Poster La promessa dell’alba

La promessa dell'alba (2017)

La promesse de l'aube
Locandina La promessa dell'alba
La promessa dell'alba (La promesse de l'aube) è un film del 2017 prodotto in Francia e Belgio, di genere Biografia e Drammatico diretto da Eric Barbier. Il film dura circa 131 minuti. Dall'omonimo romanzo autobiografico di culto scritto da Romain Gary. Il cast include Pierre Niney, Charlotte Gainsbourg, Didier Bourdon, Jean-Pierre Darroussin, Catherine McCormack. In Italia, esce al cinema giovedì 14 Marzo 2019 distribuito da I Wonder Pictures.

Dalla difficile infanzia in Polonia all'adolescenza a Nizza, per poi arrivare allacarriera da aviatore in Africa durante la seconda guerra mondiale… Romain Garyha vissuto una vita straordinaria. Ma questo impulso a vivere mille vite, adiventare un grande uomo e un celebre scrittore è merito di Nina, sua madre.Sarà proprio il folle amore di questa madre possessiva ed eccentrica che loporterà a diventare uno dei più grandi romanzieri del ventesimo secolo, e acondurre una vita piena di rocamboleschi colpi di scena, passioni e misteri. Maquell'amore materno senza freni sarà anche un fardello per tutta la sua vita. 

Info Tecniche e Distribuzione

Uscita al Cinema in Italia: giovedì 14 Marzo 2019
Uscita in Italia: 14/03/2019
Data di Uscita USA: giovedì 22 Novembre 2018
Prima Uscita: 20/12/2017 (Francia)
Genere: Biografia, Drammatico, Romantico
Nazione: Francia, Belgio - 2017
Durata: 131 minuti
Formato: Colore
Distribuzione: I Wonder Pictures
Soggetto:
Dall'omonimo romanzo autobiografico di culto scritto da Romain Gary.

Immagini

[Schermo Intero]

INTERVISTA A ERIC BARBIER – IL REGISTA

Come è nata l'idea di fare un film a partire dal romanzo La Promessa dell'alba?
La promessa dell'alba è un romanzo che il produttore Eric Jehelmann desiderava adattare per il cinema da molto tempo. Me ne parlò la prima volta non appena seppe che i diritti sarebbero stati disponibili. Personalmente non conoscevo tutte le opere di Romain Gary, ma avevo letto alcuni dei suoi libri più importanti. Ai miei occhi Gary era soprattutto un personaggio romantico ed enigmatico, marito di Jean Seberg e creatore di quella formidabile mistificazione letteraria che è stata Émile Ajar. Gary è doppio, triplo, plurimo. Ambasciatore, cineasta, scrittore, si nasconde spesso sotto psedonimi, a volte è polacco, a volte russo, francese, o un ebreo la cui madre si reca dal Papa se qualcosa non va per il verso giusto e che si descrive regolarmente come un orientale, le volte in cui non si definisce come tartaro… La Promessa dell'alba, che ho letto per la prima volta al liceo, è un grande libro che offre un chiarimento formidabile sulla sua personalità inafferrabile. Il progetto mi ha incuriosito da subito e mi sono tuffato a capofitto nel progetto focalizzandomi su come realizzare al meglio l'adattamento di un libro simile.

Quali sono le inquietudini che affliggono un cineasta quando ha a che fare con l'adattamento per il cinema di un grande classico?
LA PROMESSA DELL'ALBA è un racconto picaresco, un romanzo di avventura e di iniziazione che racconta 20 anni della vita di Romain Gary e di sua madre, i quali si imbattono in una vicissitudine dopo l'altra, viaggiando di paese in paese. La loro vita è un susseguirsi di occasioni afferrate o mancate, di incontri, di azzardi finiti bene e di azzardi finiti malamente. È una sovrabbondanza di situazioni. La materia prima del romanzo batte l'immaginazione e ci mette davanti ad una moltiplicità vertiginosa di scene. Per riuscire a mantenere l'essenza del romanzo è necessario pensare a una divisione per scene, riducendone la lunghezza di almeno due terzi. Ho sezionato il romanzo in piccole unità d'azione: alla fine del libro, ero arrivato a selezionare qualcosa come 876 unità… Era assolutamente necessario ridurre il tutto. O meglio, concentrarlo. Non ho smesso nemmeno un minuto di chiedermi fino a che punto fosse considerato accettabile o meno il tradimento nei confronti dell'originale. Volevo essere il più fedele possibile allo spirito del romanzo.

Nel romanzo la continuità storica è totalmente sconvolta: si passa di continuo da un'epoca all'altra…
Sì, è vero, soprattutto all'inizio del romanzo. Gary ha strutturato il romanzo in tre grandi atti: l'infanzia nell'Europa dell'Est, l'adolescenza in Franci e l'età adulta durante la guerra ma spesso, durante il racconto, troviamo dei momenti in cui si va avanti e indietro nel tempo: Gary lega così tra di loro le differenti epoche e ciò gli permette di analizzare e sviluppare diversi temi, idee e riflessioni sul suo passato. Questo espediente funziona molto bene in letteratura, ma è una strada non percorribile nel cinema. Ho dovuto, quindi, riorganizzare le mie unità d'azione seguendo l'ordine cronologico della storia prima di comprimere la sceneggiatura e riuscire ad avviare un approccio più cinematografico. La narrazione nel film risulta organizzata in un modo più classico rispetto al libro: questo espediente è stato necessario per dare maggiore risalto alla dimensione epica e iniziatica della storia narrata, volevo che lo spettatore potesse seguire tutto nel modo più semplice possibile. Adattare un libro è un esercizio di lealtà piuttosto particolare, che si è rivelato ancora più particolare trattandosi di un libro di Gary…

Perché?
Perché in LA PROMESSA DELL'ALBA il vero e il falso, il reale e l'immaginario si mescolano continuamente. Si tratta di un racconto autobiografico in cui la memoria è sublimata e i ricordi ricostruiti.  Alcuni episodi del libro che immaginavo come falsi si sono rivelati essere veri, mentre altri importanti avvenimenti della sua gioventù – scoperti solo dopo l'apertura degli archivi di Wilno nel 2014 in occasione del centenario della sua nascita, non sono mai stati menzionati. Ad esempio, Romain Gary aveva un fratello maggiore nato dal primo matrimonio di sua madre. Joseph ha passato un anno intero a Wilno con Romain quando quest'ultimo aveva all'incirca 10 anni, dopodichè Joseph è partito per Wiesbaden, dove è morto poco dopo a causa di una grave malattia all'età di 20 anni.

In effetti, uno scrittore come lui non può smettere di adattare la sua storia nel raccontarla.
Esattamente. Attinge dalla materia reale del suo passato, ma poi la trascende per renderla epica e straordinaria. E lo fa rispettando questo strano vai e vai di epoche con countinui salti temporali. Un'altra delle principali difficoltà nell'adattamento consisteva nel rendere concreto il quadro in cui si sviluppa la storia. Se osserviamo bene il libro, ci rendiamo conto che i dettagli sono pochi. La realtà non è mai descritta con precisione ed è, in un certo senso, astratta e il contesto non è mai delineato. Se la scena si svolge a Wilno, cosa devo filmare esattamente? Cosa devo mostrare? Come si presenta il quartiere in cui vivono Romain e sua madre? Mi hanno accompagnato a fare delle ricerche senza tenere conto del libro, al fine di riuscire a rappresentare i luoghi e le persone evocate nel libro, oltre a rappresentare al meglio il tessuto sociale delle diverse città attraversate dai protagonisti. Per quanto riguarda Wilno, due libri in particolare mi hanno aiutato molto nelle ricerche. Il primo è "Yossik: Une enfance dans le quartier du vieux marché de Wilno", 1904-1920, di Joseph BULOV: un gioiellino! Racconta la storia di un ragazzo a Wilno nel 1918 e, contrariamente al libro di Gary, questo è caratterizzato da minuziose e dettagliate descrizioni della città. Il secondo è un libro storico "Vilna, Wilno, Vilnius la Jérusalem de Lituanie" di Henri Minczeles. Sono letture, queste, che mi hanno permesso di ricreare la grana della realtà dell'epoca. Per me è stato fondamentale leggere libri di questo tipo, vedere delle fotografie e recarmi sul posto per potermi fare un'idea più precisa della location e dell'atmosfera che si respirava in quei luoghi.

Questa tua necessità di realismo e di precisione nella documentazione non era presente in Gary, ma nel film hai ricreato anche delle scene che ricordano il passato sublimato descritto da Gary e di cui parlavi poco fa. Mi viene in mente, ad esempio, la prima sequenza a Wilno: sei riuscito a creare un'ambientazione inquietante attraverso la neve e la nebbia. Nel vederla pensiamo che si tratti della ricostruzione di un episodio del passato, una specie di sogno…
Ciò che dici è vero, ma non penso che ci siano contraddizioni tra il desiderio di rappresentare precisamente la realtà del passato e la preoccupazione di restare fedele al modo in cui Gary era solito trasfigurare e sublimare i suoi ricordi. Serve a capire da dove è partito lo scrittore, per lasciare una sua traccia, farsi un'idea sulla realtà di Wilno per misurare il cammino percorso durante il suo lavoro di scrittore. Riguardo alla prima sequenza a Wilno, volevo ricreare un quadro astratto, con la nebbia, la grande strada vuota, la neve…  Si tratta della prima scena in cui figlio e madre s'incontrano. Nina appare come un mostro: pensiamo che stia camminando dietro al bambino, ma poi appare all'improvviso davanti a lui. Romain la teme. In seguito a questo primo loro incontro Nina rivela a Romain il suo programma: «Tu avrai un'automobile, sarai ambasciatore della Francia, tu sei il più grande, tu sei il più bello…» Ci viene mostrato il cuore del film. Per questo ho immaginato questa scena come una scena onirica.

Poco fa hai espresso la tua preoccupazione nell'essere fedele al lavoro dello scrittore che torna al suo passato. Hai avuto dei momenti di esitazione nel citare il suo testo oppure hai scelto fin da subito che era necessaria una voce fuori campo per dare corpo alla sceneggiatura?
Durante tutto il romanzo, Romain Gary commenta, analizza e medita sul suo cammino e fin dall'inizio sapevo che la voce fuori campo sarebbe stata fondamentale e onnipresente. Il testo di Gary doveva essere il filo conduttore del racconto che mi permetteva di offrire un contrappunto, spesso divertente. La voce fuori campo racconta dei fatti a volte tragici con leggerezza, ironia, tenerezza con una modalità che sfugge all'autocommiserazione, al melodramma e all'autocompiacimento.

Per introdurre la voce fuori campo, cambi la struttura del racconto che Romain Gary aveva immaginato. Il romanzo La promessa dell'alba inizia sulla spiaggia di Big Sur in California dove un uomo solo, rivolto verso il mare, è intento a riflettere sulla sua vita. Il film comincia in Messico, dove Gary è in viaggio con la sua prima compagna: a cosa è dovuto questo cambiamento?
Le pagine che raccontano il Big Sur sono crepuscolari. Sono di certo le pagine più commoventi e malinconiche del romanzo, ma non mi permettevano di trovare un legame tra film e libro. Non volevo che lo spettatore comprendesse da subito che la voce fuori campo che lo avrebbe accompagnato nelle due ore del film era, in realtà, la stessa del libro. L'idea mi è venuta leggendo "Romain, Un regard particulier", il libro di Lesley Blanch, prima compagna di Romain Gary. Blanche racconta che, mentre era Console della Francia a Los Angeles, avevano deciso di partire insieme per il Messico per assistere alla Festa dei Morti. Quindi si erano fermati in una piccola città e avevano programmato una serie di visite turistiche. Ben presto, però, Gary ha avuto una crisi. Si chiude nella camera dell'hotel e dice di dover lavorare. È in quel momento che ha inizio La promessa dell'alba. Non so fino a che punto sia una finzione di Lesley Blanch o un episodio di vita in comune con Gary, ma ha raccontato quest'ultimo quando aveva mal di testa era convinto di avere un tumore al cervello e immaginava di essere in punto di morte. Da qui la decisione di ripartire immediatamente e di andare a consultare un medico. Si trovavano a numerose ora di macchina dalla capitale, così il film comincia quando Lesley legge la prima bozza del romanzo durante il tragitto. Questo mi ha permesso di stabilire un legame diretto tra la voce narrante e il romanzo. Per lo spettatore, la voce fuori campo deve essere chiaramente quella di Lesley che legge il libro. Lo spettatore entra nel romanzo assieme alla sua prima lettrice. Comprende così che La promessa dell'alba è la storia di uno scrittore che racconta una parte della sua vita.

Ti sei ispirato a qualche film in particolare per questo adattamento?
IL PICCOLO GRANDE UOMO di Arthur Penn, a sua volta adattamento del libro di Thomas Berger, è il film a cui ho spesso fatto riferimento nel mio lavoro per questo film.

Un riferimento inaspettato!
Si tratta di un film western che adoro e rivederlo, focalizzandomi sulla sua struttura e costruzione, mi ha aiutato molto. Mi sono chiesto: "Come potevo fare per adattare un romanzo che è composto da molteplici episodi, differenti epoche, numerosi luoghi, e narrato da una voce fuori campo?". Ero curioso di vedere come Arthur Penn avesse affrontato la stessa questione. IL PICCOLO GRANDE UOMO e La promessa dell'alba hanno in comune la stessa abbondanza di situazioni, spassose e sorprendenti, che trasportano i protagonisti da un luogo all'altro, trascinandoli in un susseguirsi di incontri, passando da sconfitte a successi, da delusioni a belle sorprese, da illusioni a delusioni, attraversando la Storia. In entrambi il protagonista è un uomo diviso tra due culture, che vive spesso situazioni di forte conflitto a causa di questa sua duplice appartenenza. In La promessa dell'alba, quando il protagonista è in Polonia viene schernito per via del suo atteggiamento da francese e pensa che la sua presenza sia attesa in Francia. Una volta in Francia, però, viene umiliato e preso in giro per il fatto di essere un ebreo polacco. Jack Crabb, invece, protagonista de IL PICCOLO GRANDE UOMO, viene regolarmente minacciato di morte dai bianchi per via delle sue origini indiane, oltre ad essere minacciato dagli indiani perché bianco. In entrambi i casi viene messo in evidenza un filo narrativo che definirei "inversione di valori", che permette di sottolineare l'assurdo, la contraddizione e un affascinante divario tra ciò che appare e ciò che è in realtà. Questo procedimento prende in contropiede le nostre idee e fa oscillare le nostre convinzioni e la nostra morale.

La promessa dell'alba è un racconto che si sviluppa nel corso di una trentina di anni e attraverso diversi Paesi, con sequenze di guerra spettacolari. Tenuto conto dell'ampiezza del progetto, è stata presa in considerazione l'ipotesi di realizzarlo in inglese?
È vero che la lingua inglese diventa una questione in termini economici quando abbiamo a che fare con un film dal budget elevato… Tuttavia, girare La promessa dell'alba in inglese sarebbe stata un'eresia e i produttori ne erano consapevoli fin dall'inizio.

Anche perché la Francia è a sua volta uno dei temi del racconto, non è vero?
Esattamente. LA PROMESSA DELL'ALBA è la storia di una madre che sogna una Francia idealizzata e che trasmette a suo figlio il desiderio e la volontà di diventare francese. E' come uno dei tanti turisti che fantasticano ammaliati dal cibo, dall'eleganza, dallo charme francesi… «La Francia è la cosa più bella del mondo» – dice la donna con il suo sorriso naïf. «E' per questo che voglio che tu sia un francese». Così scrive Romain Gary mentre ricorda cosa gli ripeteva sempre la madre. Nel libro, il fatto che il protagonista passi il suo tempo a cercare di apprendere il più possibile dalla realtà francese e a cercare tracce di quell'ideale, che in sua madre appare così chiaro e forte, dà vita a molte sequenze emblematiche.

«Con l'amore materno, la vita fa all'alba una promessa che non potrà mai mantenere»
Come quando, per nascondere il fatto che lui abbia rifiutato la carica di sottotenente a causa delle sue origini ebree e del fatto che sia stato naturalizzato da troppo poco tempo, il figlio fa credere alla madre di essere stato punito per avere sedotto la donna del suo diretto superiore.  L'immagine del seduttore – tipicamente francese – che egli suscita attraverso questa menzogna, diventa successivamente motivo di orgoglio per la madre. La Francia è parte integrante del percorso iniziatico del figlio: l'amore per questo paese guida il destino dei due personaggi dall'inizio alla fine. Gary scrive infatti che «sebbene non ci sia in lui una sola goccia di sangue francese nelle sue vene, è la Francia stessa che scorre in lui».  Data l'importanza che questo tema riveste nella narrazione, sarebbe stato un controsenso realizzare il film in inglese. La bandiera francese, la Marsigliese, la cultura francese ma soprattutto la lingua francese fanno pienamente parte della storia narrata. Il francese è la lingua scelta da Gary per scrivere il romanzo mentre vive e lavora a Los Angeles. Credo che fosse importante anche per Diego Gary, il figlio di Romain, che il film fosse girato in francese.

Spesso per fare riferimento a Romain e a sua madre utilizzi il termine "coppia"…
LA PROMESSA DELL'ALBA è la storia di una coppia profondamente legata.   Mi sono basato su questa idea. Nel romanzo sono presenti molte digressioni relative alla vita di Gary, ma io volevo restare concentrato sulla storia della coppia, perchè questo è il soggetto principale del racconto. Da qui parte l'elaborazione di tutto il film: tutto quello che accade intorno alla coppia. Questo è l'elemento che mi aveva maggiormente affascinato del romanzo. Il protagonista non ha amici e, nei rari momenti in cui li ha, questi scompaiono immediatamente. I personaggi di contorno sono solo delle sagome, più o meno consistenti, che restano ai margini del percorso che intraprendono Nina e Gary. Si tratta di persone che li amano e che danno loro aiuto, ma che non riescono mai a far parte del loro progetto. Soprattutto nel caso di Romain: «Devo far esistere mia madre, devo renderla una celebrità». Credo che tutto il libro ruoti attorno a questo desiderio, questa è la ragione dell'esistenza del romanzo stesso: volevo che il film lo rispecchiasse.

Come hai dato forma a questo tema?
Prima di tutto si tratta di una duplice promessa. Nina promette al figlio di amarlo sempre, non importa cosa possa accadere, e di sostenerlo in modo indiscriminato. In cambio Romain le promette che avrà successo e che diventerà famoso. Il film, quindi, parla di un figlio che si batte affinchè il sogno della madre si realizzi, da qui emerge anche il tema della giustizia e della vendetta. Gary vuole vendicarsi di tutte le ingiustizie che la madre ha subito. Si tratta di un sentimento elementare, presente nei bambini: la sofferenza di vedere i genitori sviliti e umiliati può generare in loro una rabbia potente. La scena, all'inizio del film, che vede la madre offesa dalla polizia e vittima di una violenza terribile e oscena segna un momento cruciale. Credo che il romanzo sia legato indissolubilmente a questa violenza, che agli occhi di un bambino assume delle dimensioni gigantesche, oltre a segnare la sua crescita personale. Arriva a pensare «Devo vendicare mia madre nella società. Mia madre è più forte di così, voglio che la gente sappia com'è realmente». La ragione per la quale scrive La promessa dell'alba è proprio ridare a sua madre il suo posto nel mondo, è l'unica cosa che può fare per lei. Anche questo purtroppo questo lo porterà a precipitare nella malinconia quando la madre morirà prima che lui riesca a mantenere la sua promessa. Un dolore che lo spettatore percepisce intensamente e che ritroviamo anche nelle pagine di Big Sur. La madre non verrà mai a conoscenza del fatto che il filgio sia diventato uno degli scrittori francesi più noti del XX secolo, che abbia avuto la nomina di Console, che sia ricco e abbia successo con le donne: Gary ha tutto quello che la madre voleva per lui ed è riuscito a diventare il personaggio che lei stessa aveva inventato.

La promessa dell'alba è la storia di una possessione…
Romain Gary ha scritto frasi folli e decisive a questo proposito. Nel romanzo ha descritto sua madre come un personaggio eroico e che merita un posto nella storia.

Nel libro ci sono pochi accenni al padre. Nel film invece è una figura totalmente assente.
Confermo, ma non credo che questo sia un motivo di infedeltà verso il libro. In alcuni capitoli del libro si accenna a un possibile legame di parentela con Yvan Mosjoukine, celebre attore del cinema russo. In alcune interviste racconta di discendere dai tartari… Non si sa quale sia la verità, non dice mai ad esempio che suo padre era un pellicciaio. È presente qualche accenno sporadico al padre, per esempio Gary racconta il momento in cui ha ricevuto una lettera che lo informava della morte del padre ad Auschwitz. Nel film ho inserito la scena in cui, all'interno dell'abitacolo della macchina, Lesley Blanch gli domanda «Ma voi non parlate mai di vostro padre?» e Romain risponde «Non ho mai conosciuto mio padre, ma mio padre è diventato mio padre quando ho appreso della sua morte a causa di una crisi cardiaca ad Auschwitz, davanti alla camera a gas». L'oggetto del racconto è la costruzione di una figura materna assoluta e totalizzante. Rendere il padre invisibile nel film permette di mostrare che Nina ricopre il duplice ruolo di madre e padre. Non c'è spazio per nessun altro tra lei e suo figlio.

Lo spettatore, vedendo questa madre con il suo amore mostruoso in bilico tra il sublime e il terribile, non può fare a meno di domandarsi: per suo figlio si rivela come una buona o una cattiva madre?
Si tratta di un quesito onnipresente. Per tutta la sua infanzia e la sua giovinezza, Romain a vissuto corcondato da un amore illimitato, ma ha avuto modo di confrontarsi anche con l'umiliazione, i litigi, le crisi. La madre lo mette spesso in imbarazzo e a volta arriva anche a essere violenta con lui. Abbiamo lavorato molto con Charlotte Gainsbourg su questo aspetto: l'amore incondizionato di una madre e la sua feroce richiesta. Di fronte al desiderio della madre, non ha altra scelta che seguirla e andare contro tutto e tutti. Il destino che la madre gli promette è grande, ma è stato pianificato con largo anticipo. Non è libero e non ha nessuno spazio per poter scegliere, è la madre a ordire e gestire tutta la sua vita. La madre ha anche un lato stravagante, bislacco, a tratti comico… Questa sua personalità produce delle situazioni improbabili, come quando vuole convincere il figlio a partire per Berlino per andare a uccidere Hitler, per poi cambiare fortunatamente idea. Ciò che apprezzo di Gary è che costruisce un personaggio, quello della madre, totalmente fuori dalle regole, a tratti al limite del mostruoso e dell'inqiuetante, e a tratti divertente e commovente, capace di risvegliare nello spettatore sentimenti comuni. Certo, non è che tutti abbiamo avuto una madre così ingombrante e megalomane, ma il romanzo vuole rivolgersi a tutti, perché tutti noi abbiamo condiviso durante l'infanzia un rapporto difficile con i desideri che i nostri genitori avevano per noi e il sentimento di vergogna che ne poteva derivare. Le scene del film in cui il figlio appare imbarazzato, a disagio e a volte sopraffatto dalla vergogna sono spesso divertenti perché legate agli eccessi della madre.

Nel film appare la sequenza in cui Nina sorprende il figlio mentre perde la verginità, una scena che ricorda un numero da commedia di burlesque che segna l'apice della componente comica che è presente un po' in tutto il film.
LA PROMESSA DELL'ALBA è un romanzo drammatico e intenso, in cui Gary mescola sapientemente momenti più leggeri, divertenti e ironici. Nel romanzo la scena in oggetto è descritta in modo ridicolo e grottesco. Non ho potuto inserire nel film tutti i momenti divertenti descritti nel libro: ho adorato, ad esempio, le pagine in cui si racconta il momento in cui Nina scopre che il figlio ha messo in vendita degli oggetti del loro appartamento per poter andare a prostitute e si scopre fiera di lui perché "sta diventando un vero uomo". Nel film si ride spesso ma, fatto eccezione per quanto riguarda la scena della perdita di verginità, che è in effetti piuttosto spassosa e grottesca, ho cercato di non sovrastare mai i personaggi.

In che senso?
Quando Nina dice al figlio che devono andare a uccidere Hitler, non sta scherzando, è sicura di dover mandare il figlio a Berlino per salvare la Francia. L'effetto comico proviene proprio da questa sua convinzione assoluta. Ciò che mi piace è che sia lo stesso Gary a prendere sul serio le richieste della madre e a non ironizzare mai su di esse. Gary non la guarda mai dall'alto al basso, non la disprezza mai per la sua stravaganza e la sua follia. L'unica regola che hanno è che le richieste della madre debbano essere rispettate e accolte: il figlio deve seguire la rotta delineata dalla madre. Le scene comiche sono dovute proprio al fatto che il figlio non prenda mai alla leggera le parole della madre, al contrario le segue alla lettera difendendola nelle sue scelte e dandole sempre ragione.

Avevi già in mente gli attori che avresti scelto mentre scrivevi la sceneggiatura?
No, ho preferito non pensarci. Avevo anche un problema non da poco: il racconto si sviluppa nel corso di 30 anni, quindi avrei dovuto mostrare i personaggi nel loro naturale processo di invecchiamento. Per incarnare Romain Gary sapevo che avrei dovuto scegliere obbligatoriamente tre interpreti differenti: un bambino, un adolescente e un adulto. La sola idea mi spaventava molto. Avevo bisogno di un bambino perfettamente bilingue, francese e polacco. Ho fatto il casting ha circa 580 ragazzini tra Polonia, Belgio e Francia. Inoltre lavorare con un bambino è molto difficile. Pawel mi ha colpito perché aveva qualcosa di diverso dagli altri bambini: una naturalezza disarmante mentre improvvisava. L'ho visto già dal nostro primo incontro. Stava per compiere 9 anni quando abbiamo iniziato a girare il film e da subito ha dimostrato una grande concentrazione e un incredibile affiatamento con Charlotte, dato che entrambi amano improvvisare. Per il Romain adolescente ho pensato a Nemo Schiffman, che conoscevo già e che all'epoca doveva avere tra i 14 e i 15 anni: abbiamo fatto un provino, ma ho capito subito che lo avrei scelto. Ero molto preoccupato, però, per le scene con Mariette che sono piuttosto stravaganti ma anche molto sensuali ed erotiche: Nemo e Lou Chauvain (che interpreta Mariette) hanno preso tutto con umorismo, divertendosi molto. Se fosse capitato a me alla loro età, ne sarei stato terrorizzato! A questo punto non mi rimaneva che cercare il mio Romain adulto. Ero conscio che pochi attori sarebbero stati in grado di far rivivere il personaggio dai 18 ai 44 anni.

Hai pensato subito a Pierre Niney?
Per me era l'unico attore che, per talento e per caratteristiche fisiche, poteva essere in grado di interpretare tutto il periodo narrato nel film. Inoltre, ama molto Romain Gary e lo ha letto più volte: per questo motivo si è sentito libero di dare suggerimenti e fare proposte durante le riprese. Pierre si è dimostrato un attore molto esigente e totalmente immerso nello spirito del film. Pierre è molto giovane, ma anche dotato di una maturità impressionante per la sua età.

È stato difficile decidere a chi attribuire il ruolo di Nina?
In passato ho incontrato spesso Charlotte Gainsbourg e da molto tempo avevo voglia di lavorare con lei. Sono andato a trovarla a New York, dove vive, e abbiamo discusso a lungo sulle scene, sui personaggi, sul contesto storico e sulla storia familiare di Gary. Charlotte mi ha mostrato delle foto della sua famiglia e di sua nonna, che veniva dlla Russia e che, proprio come Nina, si era trasferita in Francia. Volevo che comprendesse a pieno il personaggio di Nina: Charlotte ha studiato il personaggio in modo minuzioso, interrogandosi sui motivi delle sue azioni ma anche sul suo aspetto fisico, dato che Nina è una donna esuberante, concreta e molto fisica. Questo incontro con Charlotte mi ha fatto capire con chiarezza che era la persona giusta per interpretare per Nina.

Com'è stato lavorare insieme?
Fin dal principio mi ha detto: "Non voglio che mi assomigli, è molto diversa da me", cercando un modo per modellare il suo corpo all'immagine data dal libro del peronaggio di Nina. Ogni istante della vita di Nina è una lotta, una battaglia: che tipo di corpo potevamo dare a questa donna che lavora di continuamente, che marcia senza sosta nella fredda e innevata Wilno, che fuma come una ciminiera notte e giorno? All'inizio pensavamo che sarebbe stato necessario modificare il fisico di Charlotte: abbiamo fatto fare delle protesi e delle parrucche e Charlotte, un po' alla volta, ha dato vita ad una mutazione completa del personaggio. Se ne impossessa… o meglio, è Nina che si impossessa di Charlotte! Charlotte ha ripreso persino a fumare per riappropriarsi dei gesti automatici ticipi dei fumatori. Nina è una donna sempre molto stanca, non smette mai di lavorare, di scapicollarsi, di trasportare cose da un posto all'altro. Charlotte ha incorporato tutto questo e una volta vestita e truccata è diventata Nina, il personaggio della madre mostruosa esce dalla sua gabbia e lo spettacolo è iniziato. Un giorno Charlotte mi ha proposto di dare un accento a Nina. Io inizialmente ero contrario, temevo di farla cadere in una caricatura, ma lei ha insistito. Immaginavo che a Wilno Nina parlasse in francese con il figlio e in polacco con le persone con cui lavorava, ma non mi sono mai realmente posto il problema del suo accento come un aspetto cruciale. Charlotte ricordava l'accento di sua nonna, che certamente doveva essere molto simile a quello di Nina nella realtà, e mi ha chiesto di poter provare. Il primo giorno di riprese il suo accento aderiva perfettamente al personaggio. Charlotte è un'attrice incredibile, sempre disponibilie a nuove idee.

Quale è stata la scena più difficile da girare?
Potrei citare le scene tecnicamente più complesse, come qulle girate nel deserto in Marocco o quelle dei combattimenti degli aerei in volo o ancora le scene ambientate nella neve… Ma credo che l'episodio più difficile sia stato quello in cui Romain assiste alla perquisizione dell'appartamento da parte della polizia. Pawel, ovvero Romain bambino, piange davanti alla violenza dei gendarmi. E' stato molto stancante riuscire a rappresentare l'emozione giusta in questa scena: mostrare la sofferenza di un bambino che vede la madre subire un'umiliazione.

Immagino che anche l'ultima parte del film, quella relativa alla guerra, sia stata difficile da girare…
Dal punto di vista tecnico, assolutamente sì. Il bombardiere pilotato da Gary non esiste più in Europa, gli unici due modelli tuttora esistenti si trovano negli Stati Uniti, ma si tratta di modelli nuovi e custoditi da collezionisti. Io, invece, mi immaginavo un modello usurato dal tempo e dai voli, ammaccato a causa dei colpi ricevuti in battaglia. Abbiamo quindi utilizzato quattro bombardieri d'epoca che assomigliavano il più possibile al modello Boston del romanzo e ne abbiamo ricreato le caratteristiche principali.

L'ultima parte è molto spettacolare, ricorda molto il grande Cinema d'azione, e tutto gira intorno al faccia a faccia tra la madre e il figlio. È come se il film di guerra si mettesse al servizio di un dramma famigliare tra i due personaggi…
È un aspetto che ritengo molto importante. Tutte le azioni che Romain compie in questo periodo, tutti i rischi a cui si sottopone sono legati alla promessa che ha fatto alla madre. Volevo che il film mantenesse il suo focus centrale nonostante la violenza e la forza delle scene di guerra. Questo è l'aspetto che amo del film. Ogni giorno Romain mette a rischio la sua vita, ma non si dimentica mai di due aspetti importanti: finire il libro di Educazione Europea e liberare la Francia per riuscire a ritrovare la madre. La prima cosa che fa Romain una volta salito sul bombardiere è posizionare una foto della madre di fronte alla postazione di comando. Lo sguardo di Nina lo spinge ad andare avanti e la guerra è un trampolino che dà la spinta a Romain per mantenere la sua promessa.

Perchè LA PROMESSA DELL'ALBA è ancora oggi una lettura e una visione attuale?
Credo sia per la sua atmosfera particolare, tragica ma allo stesso tempo gioisa e piena di speranza, tolleranza ed eroismo. Gary non è né lamentoso né moralizzatore. Porta avanti il desiderio di vedere sempre la parte migliore di noi e di riuscire, un giorno, a realizzare i propri sogni. Per lo spettatore non è difficile identificarsi nei protagonisti di La promessa dell'alba perché altro non è che il racconto di un perscorso di iniziazione.

Lo è anche se il percorso si sviluppa in modo del tutto diverso da come accade di solito?
È la storia di un ragazzo che diventa uomo non – come accade di solito – emancipandosi dal nido famigliare, ma al contrario conformandosi ai desideri della madre. Romain, a un certo punto, dice "Dio aveva dimenticato di tagliarmi il cordone ombelicale". Credo che sia proprio questo aspetto a rendere interessante il racconto. Inoltre, la storia di un amore tra madre e figlio è sempre una storia universale che non passa mai di moda! La fede incondizionata che dimostra Nina nei confronti del figlio porta alla luce un quesito che tutti noi ci siamo posti almeno una volta nella vita: in che modo siamo stati amati ai nostri genitori? Può essere che senza rendercene conto abbiamo conosciuto una forma di amore assoluto? Oppure, al contrario, avranno sofferto molto la mancanza di un amore e invidieranno l'esperienza privilegiata che ha provato Gary. Tuttavia, nell'invidarlo, ci rendiamo conto allo stesso tempo degli effetti collaterali che questo tipo di amore può aver causato: la continua ricerca di un ideale che non potrà mai essere raggiunto, la sensazione di non essere mai soddisfatto, la paura di non essere mai all'altezza, di sentirsi in colpa per non poter ricambiare tutto ciò che ci è stato donato, il senso di totale disillusione verso altre forme di amore. Romain Gary si adopera ogni giorno per mostrare tutto ciò che di buono ha ricevuto da questo accanimento amoroso.

Il tema della Francia, incastrata tra la sua realtà odierna e quella che è stata, insieme al tema dell'immigrazione, riflettono la situazione attuale: non abbiamo mai visto così tanti titoli di giornale parlare dell'identità della Francia e della situazione dei rifugiati come in questi ultimi anni…
Gary e sua madre sono immigrati polacchi ebrei. Nina prova un amore folle per la Francia, un Paese che ha idealizzato come luogo dove poter finalmente vivere secondo il suo motto libertà, uguaglianza e fratellanza. Il Paese dove le donne, vestite in abiti Paul Poiret, bevono champagne in palazzi nobiliari. Dove Victor Hugo è stato nominato Presidente della Repubblica. Nina è più francese di tutte le francesi messe insieme, ama nel profondo il suo paese d'adozione ancor prima di metterci piede, e niente la allontanerà da questo amore. E' la storia di due ebrei polacchi che scelgono la Francia come patria e la sentono così tanto loro che Gary ne diventa addirittura console e figura di spicco della letteratura. Una storia che si fa beffe di tutti i comunitarismi e protezionismi fiorenti al giorno d'oggi.

INTERVISTA A CHARLOTTE GAINSBOURG – NINA

Conoscevi La promessa dell'alba prima che Eric Barbier ti proponesse il ruolo di Nina?
No, non conoscevo il romanzo di Romain Gary, l'ho scoperto solo dopo. La storia mi ha commosso tantissimo per la sua vastità e per la forza dei personaggi. Mi sono lasciata trasportare completamente dalla scrittura di Eric Barbier e dopo aver letto anche il romanzo originale ho capito a pieno l'immenso lavoro di adattamento fatto per restare fedele all'idea originale. Credo che il fatto di non avere conoscenze pregresse sul lavoro di Romain Gary mi abbia permesso di immergermi senza remore e preoccupazioni e in modo del tutto spontaneo nel progetto. Senza che il riferimento mi schiacciasse.

Come hai raccolto informazioni sul tuo personaggio?
Eric mi ha fornito tutti i documenti possibili. Ho guardato le foto di Nina e seguito le tracce che ha restano di lei, ho cercato nella città della sua giovinezza e nelle differenti epoche che hanno scandito la sua vita. Le informazioni non erano tantissime, per ricreare il personaggio mi sono ispirata molto a mia nonna, dato che in lei avevo riconosciuto qualche tratto di Nina. Il mio personaggio include Nina, le informazioni e le percezioni che sono riuscita a raccogliere su di lei e mia nonna paterna. Ad esempio, ho pensato subito al suo accento polacco come ad un accento russo che mi era famigliare e proveniva da mia nonna… Queste due donne venivano dallo stesso mondo e possedevano la stessa cultura: per questo, ai miei occhi, sono molto simili. Mia nonna era una persona meno scomoda e ingombrante rispetto a Nina, ma comunque molto forte. Credo si assomigliassero molto anche nel rapporto con il proprio figlio maschio. Per Nina si trattava dell'unico figlio maschio, mia nonna invece aveva altre figlie ma il preferito era il figlio maschio e da lui si aspettava tanto anche se, forse non in modo così estremo e possessivo come in La promessa dell'alba.

Quindi possiamo dire che le emozioni che hai provato leggendo la sceneggiatura e il libro si sono sommate a un sentimento più intimo derivante dai tuoi ricordi personali legati alla famiglia paterna?
Assolutamente sì! È esattamente ciò che è accaduto. Ho utilizzato i ricordi di mia nonna e di alcune mie fantasie legate alla storia della mia famiglia. Ci sono molte differenze tra i due personaggi, ma anche molti punti in comune. Mio padre è nato in Francia ma, pur non avendo mai messo piede nell'Europa dell'Est, ha sempre avuto una sorta di nostalgia verso le sue origini e ha trasmesso questo sentimento anche a me. La famiglia di mio padre ha lasciato la Russia nel 1917. Mio pare mi ha raccontato, in modo piuttosto romantico, della fuga dei suoi genitori dalla Rivoluzione per venire a trovare rifugio in Francia. Ad esempio mi ricordo la storia dei documenti falsi… Con mio padre e mia nonna, che ho conosciuto all'età di 13 anni, avevamo spesso delle lunghe discussioni sulla guerra, anche se assomigliavano di più a dei racconti di avventura.

Il tema della Francia tanto sognata e idealizzata dalla madre di Romain è uno dei temi centrali di LA PROMESSA DELL'ALBA?
Non ci avevo mai pensato in realtà, ma effettivamente è così. I miei non volevano andare via dal loro Paese, e men che meno volevano andare negli Stati Uniti. Il loro sogno era la Francia, la cultura francese, il mito dell'arte francese… Hanno parfino dato dei nomi francesi ai loro figli: Lucien, Jacqueline, Liliane… più francesi di così!

Quindi hai proiettato l'immagine di tua nonna sul personaggio di Nina.
Sì, è per questo che ho insistito così tanto con Eric per far avere quell'accento al personaggio. Lui all'inizio era totalmente contrario all'idea, temeva diventasse ridicolo. Sei mesi prima di girare mi sono concentrata sullo studio del polacco, è stato un lavoro molto impegnativo, ma ero convinta che Nina avrebbe dovuto avere quell'accento, o almeno qualche inflessione. Era impossibile vedere il personaggio parlare in polacco in alcune scene e in altre in francese con un perfetto accento parigino, pensavo fosse ridicolo. Ho cercato quindi di imporre a Eric, nel modo più dolce possibile, l'idea di dare un accento a Nina e alla fine si è lasciato convincere. Per il processo di costruzione del personaggio sono stati fondamentali la lingua polacca e questo nuovo accento.

Il risultato è ottimo: molto credibile e indispensabile per capire a fondo il personaggio.
Ho avuto dei maestri straordinari. Non ce l'avrei mai fatta da sola.

Dopo aver trovato la voce di Nina, non ti restava che darle un corpo…
Giusto. Mi trovavo in Polonia per girare un altor film quando Eric è venuto a trovarmi e a fare una prima prova dei costumi di scena. E' arrivato con una valigia piena di vestiti d'epoca e li ho provati tutti! Il risultato però non era mai quello che speravamo… Ciò che vedevamo non corrispondeva all'immagine mentale che io ed Eric avevamo di Nina. Il trucco e la fisionomia non funzionavano su di me, inoltre ero troppo sottile per incarnare una donna che ha avuto la vita di Nina. Dovevo prendere peso, camuffarmi, dissimulare il mio aspetto. Non potevo sembrare una parigina travestita che ha passato la sua giovinezza tra le strade innevate di Wilno, avevo bisogno di una corporatura più robusta e definita. Non dovevo avere paura di essere deturpata e di giocare con la mia età e quella del personaggio che dovevo incanare. Per farlo ho utilizzato tutto ciò che avevo a disposizione: costumi, trucco, parrucche, protesi… ho aggiunto seni e fondoschiena finti. Per la prima volta ho capito cosa voleva dire avere una maschera, essere totalmente trasformata come donna e come attrice. Questa sensazione mi ha fatto sentire libera e mi ha permesso di allontanarmi moltissimo da chi sono io realmente. Ero convinta che non stavamo esagerando, però alla fine delle riprese ho avuto paura di vedere il risultato finale. Mi era già capitato anche quando ho lavorato ai film di Lars Von Trier: mi domandavo se non avevessi esagerato, se avesi fatto la figura del clown… Eric, di cui ho grandissima stima e fiducia, mi ha sempre rassicurato.

Cosa ne pensi del personaggio di Nina? Ti faccio questa domanda da spettatore che si trova di fronte al film e che, vedendo Nina insieme al figlio, si chiede inevitalbilmente se avere una madre così sia una benedizione o una maledizione…
Mi sento divisa in due: da un lato sento di amare moltissimo questa donna, dall'altro lato non nego di aver pensato, a volte, che fosse una maledizione perché condanna il figlio a convivere con un enorme peso sulle spalle. Allo stesso tempo, però, gli ha fatto dei bellissimi doni: un carattere forte, un insaziabile appetito per la vita… Non me la sento di giudicarla, non ho voglia di mettermi a riflettere se lei sia un bene o un male per il figlio. Che sia ingombrante è evidente. Non si può però non avvertire l'intensità dell'amore e della passione che questa donna ha verso il figlio. Mi sono fatta travolgere anche io dal suo amore, non volevo – e non potevo – fare retromarcia.

È stato difficile sviluppare il lato comico di questo personaggio, data la sua durezza e il suo destino a tratti straziante? Nina è un personaggio complesso, allo stesso tempo buffo e patetico…
La sceneggiatura è scritta molto bene. L'empatia che riesce a suscitare è fortissima. La trama è incredibile ed è raro avere a che fare con dei dialoghi scritti così bene. Mi sono divertita molto a interpretare il persongaggio di Nina. Anche mia nonna aveva un senso dell'umorismo molto particolare, non troppo distante da quello di Nina.

Per te è stato fondamentale creare un legame tra La promessa dell'alba e la tua storia personale famigliare…
Sì. Mentre lavoravo al film, la storia della mia famiglia mi è tornata in mente spesso. Non parlavo di Gary, ma di mio padre, avevo il bisogno di sentirmi implicata nella storia in questo modo così profondo. A volte mi domandavo se per Eric fosse frustrante avere a che fare con persone che provano un'ammirazione totale verso Gary. Eric è stato molto generoso con me, coinvolgendomi in tutte le tappe del lavoro come se il mio parere fosse importante. E' stato molto premuroso. Penso accadda raramente di essere diretti da un regista che si mette in ascolto dei suoi attori come ha fatto Eric. Volevo che sentisse tutto l'amore che metto nel mio lavoro e volevo stupirlo.

A volte abbiamo l'impressione che Nina nasconda un segreto. E' un personaggio opaco di cui non sappiamo molto, tranne l'ossesione che prova per il figlio. Questo è l'elemento che essenzialmente dà forma al suo carattere.
C'è una scena in cui il bambino domanda alla madre perché non parla mai del padre e il mio personaggio risponde in modo piuttosto evasivo. Eric ha deciso di elinimare nel film ogni riferimento alla figura partena e a mio parere è stata una buona idea.

Dal film emerge una figura materna a tratti mostruosa, che incarna il doppio ruoolo di madre e di padre. Una sorta di Dio onniscente agli occhi del figlio…
Sì, Erici mi aveva avvisato che il mio personaggio aveva questo lato mostruoso. E' un mostro di vitalità e ostinazione. Eric la voleva rappresentare proprio così, un mostro che avanza nella neve.

Quali sono state le scene più difficili da girare?
Mi vengono in mente due cose in particolare. La prima difficoltà riguarda certamente la lingua polacca. Siamo stati costretti a iniziare le riprese partendo dalle scene ambientate a Wilno e quindi ho dovuto mettermi alla prova fin da subito con il polacco. E' stato un lavoro davvero enorme e difficile, ma credo mi abbia davvero aiutato ad entrare nel ruolo. All'inizio del film c'è una scena lunghissima, che si svolge inizialmente nell'appartamento e poi prosegue nel cortile, in cui vengo molestata dai poliziotti, il tutto mentre urlo in polacco.  La seconda difficoltà è stata dover girare le scene con il piccolo Pawel, che interpreta Romain da bambino. Pawel è adorabile e commovente nel suo ruolo di attore, allo stempo tempo fiero e modesto. Rispondeva senza battere ciglio a tutte le richieste di Eric, anche se a volte era duro con lui.

È stato difficile lavorare con tre attori diversi che interpretano lo stesso personaggio in tre età differenti della sua vita?
Non fai in tempo ad abiutarti a un attore che ne arriva un altro a prendere il suo posto. E' stato interessante. Ho lavorato molto con Pawel, avevamo un rapporto piuttosto carnale e intimo. Con Nemo e con Pierre, che interpretano rispettivamente Romain adolescente e adulto, la difficoltà risiedeva nel maggiore sforzo che ho dovuto fare per trovare tra di noi la stessa relazione di prossimità e intimità che avevo instaurato con il bambino.

INTERVISTA A PIERRE NINEY – ROMAIN

Conoscevi La promessa dell'alba di Romain Gary prima di partecipare al film di Eric Barbier?
Avevo letto La promessa dell'alba e qualche altro suo romanzo, ma ho riscoperto l'opera di Romain Gary nel momento in cui ho iniziato a preparare il film. Chien Blanc ed Education Européenne, in particolar modo, hanno avuto in me una eco straordinaria. Sebbene siano entrambe delle autobiografie, sono estremamente diverse, ciascuna creativa a suo modo: danno vita a due diverse emozioni e un'evidente ragione comune che lascia impietrito il lettore. Quello che apprezzo di Gary è il suo umorismo, questa sua particolarità di non sembrare mai "completamente disperato", come lui stesso afferma. È il dramma della sua vita e, contemporaneamente, l'origine di molti suoi romanzi. C'è sempre, in Gary, un connubio tra risate, dramma e disperazione, in particolar modo quando queste sono emozioni che lui stesso prova. Inoltre ho scoperto, proprio attraverso La promessa dell'alba, l'amore incondizionato e meraviglioso che Gary e la madre avevano per la Francia, Paese della libertà e dei diritti. Da questo punto di vista il romanzo è decisamente moderno nel raccontare come un ebreo polacco perseguitato, nel fuggire dal suo Paese, sogni con tutto se stesso di diventare cittadino Francese. Si batterà letteralmente per realizzare questo sogno, diventando uno dei più grandi autori francesi del XX secolo.

Qual è stato il tuo primo pensiero quando Eric Barbier ti ha proposto d'interpretare Romain Gary? Come hai rappresentato quest'uomo, il personaggio che l'autore stesso costruisce all'interno del suo romanzo?
Mi sono aiutato con le immagini potenti che fornisce il testo de La Promessa Dell'Alba. A suo tempo, ad una prima lettura da adolescente avevo trovato questo romanzo molto cinematografico. Ma quello che mi ha convinto è stata la passione con cui Eric Barbier ha condotto questo progetto. È ossessionato da Gary, conosce centinaia di storie sul personaggio, la sua vita, la sua scrittura e i suoi libri. Era da molto tempo che pensava di dirigere questo film, con il desiderio di dipingere questi due ritratti, quello della madre e quello di suo figlio, uniti da un legame singolare e allo stesso tempo così universale. Non ero prevenuto su questo ruolo: basandomi sulla vita di Romain Gary ho subito amato lo sdoppiamento d'identità che percorre la sua opera e la sua vita. Vi ho ritrovato anche un evidente paragone con il mio lavoro di attore e, più in generale, con la condizione dell'artista. D'altra parte sapevo che avrei dovuto portare in scena una versione romanzata del personaggio di Gary. La promessa dell'alba è, evidentemente, autobiografico, ma con un'importante componente d'invenzione e trasformazione, minima o mano, della realtà.

Non è la prima volta che interpreti il ruolo di un personaggio realmente esistito: come affronti questa tipologia di lavoro? Segui un percorso particolare?
Non ho una ricetta pronta all'uso. Certo, ci sono varie costanti, soprattutto dal momento in cui quello attoriale è un mestiere che ho imparato a teatro: importante, per me, è conoscere la sceneggiatura a memoria molti mesi prima di cominciare a girare, in modo tale da prepararmi. Come se fosse una grande traversata, ripetendo alcune importanti scene del film, conoscendo molto bene la vita e le opere del personaggio se realmente esistito. Ma poi, ciò che per me è veramente essenziale, è la capacità di adattarsi al progetto, al regista e alla sua visione.

Una domanda non abbandona mai lo spettatore durante la lettura del romanzo come alla visione del film: è una benedizione o una maledizione avere una madre come quella di Romain Gary? Come risponderesti?
È una situazione veramente difficile, rispondere sarebbe come fare un riassunto troppo stringato. Quel legame così forte, appassionato e costruttivo è la vera essenza di Gary. È in questo frangente che La promessa dell'alba si rivela come libro cruciale e allo stesso tempo rivelatorio. Racconta le origini di un desiderio che per Romain è estremamente profondo nei confronti della scrittura, è la sua energia vitale. La madre è sicuramente intervenuta rendendolo un personaggio straordinario, questo è poco ma sicuro. Da un punto di vista esterno, universale, penso che questa storia racconti anche come certi aspetti del nostro carattere non possono che arrivare dai nostri genitori, in particolar modo dalle madri. Sia gli aspetti positivi che, in ugual modo, quelli negativi.

Come hai lavorato con gli altri due attori che interpretano Gary da bambino e da adolescente?
Ci siamo incontrati tutti e tre e le riprese sono cominciate dall'infanzia di Romain a Wilno, girata a Budapest. Io ero ancora in Francia a preparare il film, ma Eric mi ha subito inviato le immagini di tutte le scene con Pawel Puchalski, che interpreta il personaggio in quel periodo della sua vita. Mi è stato veramente utile per capire come stesse agendo, fisicamente e nella recitazione, in modo tale da proseguire al meglio la staffetta qualche settimana più avanti. È stata la prima volta che ho lavorato in questo modo: un lavoro appassionante!

Eric Barbier mi ha rivelato che durante la lettura della sceneggiatura hai avanzato delle proposte decisive per l'orientamento generale del lavoro: penso soprattutto alla decisione di concludere il film con un passaggio che, nel romanzo, si sviluppa all'inizio. È molto importante, per te, lavorare sul personaggio nel momento della scrittura?
Certo. Più posso interagire in un progetto, più sono ispirato. Ho trovato l'adattamento di Eric veramente stupendo. La sua scelta di valorizzare certi aspetti e abolirne altri è molto intelligente: ha deciso di tagliare certe parti in modo tale da portare in modo interessante il libro sul grande schermo. «Con l'amore materno, la vita vi fa, alla luce dell'alba, una promessa che non manterrà mai…» questa citazione contiene tutta la storia. Effettivamente avevo chiesto a Eric la possibilità di mettere questa frase come voice over alla fine del film. Ho apprezzato davvero tanto la possibilità di parlare con lui liberamente, di aver continuato a creare e considerare la sceneggiatura come una materia libera e pulsante. Penso che sia veramente importante mantenere questa filosofia, soprattutto su un progetto come questo: significa rispettare l'opera senza esserne prigionieri.

Qual è stata la tua reazione quando hai visto il film? Hai avuto qualche sorpresa o hai provato emozioni inaspettate vedendo per la prima volta certe scene?
Ho amato la modalità con cui Eric ha focalizzato la storia sul legame madre-figlio, essenza del romanzo. Anche la luce ha giocato un ruolo fondamentale nel film per eesaltare le emozioni che le scene stesse vogliono trasferire: a volte un sentimento di nostalgia, altre un sentimento di calore… C'è un serio lavoro d'illuminazione da parte di Glynn Speeckaert, durante tutto il film. È un aspetto che non viene percepito allo stesso modo dell'interpretazione attoriale: per questo ho amato scoprire questo particolare vedendo il film terminato.

INTERVISTA A ERIC JEHELMANN – PRODUTTORE

Adattare LA PROMESSA DELL'ALBA è un progetto che sognavi da molto tempo?
Effettivamente era da molto che volevo adattare il romanzo. La promessa dell'alba è il libro che tengo sul comodino. Mi sono reso subito conto che si poteva trattare di un libro cult per molti lettori, che sono stati affascinati da particolari diversi. Come prima cosa, senz'altro, il rapporto di una madre con il figlio che occupa evidentemente una posizione centrale. Da parte mia, sono rimasto affascinato da una storia di raggiungimento personale di un giovane che vuole mantenere la promessa di diventare qualcuno. Questa dimensione iniziatica mi aveva segnato particolarmente e in dieci anni ho chiamato assiduamente Gallimard per sapere se i diritti di adattamento si sarebbero liberati, finché ho scoperto che erano sul punto di essere ceduti. È stato come un colpo di fulmine, non potevo perdere l'occasione. Ne ho parlato con Eric Barbier che ha scritto una nota d'intenzioni di una decina di pagine molto convincente, con degli assi drammaturgici e delle opzioni d'adattamento molto potenti. Senza alcun dubbio la qualità del suo lavoro e l'acutezza della sua visione hanno portato alla decisione di scegliere Gallimard e Diego Gary. I diritti sono stati, poi, acquistati, ma bisognava ancora trovare dei finanziamenti. Sapevo molto bene che l'obiettivo non sarebbe stato facile da raggiungere: la storia si sviluppa tra molti Paesi e su un periodo di trent'anni. Un film di questo tipo costa caro.

Troppo caro per un Paese come la Francia?
Il film è costato 24 milioni di euro, alla fine. È vero che, esclusi i film realizzati in inglese come Valerian di Luc Besson o altre commedie con attori molto popolari, i budget come questo sono rari in Francia. Quest'anno, ad esempio, si sono contati sulle dita di una mano: L'Odissea di Jérôme Salle, Un Sacco di biglie di Christian Dugay et Au Revoir Là-Haut di Albert Dupontel. Tre film non sono poi molti.

Com'è arrivato a fare parte degli eletti?
Per LA PROMESSA DELL'ALBA c'era il bisogno di un gruppo che ci seguisse. Pathé ci ha seguito dallo sviluppo del progetto. Partner come TF1, Canal, Orange ci hanno sostenuto allo stesso modo con cifre importanti, per nulla scontate oggigiorno. Allo stesso modo il successo de La Famiglia Bélier, che abbiamo prodotto noi, rendeva il processo più facile. Il fatto che dei partner così mainstream abbiano supportato questo film significa che hanno compreso che dall'adattamento concepito da Eric Barbier poteva nascere un grande film popolare. A questo proposito, vorrei insistere su un particolare: io e il mio socio, Philippe Rousselet, non volevamo adattare La promessa dell'alba per farne un grande film popolare. Volevo che da questo libro potesse nascere una grande storia d'avventura. Era questo ciò che mi aveva fatto sognare leggendo il film di Gary. Era necessario che il film mantenesse questa dimensione epica. Sai, a volte penso che questo progetto sia il frutto di un allineamento dei pianeti, e non sono sicuro che in futuro potrà capitare di nuovo, sta diventando sempre più difficile fare dei film di questa portata in Francia. Ma quando ho cominciato a pensare al film, dieci anni fa, non avrei mai pensato che questo sogno potesse realizzarsi.

Hai sognato l'adattamento del libro La promessa dell'alba per dieci lunghi anni, è stato frustrante per te lasciare il progetto nelle mani del regista?
No. Eric Barbier ha fatto un lavoro sul libro che supera ogni aspettativa, in ogni snodo del suo lavoro. È un gran lavoratore, non lascia nessun particolare al caso, è molto attento ai minimi dettagli e cura i particolari, mi ascolta. Mi ha sempre convinto.

INTERVISTA A PIERRE RENSON – SCENOGRAFO

Da scenografo, qual è stata la tua prima reazione alla scoperta della scenografia di Eric Barbier, che racconta una storia che si sviluppa in diversi Paesi e in diverse epoche?
È un incredibile onore partecipare ad un progetto così grande per uno scenografo. In LA PROMESSA DELL'ALBA è stata interessante la sfida cronologica, i passaggi dalla nebbia di Wilno al sole luminoso di Nizza, e ancora dal grigiore di Parigi sotto la pioggia all'atmosfera di Londra sotto le bombe…Il romanzo di Romain Gary percorre i venti anni della sua vita e c'era la necessità d'immaginare, nel frattempo, le scene che raccontano le diverse tappe del percorso di Romain e della madre. Come si possono trascrivere le emozioni che mi sono arrivate con la lettura della sceneggiatura attraverso la scenografia?

Ciò significa che la prima ricerca dev'essere effettuata sulle ambientazioni, le atmosfere, il contesto visivo in modo tale che sembrino adeguati per al racconto della storia…
Effettivamente volevo appoggiarmi a elementi visivi forti. Ho chiesto a una parte della mia troupe di concentrarsi sulla ricerca capillare di elementi nei luoghi in cui si svolgono le azioni. Sommariamente, c'era una parte del film girata in Polonia nella villa di Wilno dove Romain ha vissuto l'infanzia e quella di Nizza quando era adolescente. Parigi dove Romain ha fatto i suoi studi e ha scritto la sua prima opera. Il servizio militare a Salon de Provence, prima di lasciare definitivamente la Francia nel 1940 per unirsi a De Gaulle e i FFL a Londra. A partire da quel momento c'era il bisogno di raccontare la sua guerra, l'Africa, fino al suo ritorno a Hartford Bridge che è stata la base da cui i bombardieri delle forze francesi libere dal lato della RAF hanno sorvolato la costa della Normandia per preparare lo sbarco, campagna in cui Romain realizzerà la promessa fatta alla madre per cui sarebbe diventato un eroe.

Nel film c'è uno studio preciso del set, e ne La promessa dell'alba ce ne sono tantissimi.
Sì, alla lettura della sceneggiatura se ne potevano contare più di un centinaio. Questo ci ha portati a scegliere con il regista i set più importanti e a tenerci pronti a cambiarli nel caso avessero implicato delle difficoltà importanti. Questo per il semplice motivo che, quando studio un set, immagino allo stesso tempo la sua fattibilità. Eric Barbier è molto affezionato alla sua sceneggiatura, alla modalità in cui lui immagina il set, anche se è aperto a proposte. C'è un lavoro di adattamento e di aggiustamento in ogni fase di produzione del film. Non c'è mai stato il bisogno di girare in studio: per questo penso che la qualità delle riprese sia una delle chiavi della riuscita del film.

Le riprese sono state lunghe e complicate?
Ci abbiamo lavorato parecchio…la Spagna era prevista, avevamo la disponibilità di un paesino messicano ma nessun altro o altri troppo distanti. L'Italia è arrivata dopo, ed è stata una magnifica opportunità perché avevamo la possibilità di girare in luoghi meravigliosi e adatti per girare sia le scene ambientate in Messico che quelle ambientate a Nizza. Per le scene aeree mi sono affidato ad uno scenario in Belgio. Ma la sfida per la ricerca del luogo è stata soprattutto per la città di Wilno, in cui il quartiere ebraico non esiste più, e per Nizza, dove né la città vecchia né il lungomare inglese (molto importante per lo scenario iniziale) hanno più la forma e la fisionomia che avevano un tempo.

Quale ruolo gioca il problema di dover essere fedele e verosimile rispetto alla realtà storica che sta alla base del film?
Prima di tutto è necessario analizzare gli elementi fondamentali all'interno della narrazione, sarebbe inutile consacrare un'energia smisurata a curare i dettagli storici se questi non servono. Romain Gary è il primo a tradire la realtà se questo è necessario per la sua storia, ad esempio il film con Yvan Mosjoukine che Romain e sua madre vogliono vedere al cinema di Wilno è chiaramente un riferimento a Il Diavolo Bianco di Alexandre Volkoff: il film è uscito nel 1930 e Romain lascia la Polonia nel 1928, non ha potuto vedere questo film a Wilno. Ma che importa leggendo La promessa dell'alba? Quello che interessa è che Nina tiene così al fatto che suo figlio si ispiri a Mosjoukine che fa confezionare appositamente un abito da guerriero caucasico per andare ad una festa di compleanno…ma le sfide di esattezza storica ci hanno dato non poche difficoltà reali e non sono certamente mancate. Nel momento in cui devi ricostruire un quartiere commerciale degli anni Dieci a Wilno in Lituania, non si può fare qualsiasi cosa. Un altro aspetto centrale del set sono i luoghi fisici entro cui gli attori devono muoversi, gli attori devono credere nello spazio in cui si muovono. È l'ambiente in cui le loro emozioni evolvono, per questo il set aiuta a sviluppare il loro lavoro emotivo. Per me questo aspetto è molto importante.

Perché non c'è mai stato il bisogno di girare in uno studio?
Girare in uno studio permette alcune semplificazioni e dona spesso ai registi una sensazione di padronanza totale dello spazio; lo studio, però, ci priva di tutte le fatalità della realtà. Nel momento in cui si gira in esterni ci si deve confrontare con le difficoltà, gli impedimenti che sono anche dei motori dai quali si può trarre profitto. Quando abbiamo visitato Budapest, dove avevamo deciso di girare le scene di esterni ambientate a Wilno, non riuscivamo a trovare un luogo dove si potesse costruire il set del quartiere ebraico. Un giorno, camminando per la città, siamo passati davanti all'ingresso di un parcheggio a cielo aperto in cui si potevano intravedere dei muri abbattuti, delle pietre, delle facciate di case, alcune anche molto vecchie. È stato proprio lì che abbiamo potuto costruire la nostra Wilno come volevamo, eravamo a casa nostra.

Come si è riusciti a immortalare la Wilno degli anni Trenta nella Budapest di oggi?
La fisionomia di Wilmo oggi è completamente trasformata dal periodo post guerra sovietiva. La maggior parte dei quartieri ebraici è stata rasa al suolo per lasciare spazio a delle grandi strade e parchi immensi. Visitare la città ci ha permesso non solo di appoggiarci all'adattamento dal libro, ma anche alle testimonianze della gente che ha vissuto lì e conosce bene la città. Grazie alle loro testimonianze abbiamo scoperto lo spirito e la vita degli abitanti di Wilno prima che quella parte di Polonia diventasse la Lituania.

E il lavoro sull'appartamento di Nina?
È stato fondamentale! Avevamo uno splendido luogo, all'interno di un palazzo nel centro di Budapest, ma c'era bisogno che lo spazio raccontasse le diverse tappe della vita a Wilno. Inizialmente la povertà, quando Nina vende porta a porta dei cappelli per donna, poi l'abbondanza nel momento in cui ha l'idea di trasformare l'appartamento in un salone di alta moda alla francese. Infine la rovina quando perde tutto, prima della sua partenza per la Francia. Volevo rendere verosimile che Nina, nonostante i pochi mezzi a sua disposizione, riesca a trasformare un appartamento appena vivibile nell'«Atelier Paul Poiret». Se siete attenti a questo set potete notare che cambiano solo pochi elementi tra l'appartamento povero dell'inizio e l'appartamento trasformato in salone di alta moda parigino. Nina nasconde il suo stato di povertà, nasconde i buchi nei muri con delle tende, mette un tappeto sul pavimento in cattivo stato, incolla la carta da parati, posiziona un lampadario di pietre finte per dare una parvenza di ricchezza. Volevo raccontare attraverso il cambiamento del set fino a che punto Nina fosse una donna astuta!

Come avete lavorato per ricostruire Londra attaccata dalle bombe tedesche?
Durante delle ricognizioni in Ungheria abbiamo scoperto un sito industriale abbandonato che poteva essere una buona partenza per il set della strada di Londra. Il posto era molto interessane, così ho proposto a Eric di sfruttare al massimo il suo utilizzo costruendoci anche Wellington, il bar dove si riunivano i piloti dei diversi Paesi. Nel romanzo e nella sceneggiatura, Romain affronta dei militari poloni all'interno del bar, poi esce per prendere un taxi, attraversa Londra per poi andare in un hotel dove finisce per battersi in duello nel momento in cui la città viene attaccata dall'aviazione tedesca. Alla fine ho proposto a Eric di dimenticarsi la scena in hotel e mettere in scena il duello in strada: ciò permetteva di condensare il numero di set. Abbiamo, quindi, costruito una porzione di strada e una serie di palazzi distrutti dai bombardamenti subito accanto al Bar Wellington. La forza di queste due scene concatenate in un unico piano sequenza è che l'atmosfera spensierata all'interno del bar lasca posto immediatamente alla brutale realtà della Londra sotto bombardamento.

Qual è stata la tua reazione quando hai visto il film, e dunque il tuo lavoro, sul grande schermo?
Avevo già visto il film cinque volte, in diversi stadi del montaggio, e ogni volta il mio più grande piacere è stato quello di non vedere il mio set, di non pensarci più talmente sono rimasto affascinato dalla storia e dalle interpretazioni. Poi, vedere per la prima volta il film terminato mi ha ricordato quanto sia stato bello lavorarci, la qualità dei miei assistenti in ogni Paese in cui abbiamo girato: Ungheria, Marocco, Belgio, Italia e Nizza.

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