Locandina Colette 2018 Wash Westmoreland

Colette (2018)

Colette
Locandina Colette
Colette è un film del 2018 prodotto in UK e USA, di genere Biografia e Drammatico diretto da Wash Westmoreland. Il film dura circa 111 minuti. Il cast include Keira Knightley, Eleanor Tomlinson, Fiona Shaw, Dominic West, Aiysha Hart, Robert Pugh. In Italia, esce al cinema giovedì 6 Dicembre 2018. Al Box Office italiano ha incassato circa 400864 euro.

La storia di Sidonie-Gabrielle Colette, l'autrice più innovativa e spregiudicata della Belle Époque parigina.

La storia di Sidonie-Gabrielle Colette, l'autrice più innovativa e spregiudicata della Belle Époque parigina. Nata e cresciuta in un piccolo centro della campagna francese, Colette arriva nella Parigi di fine Ottocento dopo aver sposato Willy, un ambizioso impresario letterario. Affascinata dalla vivacità intellettuale dei salotti della capitale e spinta a scrivere dal marito, Colette riprende i suoi scritti di scuola e dà alla luce una serie di libri pubblicati con il nome di Willy. I romanzi diventano ben presto un fenomeno letterario e la loro protagonista – Claudine – un'icona della cultura pop parigina, oltre che un simbolo di libertà femminile. Mentre cresce insieme alla sua Claudine, diventando sempre più consapevole di se stessa, Colette decide di porre fine al suo matrimonio e inizia una battaglia per rivendicare la proprietà delle sue opere e guadagnare la sospirata emancipazione sociale. 

Info Tecniche e Distribuzione

Uscita al Cinema in Italia: giovedì 6 Dicembre 2018
Uscita in Italia: 06/12/2018
Data di Uscita USA: venerdì 21 Settembre 2018
Prima Uscita: 21/09/2018 (USA)
Genere: Biografia, Drammatico, Storico
Nazione: UK, USA - 2018
Durata: 111 minuti
Formato: Colore
Produzione: Number 9 Films, Killer Films, Bold Films, BFI Film Fund
Box Office: USA: 4.424.118 dollari | Italia: 400.864 euro
Note:
Presentato il 20 Gennaio 2018 al Sundance Film Festival. Presentato alla 36a edizione del Torino Film Festival.

Passaggi in TV:
• venerdì 08 Dicembre ore 17:25 su Sky Cinema Drama

Immagini

[Schermo Intero]

LA PRODUZIONE
Fin dal momento della sua ascesa al successo – a tratti famigerato – nella Francia di inizio ventesimo secolo, Sidonie-Gabrielle Colette è stata un'affascinante fonte di ispirazione per innumerevoli lettori. A lungo sfruttata dal marito, Henry Gauthier-Villars (noto a tutti come 'Willy'), fu inizialmente spinta a pubblicare i fortunati romanzi semi-autobiografici della serie Claudine col nome di lui, ma col tempo trovò la forza di rompere questo legame malsano e acquisì finalmente una notorietà propria. Chéri (1920) e Gigi (1944) furono infatti pubblicati entrambi sotto il suo vero nome, e furono tanto acclamati dal pubblico che quest'ultimo, nel 1958, fu trasformato dalla MGM in un musical oggi diventato celeberrimo. "Era sempre un passo avanti agli altri", dice il regista Wash Westmoreland, riferendosi in particolare al coraggio con cui Colette esponeva, attraverso velati riferimenti, elementi spesso scandalosi della sua vita personale. Per quasi vent'anni Colette ha affascinato ed ispirato il regista dello Yorkshire. "Per molti anni ho lavorato con il mio partner Richard Glatzer", dice, "Eravamo co-autori, co-registi e compagni di vita. Intorno al 1999, Richard cominciò a leggere Colette – i suoi romanzi, ma anche varie biografie – e mi convinse a fare lo stesso. Capimmo che poteva venirne fuori un grande film, specialmente se incentrato sul suo primo matrimonio. Era un periodo davvero cruciale, l'inizio dell'era moderna: si assisteva a movimenti tettonici nella definizione dei ruoli di genere, le donne chiedevano maggior potere in ogni ambito e gli uomini resistevano con tutta la loro forza. Tutto ciò sembrava essere rappresentato alla perfezione dal matrimonio tra due personaggi formidabili Colette e Willy". Diciotto anni più tardi, dopo pellicole dai temi audaci e di spessore come Quinceañera (2006) e Still Alice (2014), acclamate dalla critica, Westmoreland porta finalmente la storia di Colette sul grande schermo con un film che per la prima volta dirige da solo, e che tuttavia rappresenta il più ambizioso dei suoi progetti. Il 10 marzo 2015, a soli due anni dall'uscita di Still Alice, che vedeva Juliette Moore interpretare una donna afflitta da Alzheimer precoce, in una magistrale interpretazione premiata con l'Oscar, Richard Glazer, partner di una vita, moriva per complicazioni dovute alla SLA. "Colette è una storia fantastica, estremamente significativa", dice Pamela Koffler della KillerFilms, che ha prodotto, oltre a Colette, i due precedenti film a firma di Westmoreland e Glatzer. "Inoltre, credo che molta gente non conosca a fondo la storia di questa autrice, nonostante sia molto famosa". Secondo Elizabeth Karlsen, della Number 9 Films, il punto di forza del film è che "è una storia tutta al femminile, che narra di una figura estremamente rilevante rispetto al percorso delle donne nella letteratura e nella politica. Ha messo in discussione i costumi sociali, la sessualità e i ruoli di genere. Colette ha rappresentato una vera e propria svolta, in questi ambiti". Ma, aggiunge Karlsen, "è anche divertente, piena di arguzia e di calore". E' certamente un soggetto molto caro a Westmoreland, che ci ha lavorato a lungo assieme al suo partner, Richard Glatzer. Per Keira Knightley, l'attrice plurinominata all'Oscar che Westmoreland ha scelto per interpretare Colette, la passione del regista per l'autrice è stata una grande fonte di ispirazione. "L'attaccamento di Wash a Colette è enorme", dice. "Davvero enorme. Il suo amore per lei è assoluto. Penso che abbia sviluppato un legame personale, e quel livello di passione è raro in un regista (o in chiunque, per la verità). Anche solo la fedeltà che ha dimostrato a questo progetto, e la storia che li lega… non si può fare a meno di rimanerne colpiti".

SCRIVENDO COLETTE
Westmoreland e Glatzer andarono in Francia nell'estate del 2001 per cominciare a scrivere la prima stesura di una sceneggiatura originale intitolata "Colette e Willy". Il progetto era di lavorare in un appartamento a Parigi preso in prestito da un amico, ma al loro arrivo scoprirono che era stato affittato. "Non avevamo un altro posto dove andare, finché un altro amico ci disse: ''Ho una casetta in campagna. E' molto isolata, potete andare lì, se volete''", dice Westmoreland. "Scoprimmo che era un fatiscente maniero del 15° secolo, con un grande stagno da mulino e un campanile infestato dai pipistrelli! Era meraviglioso. Niente Internet, niente TV. Completamente tagliato fuori dalla tecnologia. Così, immersi nel silenzio, concentrati, riuscimmo a completare la prima bozza in 10 giorni. Fu tutto molto veloce". Westmoreland e Glatzer furono attenti a non annunciare che stavano scrivendo un film su Colette: "Perché, sai: chi sono questi stranieri che vengono in Francia e pretendono di scrivere di un'eroina nazionale?" dice Westmoreland ridendo. Lo dissero però al loro amico, il padrone del maniero, che raccontò del loro progetto alla zia, la quale, si scoprì, era una cara amica di Anne De Jouvenel: niente di meno che la nipote di Colette. "Quindi, in una sola mossa, l'unica persona in tutta la Francia con la quale ci confidammo ci mise in diretto contatto con chi controllava il patrimonio di Colette", dice Westmoreland con aria stupefatta. "E in un attimo ci ritrovammo a Parigi, a bere del tè con la Baronessa De Jouvenel. Diventammo subito amici e lei approvò pienamente il progetto, concedendoci i diritti su tutto il materiale proprietario che appare nella sceneggiatura. Ovviamente fu un dono enorme". Tuttavia, la messa a punto della sceneggiatura non si presentò meno impegnativa per Glatzer e Westmoreland, e ci vollero altri 16 anni e 20 bozze per arrivare alla stesura finale. "Ogni anno cercavamo di affinare il copione: c'erano talmente tante informazioni, e spesso la vita non corrisponde ad una nitida struttura in tre atti. Adattare la storia al film fu una sfida monumentale". L'ispirazione venne, afferma Westmoreland, proprio da Colette, dal suo coraggio nel modificare, riordinare, piegare i dettagli confusi e disordinati della vita reale a beneficio di una buona narrazione. "Tutto, nella storia, è basato su eventi reali, ma a volte è necessario cambiare dei dettagli perché il racconto risulti fluido e coerente". Ad esempio, gli sceneggiatori crearono delle sovrapposizioni tra la rottura del matrimonio tra Colette e Willy, e la sua relazione con Mathilde de Morny, la Marchesa di Belbeuf (detta "Missy"), che si vestiva da uomo e come tale si indentificava. "Il fatto che questi due personaggi, Willy e Missy, si influenzassero in maniera più diretta, appariva efficace sia dal punto di vista narrativo che concettuale". Mentre il copione si evolveva, Westmoreland e Glatzer scrissero e diressero altri tre film ma, dice Westmoreland, "Colette era sempre lì". In seguito al trionfo di Julianne Moore all'Academy Awards, Westmoreland si concentrò su ciò che avrebbero fatto dopo. Glatzer, la cui malattia era ormai in stato avanzato, era in ospedale e poteva comunicare solo usando un'app testo-voce che manovrava con le dita dei piedi, ma la sua risposta fu chiara e immediata: "C-O-L-E-T-T-E," digitò lentamente. "Okay" risponde Westmoreland, "Allora questo sarà il nostro prossimo progetto". Glatzer morì solo due settimane più tardi. "Fu un periodo molto difficile ed oscuro, il dolore era enorme, ma il film rappresentava qualcosa su cui concentrarsi", dice Westmoreland. "Decisi che Colette sarebbe stata la sua eredità, e usai il nostro legame per dare una forma artistica e creativa alla storia, narrandola al presente". Com'è naturale che sia, Westmoreland accusava l'acuta mancanza del suo compagno, nello scrivere così come in ogni altra cosa. "Stavo lottando da solo" ammette. La produttrice Elizabeth Karlsen suggerì a Westmoreland e Koffler di cercare un altro co- autore per arrivare alla stesura finale. "Sapevo che dovevamo stare molto attenti, perché l'argomento, ovviamente, lo toccava nel profondo e lo rendeva nervoso", dice. "La sua relazione con Richard era durata vent'anni". La reazione iniziale di Westmoreland fu: "No, no, mai. Mai nella vita!" Ma Karlsen e Koffler insistettero cautamente e gli chiesero semplicemente di scorrere una lista di potenziali collaboratori. "Il primo nome in elenco era Rebecca Lenkiewicz," ricorda Westmoreland. La sceneggiatrice di Ida, di Pawel Pawlikowski, era una persona molto competente. Il film, infatti, aveva ricevuto l'Oscar per il Miglior Film Straniero, la stessa notte in cui Julianne Moore vinse con Still Alice. "Ida mi era piaciuto moltissimo, perciò dissi, ''Va bene, incontriamoci''. Io ero a Los Angeles e Rebecca si trovava a Londra, quindi sviluppammo la nostra relazione attraverso Skype per diversi mesi, ma l'intesa fu immediata. Ha dato tanto a questo film, freschezza, intuizione, un'ispirazione tutta nuova… la prospettiva femminile si è dimostrata preziosa. E' stata una collaboratrice grandiosa, e lo è tuttora".

IL CAST DI COLETTE
Che la prima conversazione sul cast riguardasse la scelta della protagonista non fu certo una sorpresa. E non fu esattamente una conversazione lunga. "Keira Knightley per il ruolo di Colette è una scelta praticamente obbligata", afferma Westmoreland. "Keira è una incredibile combinazione di intelligenza e arguzia, oltre a possedere una innata capacità di comprendere come interpretare personaggi d'epoca; ha l'età giusta per impersonare una donna dai 19 ai 34 anni, e come autrice è molto credibile. Keira è una delle poche persone a racchiudere tutte le qualità di cui Colette aveva bisogno". Koffler si mostra completamente d'accordo. "Keira emana una gran quantità di spirito e intelligenza", afferma, "ma penso anche che sia stata molto brava nel semplificare il personaggio quando si trattava di impersonare Colette da giovane: una ragazza adorabile, arguta e amante della natura, ma con la presenza d'animo necessaria per fare della società parigina il suo ambiente naturale." Karlsen ricorda che andarono dritti da Keira, "e lei fortunatamente rispose di si". Il fatto che l'attrice sia così popolare, nella patria di Colette, è stato sicuramente di aiuto. "E' una sfida piuttosto intimorente, quella di portare sullo schermo un'icona francese in un film in lingua inglese", dice Karlsen. "Ma Keira in Francia è adorata, e si sente molto europea". Westmoreland ricorda la sua prima conversazione con Keira, che avvenne in circostanze piuttosto particolari: su FaceTime, a mezzanotte, mentre l'attrice si trovava ad una festa a Shanghai durante il Festival del Film. "Ricordo che mi dissi: ''Oh mamma, c'è Keira Knightley sul mio iPhone'', e poi subito notai, nell'angolo dello schermo, che avevo solo il 20% di batteria. ''Non ci credo, la mia vita ruota intorno a questo preciso momento'', quindi parlavo ancora più velocemente del solito eppure tra noi si creò un'intesa immediata. Quando mi accorsi di avere solo il 2%, decisi di dare il colpo finale: ''Tu puoi interpretare questo ruolo meglio di chiunque altro sulla faccia della Terra''. E Keira disse, ''Si! Perché no? Ci sto!'' e il telefono si spense, la batteria era a terra. Guardavo lo schermo nero, con la bocca spalancata, dicendo: ''Non ci posso credere, è assurdo''. Perché è raro che una star di quel calibro accetti un ruolo così velocemente, in un attimo… era accaduto un piccolo miracolo". E perché Keira era così felice di intepretare Colette? Lei ride, "Ho capito che era una forte." Naturalmente, non si ferma lì. "Ho pensato che fosse una persona veramente interessante, e che la sua relazione con Willy fosse affascinante. C'era un senso di verità, di realtà a cui io, come donna, avendo vissuto delle relazioni con degli uomini e avendo lavorato con loro, potevo veramente attingere". Con Westmoreland "ci siamo trovati subito in sintonia," continua, "La sua visione era chiara, e l'aveva riportata nella sceneggiatura, quindi avevamo qualcosa di veramente saldo a cui aggrapparci, e questo, in sé, era grandioso". Un altro personaggio a rivestire grande importanza era Willy. C'era bisogno di un attore che personificasse tanto il fascino quanto i difetti di Gauthier-Villars. "Susie Figgis, la nostra direttrice del casting, propose Dominic West, che in quel momento stava lavorando a Dangerous Liaisons, nel West End di Londra, perciò fu abbastanza semplice andarlo a vedere e realizzare immediatamente la corrispondenza con alcune caratteristiche di Willy: una certa indisciplinatezza, autostima e, naturalmente, il suo famoso charme, che Willy usava per coprire i suoi deprecabili comportamenti. Fu un'intuizione davvero geniale." "Serve un attore che non abbia paura di interpretare un personaggio che non è esattamente un modello di comportamento", dice Koffler, "ma che abbia anche del fascino, che sia intelligente, ironico e, a suo modo, amabile. Dominic incarna tutto questo alla perfezione". West, però, non è pienamente d'accordo. "La maggior parte del pubblico non ha la più pallida idea di chi fosse Willy, ma per chi lo sa, aveva una figura piuttosto riconoscibile. Era calvo e molto grasso, portava la barba e il cappello a cilindro. Quindi non so perché abbiano pensato a me, snello, giovane, atletico…" ride. Forse West non somiglia poi tanto a Willy dal punto di vista fisico, ma avevamo una tale fiducia nella sua capacità di incarnarne lo spirito, che non tentammo neanche di cambiarne l'aspetto tranne che nel fargli indossare barba e pancia finte. "Si discusse l'opzione di farmi indossare una finta pelata," dice, "ma poi mi tirarono indietro i capelli, li coprirono di gelatina e Wash disse: ''A posto. Basta così''". Il film è dominato da queste due figure, ma la celebrata coppia frequenta un vibrante mondo di fine secolo, fatto di salotti letterari e sale da ballo: per popolarlo, Westmoreland ha applicato una filosofia di casting audace e progressista. "Ho scelto un attore transessuale per interpretare un personaggio cisessuale (Jake Graf nel ruolo di Gaston De Caillavet) e ho scelto Rebecca Root, che è un'attrice anche lei transessuale, per il ruolo della scrittrice Rachilde, che, invece, era cisessuale. Questo di norma non succede nei film in costume, e raramente si applica a film ambientati in epoca moderna", rivela. "Inoltre, ho scelto Ray Panthaki, che è un attore asiatico- britannico, per il ruolo di Pierre Veber, che in realtà era bianco, così come ho affidato a Johnny K Palmer, un attore nero, il ruolo di un'altra figura storica caucasica, Paul Heon. Anche questo non avviene di frequente nei film in costume, sebbene sia accaduto molto spesso il contrario! Ho riflettuto sul fatto che il momento storico in cui è ambientato Colette richiama l'infrangimento delle regole, la rottura dei ruoli convenzionali e una certa apertura mentale. Il cast di questo film doveva riflettere tutto questo… sembrava la strada giusta." Ci sono altri due ruoli di supporto molto importanti nel film che era necessario scegliere con attenzione. Prima di tutti, la parte dell'amante di Colette, Missy, che è andata alla famosa attrice di teatro irlandese Denise Gough, che ha accettato di tagliarsi i capelli nonostante fosse stata già ingaggiata nel ruolo di Harper, in Angels In America a Broadway. "La forza di quel personaggio è davvero fondamentale per capire la trasformazione di Colette", afferma Koffler. "Ci serviva un'attrice di carattere da affiancare a Keira in quella particolare relazione, e Denise è veramente un cavallo di razza. E' bravissima. La vera Missy era un'affascinante combinazione di coraggio e forza d'animo, ma senza protagonismo. E' una presenza silenziosa ma potente nella vita di Colette, che le mostra una nuova strada. Denise l'ha interpretata alla perfezione." "A quel tempo era una vera prova di forza, il dichiarare pubblicamente di identificarsi come uomo, e di vestirsi ed atteggiarsi come tale", dice Gough. "Missy era davvero una protagonista, in questo senso. Volevo che il mio primo, vero, ruolo in un film facesse la differenza. Capita spesso di finire ad interpretare la moglie o la fidanzata di qualcuno, e di non avere alcun peso politico o sociale. Provo un senso di gratitudine per questo ruolo, per questa donna brillante, e riportarla alla vita è stato un privilegio." Per il ruolo della madre di Colette, Sido, Westmoreland ha scelto la famosa attrice Fiona Shaw, e la potenza della sua performance è la prova tangibile della precisione e della perfezione delle scelte di casting. "Il ruolo di Fiona Shaw non ha tantissime battute, ma l'impatto che ha creato nel ruolo di Sido è enorme", spiega Karlsen. "In poche scene il pubblico deve poter entrare nei processi mentali di una donna che capisce di aver messo al mondo una figlia così diversa dagli altri, e con così vaste potenzialità. Credo che Fiona abbia reso tutto facile: riesce a comunicare questa presenza forte con una sorprendente economia, era esattamente ciò che cercavamo".

COLETTE E WILLY
Colette è la storia di un matrimonio essenzialmente basato sullo sfruttamento ma, come in ogni relazione, la questione era più complicata di così. "Per poterne fare un film, c'era bisogno di capire la complessità del loro matrimonio", afferma Westmoreland. "In quell'unione c'era tutto: amore, odio, tenerezza, perversione, il rapporto con un mentore che era anche un avido sfruttatore. E, non ultimo, il carattere pubblico della relazione stessa, che per molti versi si sviluppava sotto gli occhi di tutti. Colette e Willy erano di fatto ciò che oggi definiremmo una celebrity couple." "L'urgenza creativa, all'interno della coppia, era evidente", dice Karlsen, "così come il fatto che entrambi fossero il prodotto del loro rapporto. Osservare la diciottenne Colette cominciare una relazione con un uomo molto più anziano, e trasformarsi in una giovane donna di successo, che lottava per ottenere indipendenza e agentività, sembrava davvero una storia drammatica." Se a Willy mancava il talento creativo di Colette, è pur vero che era un grande innovatore nel campo del marketing. Capì subito il potenziale commerciale delle storie di Claudine, e le trasformò in un vero e proprio marchio, con una vasta gamma di prodotti che andavano dai profumi al trucco ai saponi tanto che, nel film, Colette scherza dicendo che aveva letteralmente trasformato Claudine in un "nome familiare". "Era una vera celebrità, all'epoca", dice Dominic West. "Era un impresario, aveva creato un brand (ed è per questo che aveva seminato il suo ufficio di statuette) e interpretava un ruolo in questo teatro che era la Parigi di inizio 20° secolo, il centro del mondo dal punto di vista culturale". Fu lui ad incoraggiare Colette ad usare dettagli personali ed eventi della sua vita reale nei libri di Claudine, compreso un episodio in cui entrambi avevano una relazione con la stessa donna. Accoglieva gli scandali di buon grado e sapeva come manipolare la popolarità. "Willy era come Malcolm McLaren," spiega Westmoreland. "Credeva fermamente che più la notizia faceva scalpore, più la gente si sarebbe leccata i baffi, e per un po' fu un successo commerciale incredibile, il pubblico ne era affascinato". Colette e Willy incarnavano la modernità, dice Koffler. "Lui questo lo capiva benissimo e aveva un forte impulso a capitalizzare la situazione, ma c'era un costo da pagare: qualcuno doveva essere sfruttato". "Willy è", spiega West, "il cattivo della storia. Per molti aspetti è una sanguisuga e uno sciovinista manipolatore, ma è anche piacevole e di ottima compagnia. Sono qualità che bisogna saper cogliere, aldilà della sua malvagità". Keira Knightly però, non lo percepisce come 'il cattivo'. "Non credo che Willy sia malvagio", afferma. "Penso anzi che sia importante non odiarlo, per capire cosa ha spinto Colette a stargli vicino così a lungo. Conosco parecchie persone come lui: nonostante si comportino in maniera deprecabile possiedono un fascino e un umorismo che gli permette di farla franca, almeno per un po'". Più che essere una 'battaglia tra i sessi', però, il film è la storia di "una donna che non potevaessere fermata né messa da parte: la struttura patriarcale non riuscì a contenerla", dice Karlsen. "Nella sua vita prese delle decisioni sorprendentemente radicali", afferma Westmoreland. "Saliva sul palco per far sentire la sua voce e una volta, al culmine di Flesh, si scoprì il seno sinistro creando grandi polemiche: era un momento in cui tra donne si dibatteva ancora se mostrare la caviglia. Colette era senza paura."

IL MONDO DI COLETTE
Portare alla vita la storia di Colette e Willy e ricreare Parigi durante un periodo così ricco di importanti avvenimenti quale fu la Belle Époque, è stata una sfida importante per Westmoreland, non solo perché, ad oggi, questo film rappresenta la sua opera più importante, ma anche perché è il primo senza Richard Glatzer al suo fianco. "E' stato un processo difficile e pieno di emozioni contrastanti", racconta. "Mi sono particolarmente commosso nel guardare una scena con le battute che Richard scrisse nel 2001, sentire in quelle parole le sue, ma in realtà non mi sono mai sentito completamente solo. Nella mia testa sentivo Richard darmi suggerimenti e a volte persino discutere con me! Più che un cambio di marcia, era come se fosse un proseguimento del nostro lavoro insieme". "Tuttavia, soddisfare le esigenze del film è stato molto più difficile di qualsiasi cosa fatta prima", continua Westmoreland. "Non potevamo fermarci alla loro relazione tra le mura casalinghe, dovevamo trasmettere la loro influenza sul mondo esterno, e perciò farli camminare per la strada, frequentare i salotti, i teatri, e naturalmente mostrare Colette sul palco. Tutto questo ha fatto aumentare molto le spese, e rimanere nel budget che ci eravamo prefissati non è stato semplice. Dovevamo provare a fare un film che apparisse tre volte più costoso della cifra che avevamo a disposizione: solo filmare un cavallo che trotta tranquillamente per le strade della Parigi del 19° secolo ci è costato l'intero budget di Quinceañera! Abbiamo imparato ad essere molto creativi e praticamente ogni giorno dovevamo inventarci un miracolo". Per poter attuare questi miracoli, Westmoreland ha messo insieme una squadra di prima classe che comprende la costumista Andrea Flesch (The Duke Of Burgundy, L'infanzia Di Un Capo), il direttore della fotografia Giles Nuttgens (Hell Or High Water) e lo scenografo Michael Carlin (La duchessa, In Bruges – La Coscienza Dell'Assassino). Carlin afferma che è stato essenziale, per tutti loro, lavorare con un regista che fosse così legato al suo soggetto. "Sa tutto di Colette e della sua vita. Spesso, come scenografo, devo preparare una grande quantità di informazioni sull'ambientazione e quel che succede nello sfondo, ma Wash sapeva già tutto, il che ha rappresentato una scorciatoia preziosa". Westmoreland e il suo team sono stati capaci di ricostruire la Francia rurale nella campagna inglese, in Northamptonshire e in Oxfordshire, e naturalmente, hanno girato anche a Parigi, ma solo per alcuni giorni e solo scene esterne dalle quali alcuni elementi del 21° secolo sono poi stati rimossi digitalmente. "Girare un intero film a Parigi sarebbe stato impossibile anche con il doppio dei soldi che avevamo", spiega Carlin. "Penso che tutti si aspettassero di vedere molto di più della Parigi 'vecchia', ma in realtà è rimasto molto poco. L'effetto ottico c'è se guardi la sagoma della città dall'altro lato del fiume, ma poi, quando ti avvicini, è tutto molto diverso". Per realizzare appieno la loro visione della città nel trentennio che partiva dal 1890, lui e Carlin hanno trovato la location ideale a Budapest, in Ungheria, dove hanno girato molte scene, e poi agli Origo Studios, dove hanno ricreato l'appartamento di Willy e Colette. "Nel tardo 19° secolo, Budapest emulava deliberatamente Parigi, e naturalmente questa è stata una circostanza storica molto conveniente per noi" spiega Westmoreland. "Negli anni '90 la città fu ridisegnata sul modello parigino, inclusi gli Champs Elysées, che da loro si chiamano Andrassy, e dato che l'economia ungherese ha traballato per molto tempo, tanti posti non sono stati mai riparati o ristrutturati, il che è stato di cruciale importanza. Avevamo accesso ad intere proprietà dell'antica aristocrazia, che abbiamo usato per le riprese interne. Hanno persino il Moulin Rouge, a Budapest: è la copia esatta dell'originale, seppure nella metà dello spazio, ma al contrario di quello di Parigi non è mai stato rinnovato, quindi ha funzionato alla perfezione". "Willy e Colette facevano una vita molto movimentata", aggiunge Carlin, "quindi ci volevano teatri, salotti, caffè e ristoranti… Abbiamo dovuto adattare molti spazi, a Budapest, ed è più facile lì: se vuoi coprire un pezzo di strada con ciottoli finti e letame di cavallo, te lo fanno fare senza problemi". Keira Knightley era entusiasta di girare in Ungheria. "E' un paese bellissimo", dice, "siamo stati molto fortunati ad avere questa opportunità". L'unico difetto era il caldo estremo, con delle temperature che raggiungevano i 40° durante l'estate del 2017. "Giravamo molte scene notturne di giorno, e quando oscuri tutte le finestre e accendi le candele per far finta che sia notte, la temperatura sale ancora di più. Per gli uomini era peggio, perché indossavano quasi solo tweed, e soprattutto per Dominic, che doveva aggiungere a questo il grasso finto: hanno dovuto costruire un intero sistema di raffreddamento dentro al suo costume, in modo che potesse attaccarci una borsa di liquido che veniva pompato all'interno e lo portava ad una temperatura accettabile". Aldilà della temperatura, ricreare un'era come la Belle Époque presenta delle insidie creative non indifferenti: è talmente nota che c'è sempre il problema di cadere in clichés come il can-can e il Folies Bergère. "L'immagine della Belle Époque è di per sé stereotipata", dice Westmoreland. "Quello che volevamo fare era far risaltare gli elementi moderni della storia, e mostrare l'impatto delle nuove tecnologie. Il nostro obiettivo era di fare un film che fosse ambientato nel passato ma che permettesse al pubblico moderno di sentirlo vicino, come nel presente, e quindi l'eccitazione legata alle invenzioni e alle nuove idee è palpabile, così come anche la sensazione che Parigi era il centro del mondo, dove fiorivano queste personalità artistiche incredibili". Westmoreland ammette di essere stato particolarmente influenzato dai film del regista tedesco Max Ophüls, come Il Piacere (1952) e Gioielli di Madame de… (1953), non solo perchè Ophüls ha rappresentato "il grande maestro della Belle Époque," come lui lo definisce, ma soprattutto per l'ispirazione che è derivata dal modo in cui il regista presentava i suoi personaggi visivamente e come riusciva a catturarli sullo schermo. "Le sue eroine sembrano quasi scivolare sulla scena: invece di scegliere un'inquadratura ampia di una sala da ballo, la cinepresa seguiva i personaggi mischiarsi nella folla. Pensavo: ''è così che voglio rappresentare il mondo, voglio che si percepisca attraverso l'esperienza del protagonista. Ad esempio, una ripresa che ha richiesto un lungo lavoro e che è stata direttamente ispirata da Ophüls, è quando Colette entra per la prima volta nei salotti di Parigi, e si aggira per la stanza osservando tutto e tutti". Per rendere al meglio l'approccio visivo cinetico di Westmoreland, Carlin ha dovuto soddisfare tutta una serie di requisiti, specialmente quando si trattava di girare nell'appartamento di Willy e Colette. "E' una serie di stanze interconnesse, con finestre che separano lo spettatore dai personaggi", descrive Carlin. "il tutto disegnato con lo specifico scopo di facilitare certi movimenti di camera che seguono lei e Willy, e accentuare dei momenti chiave del film". Altrettanto importanti per la storia erano i teatri nei quali Colette avrebbe finito per esibirsi. "Nel film ci sono quattro teatri", racconta Carlin, "per cui abbiamo dovuto realizzare palcoscenici, aree per il pubblico e, naturalmente, quelle di backstage. Per fare tutto questo ci siamo sempre serviti di teatri veri, che di volta in volta adattavamo alle nostre esigenze". Un singolo teatro di Budapest diventava all'occorrenza un teatro diverso nel film. "Quando siamo di fronte al teatro, siamo a Parigi, quando ci spostiamo nel backstage e sul palcoscenico siamo a Marsiglia e quando attraversiamo l'ingresso siamo a Bruxelles. Era une vero e proprio Cubo di Rubik". Una delle sequenze più difficili da realizzare è stata la famigerata performance del Rêve d'Égypte (Sogno d'Egitto) al Moulin Rouge nel 1907, durante la quale Colette baciò Missy sul palco, provocando gran tumulto nel pubblico. "E' stata veramente una sfida", ricorda Westmoreland. "Avevamo a disposizione un solo giorno e moltissimo lavoro da fare: volevamo trasmettere la tensione, le emozioni che percorrevano la sala nell'assistere ad uno spettacolo così dinamico… e poi naturalmente c'era l'esplosione della rivolta. C'era una piccola orchestra composta da sole donne, c'era il dio egizio Anubi che suonava il gong su una delle balconate, avevamo Keira e Denise che si esibivano e poi 150 comparse in costume d'epoca stipate nella sala, di cui circa 35 erano stuntmen che dovevano innescare la rissa. E' stato un gran giorno". Anche per la Knightley non è stato facile ballare al suono della musica composta da Thomas Adès: le prove con la coreografa Alexandra Reynolds erano incessanti. "Keira non faceva che allenarsi", ricorda Westmoreland. "Non credo avesse mai fatto niente di così difficile, in termini di danza, nei suoi film precedenti, ma alla fine è stata bravissima". "E' stata un'esperienza pazzesca", dice la Knightley, ridendo. "Dovevo uscire da un sarcofago, normale, no? E' stato davvero assurdo". L'attrice rivela che, con Westmoreland, si sono ispirati alla scena del capolavoro di fantascienza di Fritz Lang, Metropolis (1927), in cui il robot Maria (Brigitte Helm) appare per la prima volta. "E' una cosa mai vista", dice la Knightley. "E' seminuda, e i suoi movimenti sono sincopati e spesso completamente assurdi. Ci siamo detti ''dovremmo fare qualcosa del genere perché sarebbe interessante inserire qualcosa di così folle in un film in costume, un genere che ha generalmente canoni fissi di comportamento e si attiene a uno stile preciso per quanto riguarda la danza''. Ho pensato che rompere quei canoni potesse rivelarsi un esperimento interessante". Durante la fase di post-produzione, un altro elemento cruciale del mondo di Colette si è materializzato nella colonna sonora. Thomas Ades è uno dei compoitori più stimati nel Regno Unito ed è molto noto per le sue opere anticonvenzionali e per i brani orchestrali contemporanei, ma non aveva mai lavorato ad una colonna sonora prima di Colette. Con Westmoreland sono molto amici e da tempo Ades è diventato un consulente prezioso, durante la preparazione del film, per quanto riguarda i pezzi musicali da suonare nei salotti parigini. "Gli scrivevo una mail per chiedergli, ''Tom, che cosa avrebbero ascoltato, all'epoca…? Che brano pensi che potrebbe funzionare in questa sequenza?'' Finiva per proporre sempre delle soluzioni fantastiche". A forza di discutere le scelte musicali, la prospettiva che Tom potesse farsi carico della colonna sonora apparve più che naturale. "Non volevo una soundtrack anonima, priva di colore", dice Westmoreland, "L'idea di Tom era che la musica esulasse dai compositori dell'epoca (da Ravel a Saint Saens, a Debussey, a Satie), e ha funzionato alla perfezione: rispecchia le innovazioni radicali di quel periodo, che investivano anche il panorama musicale".

#COLETTE TOO
Il compimento di Colette rappresenta la conclusione di lungo viaggio personale ed emotivo per Wash Westmoreland, che non aveva mai seguito un progetto così a lungo e così da vicino. Nel corso degli anni, lui e Glatzer arrivarono persino ad identificarsi con i loro personaggi, ammette. "Penso che quando scrivi una sceneggiatura basata su un personaggio, trovi sempre un modo per relazionartici, e per noi, in quanto co-sceneggiatori, fu interessante immedesimarci in Colette e Willy come in una vera relazione… Naturalmente c'erano continue discussioni su chi dovesse essere Colette e chi Willy!" dice, ridendo. "E non arrivammo mai ad una soluzione…" Non c'è dubbio che Westmoreland abbia trovato numerosi spunti di ammirazione in Sidonie- Gabrielle Colette, e conferma che, col tempo, la scrittrice è diventata una fonte di ispirazione anche nella sua vita personale. "Non si arrendeva mai, continuava sempre per la sua strada. Ha trovato la forza di scoprire la sua voce artistica, e vi rimase fedele. Cerco di imitarla in questo, il che mi ha fatto imparare molto". La sua speranza è che anche il pubblico tragga insegnamento da questo film. "La vita di Colette è una grande fonte di ispirazione", commenta. "E penso che storie come la sua possano cambiare il mondo. Sento che Colette sia molto in sintonia con il movimento #metoo, perché parla di una donna che è stata capace di superare l'oppressione e di rivendicare la propria voce: il parallelo è ovvio". "La lotta per combattere la sotto-rappresentazione e la privazione di potere è un tema importante", afferma Pamela Koffler. "Le donne hanno iniziato ad impossessarsi di una parte del potere, e quello che si sta raggiungendo, in questo momento storico, è la consapevolezza della storia di chi detiene questo potere, e del fatto che tale potere permette anche di scrivere la storia in un certo modo. In questo film si racconta proprio questo, ma succedeva più di un secolo fa. Credo che questo creerà una certa risonanza". "Parliamo di una donna che trova la sua voce e che, usandola, crea un impatto, e questo, naturalmente, coincide alla perfezione con i temi del movimento", aggiunge Elizabeth Karlsen. Nel caso di Colette, fu suo marito ad impossessarsi di quella voce. Attraverso il 'Me Too', le donne hanno finalmente una piattaforma che permette loro di essere ascoltate, di essere credute, ed è facile mettere questi due concetti in relazione. Inoltre, penso che le donne anelino a mostrare tutta la loro bellezza, intelligenza, ma anche i loro difetti, sullo schermo". Denise Gough è d'accordo, "Ci sono così tante donne, nella storia, di cui non sappiamo niente", dice, "perché le loro storie non sono viste come soggetti che farebbero vendere un film, ma intravedo dei segnali che mi spingono a pensare che tutto questo stia finalmente cominciando a cambiare".

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