scrivermi dei ricordi che evocassero le sue emozioni, suo padre, la sua infanzia, i suoi rapporti con la famiglia. Per tre mesi non ho più avuto sue notizie. Mi aveva colpito molto, leggeva continuamente, conosceva tutti i libri di cui gli parlavo e mi piaceva tantissimo. Era una persona assai distante e di poche parole. Ho parlato di lui con suo padre e aveva la stessa impressione. Poi un giorno, all'improvviso, mi ha mandato via email ottanta pagine di informazioni e di descrizioni. Le ho lette e sono rimasto molto impressionato. Aveva scritto delle cose molto giuste e molto dirette. Non si era messo sulle difensive, né si era atteggiato da eroe, al contrario. Era un materiale decisamente migliore rispetto a quello che mi aspettavo. Anche mia moglie ha avuto la mia stessa impressione. Di conseguenza ho deciso di accantonare il progetto a cui stavo lavorando e di concentrarmi prima questo film. Ho chiesto a quel giovane uomo, Akin Aksu, di collaborare alla sceneggiatura e ha finito con l'interpretare persino uno dei due imam, quello che parla molto.

Aveva già girato altri film in questa regione della Turchia?
Sì, Nuvole di maggio [1999]. È la parte occidentale del paese, lo Stretto dei Dardanelli, a un centinaio di chilometri a ovest. Con Akin e mia moglie abbiamo parlato approfonditamente per un mese intero, scambiandoci idee e sentimenti. Poi lui ha scritto da solo due ossature di sceneggiatura in cui io ho inserito gli aspetti che mi stavano a cuore. Intanto in quel lasso di tempo ho letto i due libri a carattere autobiografico che lui aveva scritto e mi sono piaciuti molto. Ho utilizzato alcuni dei suoi dettagli e riflessioni per la sceneggiatura. Alla fine lui è andato a insegnare e abbiamo continuato a collaborare via e-mail. In Turchia, sono pochi i maestri candidati che riescono a essere reclutati dal momento che ci sono molte domande: questo giovane tentava di passare il concorso da quattro anni ed era la prima volta che riusciva ad essere selezionato. Dal momento che non aveva ottenuto un punteggio molto alto lo hanno mandato a insegnare nella Turchia orientale e da lì, per nove mesi, ci siamo confrontati sulle idee per la sceneggiatura. Inizialmente abbiamo discusso delle varie scene, poi abbiamo lavorato sui dialoghi. Anche mia moglie, per parte sua, si teneva in contatto con lui.

Prima ha accennato all'altro suo progetto a carattere autobiografico. Ma inL'albero dei fruttiselvatici ci sono comunque degli aspetti legati alla sua gioventù?
Sì, in particolare per quanto riguarda i rapporti con mio padre. Tuttavia il film riflette soprattutto la personalità di Akin che è insegnante elementare come suo padre e anche scrittore. Ho cercato di sapere, per esempio, cosa diceva suo padre e cosa rispondeva Akin quando quest'ultimo gli chiedeva dei soldi. In particolare, ero avido di conoscere i dettagli della passione di suo padre per il gioco, come nel film. È addirittura arrivato al punto di vendersi la casa.

Nel film, come inIl regno d'inverno – Winter Sleep, ci sono molti confronti tra i personaggi che parlano a lungo, il figlio con il padre, la madre, lo scrittore locale, il responsabile dei contributi per la pubblicazione, eccetera. Queste scene erano interamente scritte o sono state in parte improvvisate?
Quasi tutte, un buon 95%, erano scritte e questo ha creato maggiori difficoltà agli attori non professionisti che hanno problemi di memorizzazione e sono più a loro agio improvvisando i dialoghi. L'attribuzione del ruolo principale è stato uno dei problemi più complessi che io mi sia mai trovato ad affrontare. Ho cercato invano un attore cinematografico turco e alla fine ho scelto una persona che non aveva mai recitato per il cinema. L'ho trovato su Facebook. Era apparso in qualche sketch comico in televisione. L'ho contattato e gli ho fatto fare qualche provino. All'inizio le sue interpretazioni non mi hanno impressionato: ha cominciato a fare qualche improvvisazione con Ebru e non era affatto bravo. Poi gli ho mandato qualche pagina della sceneggiatura che ha memorizzato. Quando le ha recitate davanti a me, mi sono reso conto che aveva capito tutto quello che avevo in mente per il personaggio e, ad ogni provino, migliorava. Tra tutti i candidati era quello che si ricordava meglio il testo, probabilmente perché è l'attore più intelligente che io abbia mai incontrato fino ad oggi. Ha anche maturato una grande conoscenza della vita, delle persone e delle circostanze descritte nel film. Alcuni candidati per lo stesso ruolo funzionavano con la ragazza ma non con la madre, o magari funzionavano con il padre ma non con il sindaco. Lui, invece, era a suo agio in tutti i rapporti interpersonali. Forse non ha l'aspetto di uno scrittore, ma l'essenziale era che riusciva a reggere lunghi dialoghi in un film di più di tre ore e interpretarli in modo giusto.

Avete fatto delle prove prima delle riprese?
Pochissime perché non avevamo molto tempo. Però abbiamo provato sul set che è durato tre mesi e mezzo, malgrado i costi elevati. Mi è capitato di fare molti ciak, ma nessuno degli attori era migliore quando improvvisava. L'attore che interpreta il padre era un professionista con esperienza soprattutto nella commedia.

Il suo riso sarcastico viene da lei?
Ovviamente! Mio padre era così. Nel villaggio nessuno gli dava ascolto e quindi rideva delle cose che diceva. Ho voluto che il personaggio avesse qualcosa in lui che suscitasse la mancanza di rispetto degli abitanti del villaggio e ho trovato questo piccolo dettaglio. È difficile comprendere questa mancanza di rispetto da parte degli altri poiché di solito un insegnante è molto ben visto. Forse c'entra la sua dipendenza dal gioco o forse il suo sogghigno. Nella campagna turca, le persone che ridono di continuo non sono viste di buon occhio! Anche tutti gli altri personaggi sono interpretati da attori professionisti. Per il ruolo dello scrittore locale, per esempio, ho cercato invano uno scrittore vero. Invece, uno degli imam era un attore dilettante, senza essere un vero imam.

In questa scena, come in particolare in quella con lo scrittore locale, fa ricorso a lunghissimi piani sequenza girati con una videocamera mobile. Quando segue i due imam che camminano insieme a Sinan, li filma da lontano incurante del fatto che non sempre è chiaro chi stia parlando.
Così è più facile per il pubblico turco! Ho potuto sviluppare questo stile di ripresa grazie a un nuovo apparecchio molto piccolo ed estremamente mobile, che si chiama Osmo. Gran parte del merito è anche degli attori e della loro capacità di recitare un testo per tanto tempo. In passato mi è capitato di dover fare dei tagli durante le riprese a causa di questo. Se c'è un numero maggiore di piani sequenza è anche perché molte scene erano in esterni con spostamenti dei personaggi. Camminano e parlano nello stesso momento e non c'è alcuna necessità di frammentare. Ho sempre al mio fianco il mio fedele direttore della fotografia Gökhan Tiryaki e il più delle volte sono io che decido. Ovviamente, mentre scrivi una sceneggiatura sogni quello che farai sul set, ma poi la realtà delle riprese ti impone dei cambiamenti ed è lì che prendi le decisioni finali. Inoltre, ho attribuito molta importanza alle stagioni e volevo che la storia si concludesse in inverno. Dunque in linea generale evitavo il sole… Ma quando abbiamo iniziato a girare, in ottobre, c'era tutti i giorni! Abbiamo filmato la quasi totalità della sequenza finale al calar del sole. Poi l'ho girata di nuovo senza sole e quando ha iniziato a nevicare l'ho girata una terza volta. E durante il montaggio ho scelto l'ultima ripresa.

Vediamo che nevica attraverso la finestra della stanza, mentre il protagonista spiega le sue ragioni a sua madre…
Sì, era previsto così in sceneggiatura dal momento che volevo che il suo servizio militare si svolgesse nella neve, in un'atmosfera diversa da tutte le altre. Volevo dare l'impressione che fosse passato del tempo (un anno, per l'esattezza). E ho sentito il bisogno di annunciarlo visivamente.

Il servizio militare occupa una sola inquadratura…
Esatto. È solo simbolico, non volevo appesantirmi su questo tema.

Il giovane è un individuo che non smette di contraddire gli altri per ribadire la sua opposizione, sia i genitori che lo scrittore, il sindaco, gli imam
È così anche nella realtà e dipende dalla sua solitudine e dalla sua attività di scrittore. Si tratta di un isolamento ansiogeno e che lo porta a criticare sempre gli altri. Lotta contro quello che ritiene ingiusto. Non ama lo scrittore locale, né quello che scrive e nutre del risentimento per via del suo successo. Per questo cerca di mordere! Ma è lui il primo a sminuirsi. È in uno stato di costante conflitto interiore che gli provoca questi accessi incontrollati.

In definitiva, suo padre è il solo lettore del suo romanzo. È una battuta chiave del film
Sì, poiché è la persona che lo rispetta di meno!

Ricorda il rapporto che il personaggio di James Dean ha con suo padre in La valle dell'Eden
Il ritrovamento del ritaglio di giornale che lo riguarda nel portafoglio di suo padre è ancora una volta ispirato a un episodio reale. Ma prima di partire per il servizio militare si sente in colpa, perché l'atteggiamento del padre ha cominciato a cambiare. Ce l'ha con lui perché gli ha venduto il cane, da cui l'atteggiamento sospettoso che adotta a scuola, quando nasconde al figlio quello che sta scrivendo. Quest'ultimo non si era reso conto di quanto il cane fosse importante per suo padre, quando lo ha venduto per riuscire a stampare il suo libro: contrariamente a quanto accade in una grande città, in un villaggio i cani non hanno molto valore.

PerIl regno d'inverno – Winter Sleep ha spesso citato Čechov. Anche questo nuovo film evoca molto il drammaturgo russo, in particolare nel suo modo di non giudicare mai i personaggi… Ciascuno ha la sua chance.
Non soltanto Čechov, ma, a mio parere, tutti i più grandi scrittori si rifiutano di giudicare i propri personaggi. Tennessee Williams per esempio… Non è compito di un autore formulare un giudizio, deve limitarsi a cercare di capire le proprie creature, anche se sono degli assassini. I miei autori preferiti, tra cui Dostoevskij, sono russi. E ci sono anche alcuni scrittori turchi, come Sait Faik, che ha scritto delle novelle meravigliose. Era un uomo molto solitario che non si è mai sposato. Ha vissuto per qualche tempo in Francia.

Una battuta importante è quando la madre dice che il cane era il solo essere che non giudicava mai il suo padrone.
Sì, tutti biasimano il padre, lo considerano un irresponsabile, un giocatore d'azzardo…Quando parte per il servizio militare, il giovane si sente in colpa. La prima cosa che fa al suo ritorno è domandare notizie di suo padre e apprende che è diventato pastore. Di fatto si domanda se suo padre provi risentimento nei suoi confronti ed è sollevato nel constatare che non è così.

Nella libreria, vediamo i ritratti di García Márquez, Franz Kafka, Virginia Woolf, Albert Camus…
Ho trovato quel posto esattamente così, anche se potrei rivendicare quegli stessi autori.

Ci sono numerosi sogni: il neonato con le formiche, l'inseguimento nel cavallo di Troia, il pozzo alla fine. Non sono così frequenti nel cinema contemporaneo.
Mi sono venuti spontaneamente. Per il cavallo di Troia, non sappiamo esattamente quando è diventato un sogno. Del resto, spesso e volentieri, vedo la mia vita come un sogno. E i sogni mi sembrano sempre molto reali.

Come le è venuta in mente la scena in cui il protagonista discute a lungo con i due imam mentre cammina verso il villaggio?
Per me il punto di partenza di questo film era il mio desiderio di mostrare tutti i valori che circondano un giovane uomo. Uno dei più importanti è la religione, con la quale prima o poi è necessario confrontarsi, soprattutto in un paese musulmano, dove la gente non ha la stessa libertà di parlarne come di altri argomenti. Per esempio, è pressoché impossibile nelle campagne dichiarare: «Io non credo in Dio». Mio padre era ateo, ma non lo ha mai ammesso pubblicamente e nemmeno in famiglia. Il mio giovane protagonista ha voglia di parlarne, ma non può farlo in modo diretto, dunque punzecchia i suoi interlocutori su questo tema. È tra le scene che preferisco. Mi identifico in quella situazione. Capisco che possa apparire lunga o poco chiara a degli spettatori non turchi, ma per noi tocca delle questioni fondamentali. Era necessario legarla a un'azione: ecco perché l'imam ha preso in prestito dell'oro dalla nonna e il giovane spera di recuperarlo per pubblicare il suo libro. Per me è un pretesto per farli parlare di religione.

Fa intervenire l'imam più giovane, che ha idee riformatrici…
Sì, questo tipo di discussioni è molto frequente oggi nell'ambiente religioso in cui si pone il problema della modernizzazione nell'interpretazione dei testi. Nella vita reale, il nonno dello scrittore è anch'egli un imam in pensione.

Quali sono gli ambienti naturali e quali quelli ricostruiti?
Le scene nell'appartamento della famiglia sono state girate in un teatro di posa, che in realtà è un vecchio ginnasio adibito ad altro uso. È stata un'importante soluzione di ripiego, nel caso le condizioni metereologiche ci avessero impedito di girare in esterni. Per quanto riguarda il villaggio, abbiamo sempre filmato in luoghi esistenti.

All'inizio c'è una scena molto bella con una ragazza che poi non vediamo più
Perché si è sposata con l'altro giovane e dunque non si mostra più!

Rappresenta il passato dell'eroe, prima dell'inizio del film
Al liceo tutti i giovani sono insieme, poi diventando adulti si disperdono. Alcuni si sposano, altri vanno all'università…

Anche il pozzo che scavano è ispirato a un fatto reale?
No, lo abbiamo inventato per dare uno scopo concreto al personaggio del padre. Cristallizza la sua lotta contro le idee degli abitanti del villaggio che sono convinti che non troverà mai l'acqua.

E "l'albero dei frutti selvatici" del titolo è un ricordo personale?
Si ispira a una delle novelle del vero scrittore, La solitudine del pero selvatico. I peri selvatici sono alberi piuttosto brutti, che danno frutti molto aspri. Hanno bisogno di pochissima acqua per prosperare in natura. Sono isolati e crescono nei terreni aridi. Quando spuntano in prossimità di un villaggio, gli abitanti li innestano per farli diventare peri comuni. Nella sceneggiatura c'era un prologo che poi ho tagliato: una scena della giovinezza del padre, quando era il maestro del villaggio e raccontava ai suoi allievi la storia del pero, metafora della sua solitudine che sarà anche quella di suo figlio e che era già quella del nonno che si vede a un certo punto seduto da solo a un tavolo del bar locale, cosa insolita in un villaggio.

È il suo film più lungo dopoIl regno d'inverno – Winter Sleep, anche se la durata non pesa…
Ero consapevole che la sceneggiatura fosse molto lunga, molto più del film finito. Ma ho deciso di girare tutto e di scegliere durante il montaggio che cosa tenere. La prima versione durava quasi cinque ore. Il personaggio della nonna era più sviluppato e ho completamente tagliato altri personaggi del villaggio, in particolare delle discussioni collettive sulla nuova moschea in costruzione.

Che tipo di musica ha utilizzato?
La trasposizione di un brano di Bach per organo, in una nuova orchestrazione.

Come ha diretto gli attori?
Non amo parlare dei ruoli con gli attori, preferisco limitarmi a fornire indicazioni tecniche. Molti di loro – non tutti, ma la maggior parte – non si avvicinano al personaggio con un'elaborazione mentale, ma in modo intuitivo. Dar loro troppe spiegazioni equivale a bloccarli. All'inizio preferisco lasciarli liberi di propormi qualunque cosa, poi, se lo ritengo necessario, intervengo per correggerli, con piccole cose, cercando di essere molto descrittivo e mai filosofico. Prima di offrire un suggerimento, esordisco sempre con un complimento: mi sforzo di non essere brusco per non inibirli. Amano essere amati! Ma a dire il vero non esiste un metodo universale. Quello che va bene con uno non funziona con un altro. Devo adattare il mio atteggiamento a ciascun attore.

E se in una stessa scena ci sono più attori molto diversi tra loro?
A volte devo elaborare una strategia. Se qualcosa non mi piace di uno, mi rivolgo prima ad un altro e vedo come reagisce il primo…Dirigere gli attori è un'attività molto misteriosa. Ed è la parte più importante del lavoro di un regista.

Come fa a mantenere la lucidità durante il montaggio? Fa delle proiezioni di prova?
Sì, innanzitutto con mia moglie, che ha uno sguardo molto severo. E con un paio di persone che hanno un punto di vista più «fresco». Ma soprattutto, mi concedo molto tempo. Il montaggio di questo film mi ha preso quasi un anno e, per la prima volta, l'ho fatto tutto da solo, senza un montatore. Mi è difficile sopportare un'altra persona per così tanto tempo!

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