Una Luna chiamata Europa (2017)

Jupiter holdja
Locandina Una Luna chiamata Europa
Una Luna chiamata Europa (Jupiter holdja) è un film del 2017 prodotto in Ungheria e Germania, di genere Drammatico diretto da Kornél Mundruczó. Il film dura circa 123 minuti. Il cast include Majd Asmi, Tamás Szabó Kimmel, Sándor Terhes, Zsombor Jéger, Merab Ninidze, György Cserhalmi. In Italia, esce al cinema giovedì 12 Luglio 2018.

Aryan viene ferito mentre cerca di attraversare illegalmente la frontiera ungherese. Sopravvissuto, il ragazzo scopre che ha ricevuto in dono la capacità di levitare. Rinchiuso in un campo di rifugiati, riesce a scappare con l'aiuto del dottor Stern che vuole sfruttarne lo straordinario potere.

Info Tecniche e Distribuzione

Uscita al Cinema in Italia: giovedì 12 Luglio 2018
Uscita in Italia: 12/07/2018
Prima Uscita: 08/06/2017 (Ungheria)
Genere: Drammatico
Nazione: Ungheria, Germania - 2017
Durata: 123 minuti
Formato: Colore

Immagini

[Schermo Intero]

KORNÉL MUNDRUCZÓ

CHE COSA SIGNIFICA IL TITOLO DEL FILM?
Una delle lune del pianeta Giove, scoperte da Galileo, si chiama Europa. Per me era importante considerare questo film come una storia europea, radicata in un'Europa in crisi, inclusa l'Ungheria. Allo stesso tempo, cercavo di dargli un'aria da fantascienza contemporanea. Sono appassionato di questo genere fin dall'infanzia e penso che ciò si percepisca in certi miei film precedenti, come White God – Sinfonia per Hagen o Tender Son – The Frankenstein Project. Abbiamo inoltre lavorato attorno all'idea di straniero domandandoci chi sia il vero straniero. È una questione di punto di vista. Giove è sufficientemente lontano da noi perché ci si possa porre nuovi interrogativi sulla fede, i miracoli, la diversità.

SI TRATTA DI UN FILM FUTURISTICO OPPURE SI SVOLGE NEL PRESENTE?
Sfortunatamente, non si tratta più di futuro. In origine il film avrebbe dovuto essere ambientato nel futuro ma, mentre stavamo cercando i finanziamenti, tutto è diventato reale. Non volevamo fare un film sui rifugiati, bensì utilizzare l'attuale crisi come contesto per ripensare i miracoli. Abbiamo discusso a lungo per capire se il soggetto dei rifugiati non fosse diventato troppo attuale, siccome tendo a rifuggire da narrazioni ideologiche che si inscrivono nell'attualità bruciante. Credo piuttosto nell'idea di un'arte classica, che agisce come l'acqua sul cemento: consumandolo e sgretolandolo. Ai miei occhi, l'arte fondata su fatti reali e opinioni politiche è meno interessante, per cui, quando siamo tornati a lavorare alla sceneggiatura, abbiamo cercato di prendere un po' di distanza tanto a livello della narrazione quanto del linguaggio del film.

SI PUÒ DIRE CHE LA CAPACITÀ DI VOLARE SIA ALL'ORIGINE DI QUESTO PROGETTO?
Uno dei miei libri preferiti, da bambino, era Ariel di Alexander Belyaev, romanzo su un bambino in grado di volare. Immaginate un essere dotato di poteri sovrumani, e i contrasti e le tensioni fantastiche che questa condizione può generare attorno a lui. Con il passare del tempo, mi pongo sempre più domande a proposito della fede. In un certo senso ho sempre pensato che esista una fede più grande, totale e universale, al di là di quella relativa dettata da una cultura e da un determinato periodo; una fede che possa avere un impatto su tutti, specialmente in un'epoca in cui sembriamo voler regolare i nostri conti con la religione tradizionale, o con Dio. Invece, siamo classificati in base ai soldi e al successo, secondo l'onnipresente Dio del populismo e dell'immediata soddisfazione. E, naturalmente, mettere in primo piano un individuo capace di volare solleva delle domande a proposito di ciò in cui crediamo. Inoltre, solleva domande su ciò che lo spettatore è disposto a credere. L'incontro con un miracolo richiede l'implicazione attiva dello spettatore, obiettivo che cerco sempre di raggiungere. Certo, il film parla dei rifugiati, ma è anche una ricerca di Dio, nel senso che dobbiamo riconoscere che a volte si incontrano cose assolute o misteriose. Il personaggio di Aryan ne è la materializzazione: una figura cristologica nel corpo di un rifugiato che potrebbe essere un angelo. I miracoli non si manifestano mai dove li si attende, e forse non li utilizziamo mai come si dovrebbe.

PARLACI DEL DR. STERN E DELLA SUA POSSIBILE EVOLUZIONE
Era da tempo che volevo illustrare la relazione tra un uomo maturo e uno giovane. Kata Wéber ha scritto la storia, e a questo proposito bisogna notare che lei conta numerosi dottori fra i suoi antenati. Eravamo affascinati dall'archetipo contemporaneo del praticante, nel film un medico che sta perdendo la fede, che non ha più voglia di curare le persone e che si accontenta di sopravvivere, privo di ogni illusione. Credo che nelle nostre vite ci siano momenti nei quali ci sentiamo prigionieri, senza vie d'uscita, oppure momenti nei quali cerchiamo disperatamente un'àncora di salvezza. Ho cercato a lungo di identificarmi con il personaggio di Aryan, ma mi sto avvicinando a un'età in cui inizio piuttosto ad assomigliare al Dr. Stern. Naturalmente, entrambi i personaggi contengono molti elementi autobiografici, e la storia si ispira anche a un'amicizia simile che mi è cara. Mi piacerebbe che Stern trasmettesse allo spettatore il messaggio che si può sempre cambiare se esiste qualcosa per cui ne valga veramente la pena. Bisogna superare la cecità causata da troppa razionalità. Abbiamo reso il personaggio di Stern davvero cieco. Anche quando incontra Aryan con il suo dono miracoloso, l'unica sua preoccupazione è il profitto personale e mostra grande difficoltà nel comprendere che potrà trarne dei vantaggi solo se sarà pronto a fare dei sacrifici.

COME HANNO INFLUENZATO IL FILM I TUOI SENTIMENTI VERSO I RIFUGIATI?
Ho cominciato a rendermi conto della questione dei rifugiati quando, nell'ambito di una vasta installazione teatrale, ho messo in scena Viaggio d'inverno di Franz Schubert. L'Europa era agli albori della crisi. Durante il lavoro di preparazione e la costruzione delle scenografie ci siamo recati in un campo per rifugiati a Bicske, in Ungheria, per una o due settimane. Quello che ho visto lì mi ha sconvolto. Ho avuto l'impressione che essere straniero, diverso, fosse uno stato d'essere. C'era una strana forma di santità in quelle persone perché si trovavano in un luogo fuori dal tempo e dallo spazio. L'immagine o l'allegoria della privazione è molto vicina alla liturgia cristiana, che conosco bene perché mi è stata inculcata nell'infanzia. Non hai né un passato né un futuro, c'è solo il presente, ma anch'esso è incerto. Non sai neanche se sei ancora te stesso, se sei la persona che eri quando sei partito, o se sei diventato qualcun altro durante il viaggio. Non si può essere testimoni di questo senza sentirsi solidali. Sarebbe disumano.

IN CHE MODO QUESTO FILM ASSOMIGLIA A WHITE GOD?
Nel caso di White God, ho iniziato a lavorare su una struttura a più livelli, e penso che ciò sia ancora più evidente in Una luna chiamata Europa. Cercavo una forma in grado di tradurre la mia sensazione che siamo in piena "caduta". Questa forma non poteva però limitarsi a quella del cinema di genere. Si può anche dire che essa non sia compatibile con le forme pure del genere. Penso che Una luna chiamata Europa utilizzi gli stereotipi e certi elementi del genere, ma essi non costituiscono che un livello fra gli altri del film, non diversamente da White God. Per me la verità risiede nella mescolanza dei generi, non in una forma magniloquente, ma nell'analisi parabolica delle realtà intrecciate. Trovo questo percorso molto interessante e oggi constato che è valsa la pena seguirlo.

IN UNA LUNA CHIAMATA EUROPA HAI USATO PIÙ EFFETTI SPECIALI CHE IN WHITE GOD. PARLACI DI QUESTA ESPERIENZA.
In White God non abbiamo praticamente utilizzato effetti digitali. Abbiamo pianificato Una luna chiamata Europa allo stesso modo, dandoci da fare per trovare una soluzione. Evidentemente, è arduo mostrare qualcuno che sta volando senza ricorrere agli effetti speciali! E il personaggio principale in diverse scene si sposta a trenta o quaranta metri da terra. Ai miei occhi gli effetti speciali non hanno lo stesso valore, dipende da come li si usa. Se usati appropriatamente, possono costituire un immenso spazio creativo. Altrimenti, risultano di cattivo gusto, artificiali. In questo film girato in 35mm coesistono classico e moderno. Abbiamo fatto ricorso agli effetti speciali solo in caso di necessità, e sempre in relazione con la realtà.

GIRARE UN THRILLER TI HA DATO L'OPPORTUNITÀ DI FILMARE ALCUNE ESALTANTI SCENE D'INSEGUIMENTO, A PIEDI O A BORDO DI VEICOLI. QUESTO TIPO DI SCENE MOLTO COREOGRAFICHE RICORRE NELLA TUA FILMOGRAFIA. RACCONTACI QUESTO ASPETTO DEL SUO LAVORO.
Fare un film di questa dimensione è stata una sfida enorme. Non avevo mai costruito scene così ampie. Ero anche entusiasta all'idea di ri-pensare un tipo di sequenze molto conosciute dal pubblico e ben eseguite da tanti registi prima di me. Come creare una scena d'inseguimento d'auto che non sembri un inseguimento d'auto? Non ha senso entrare in competizione per imitare scene d'inseguimento che sono già state fatte alla perfezione. Dovevamo trovare delle soluzioni tutte nostre. A questa difficoltà si aggiungeva il fatto che il film è già molto coreografato per via della sua natura multiforme. Gli sfondi sono importanti quanto lo sono i primi piani. Ogni angolo apparentemente realista e tutti i minuscoli dettagli dovevano essere rilavorati e inseriti nell'insieme. Abbiamo dovuto spostare vasti pezzi di scenografia. Volevamo mostrare una città affollata, soffocante, sovrappopolata, nella quale solo i momenti in cui il personaggio vola donano una vera pace. Così, noi stessi abbiamo vissuto in questa città plumbea e sovraffollata.

CONTINUI A LAVORARE PER IL TEATRO?
Sì, il mio lavoro nel teatro e nell'opera continua. Dopo White God mi sono occupato di tre spettacoli. L'opera è un'esperienza straordinaria. Ho compreso che l'amo davvero perché mi permette di vivere delle cose che solo molto raramente si incontrano nella vita vera. In Ungheria ho anche una mia compagnia teatrale, il Proton Theatre. Due dei nostri progetti recenti erano Viaggio d'inverno, basato sul ciclo per piano e voce (i lieder) di Schubert, e Lo specchio della vita, adattamento molto libero del melodramma di Douglas Sirk. In realtà, è l'interpretazione forzata di un nuovo linguaggio teatrale: quattro personaggi, due scene, minimalista in ogni aspetto. A questo punto, non so per quanto tempo sarà possibile mantenere l'armonia fra lavoro teatrale e cinematografico, anche se è vero che le due esperienze si nutrono mutualmente, permettono di equilibrare i successi e gli insuccessi. Questo dialogo permanente è per me estremamente produttivo e fonte d'ispirazione. Attualmente, sto lavorando a I tessitori di Gerhart Hauptmann che andrà in scena ad Amburgo.

PROGETTI FUTURI?
Mi piacerebbe adattare il romanzo di Vladimir Sorokin Ghiaccio. Ci penso da dieci anni e credo sia giunto il momento di farlo. In realtà, il film rappresenterebbe il terzo capitolo di una trilogia sulla fede iniziata con con White God e proseguita con Una luna chiamata Europa. Mi sento pronto alla sfida, a portarla avanti, a continuare su questa strada. Una cosa è certa: ho un'incredibile fame di raccontare nuove storie. Immediatamente.

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