Locandina The Eichmann Show - Il Processo del secolo
The Eichmann Show - Il Processo del secolo (The Eichmann Show) è un film del 2015 prodotto in UK, di genere Drammatico diretto da Paul Andrew Williams. Il film dura circa 90 minuti. Il cast include Martin Freeman, Anthony LaPaglia, Rebecca Front, Andy Nyman, Nicholas Woodeson, Ben Addis. In Italia, esce al cinema lunedì 25 Gennaio 2016 distribuito da Lucky Red.

Gerusalemme 1961. Il geniale produttore televisivo Milton Fruchtman assume il regista Leo Hurwitz (finito nella 'lista nera' di McCarthy) per occuparsi delle riprese TV del processo al feroce criminale nazista Adolf Eichmann. Quello che viene offerto a Hurwitz è un lavoro dalle dimensioni epocali: per la prima volta nella storia un processo sarebbe stato trasmesso in TV e per la prima volta il mondo intero avrebbe assistito alle scioccanti testimonianze dei sopravvissuti all'Olocausto. Il risultato di questa importante operazione fu che l'80% della popolazione tedesca guardò almeno un'ora del programma ogni settimana; che venne trasmesso su tutte le reti in USA e Gran Bretagna; ma soprattutto che finalmente, dopo 16 anni dalla fine della guerra, si cominciò a parlare apertamente dell'Olocausto. 

Info Tecniche e Distribuzione

Uscita al Cinema in Italia: lunedì 25 Gennaio 2016
Uscita in Italia: 25/01/2016
Prima Uscita: 20/01/2015 (UK)
Genere: Drammatico
Nazione: UK - 2015
Durata: 90 minuti
Formato: Colore
Produzione: Feelgood Fiction, British Broadcasting Corporation (BBC)
Distribuzione: Lucky Red

Recensioni redazione

The Eichmann Show, la recensione
The Eichmann Show, la recensione
redazione, voto 8/10
The Eichmann Show è un ottimo film, che riesce a raccontare con accuratezza e grande intensità le riprese del più grande processo del secolo, dove per la prima volta si parla apertamente dell'Olocausto.

Immagini

[Schermo Intero]

INTERVISTA A MARTIN FREEMAN
(MILTON FRUCHTMAN)

Di cosa tratta The Eichmann Show?
Tratta della messa in onda televisiva del processo ad Adolf Eichmann – cosa venne trasmesso, quanto fu difficile riuscire a trasmetterlo e poi il grande successo della trasmissione – e io interpreto la parte del produttore che riuscì nell'impresa.

Quanto ne sapevi prima?
Sapevo abbastanza del processo Eichmann, ma non sapevo niente di tutto quello che riguarda la realizzazione della sua trasmissione. Penso che sia normale. Assisti a grandi eventi storici in tv o alla radio e mentre stai guardando non ti chiedi: 'Chi lo starà trasmettendo?'. Durante la coppa del mondo non pensi a chi la stia trasmettendo e quando assisti ai funerali di Diana non ti chiedi chi stia decidendo le inquadrature, per cui non sapevo niente della storia di questo film, no.

Qual è stata la tua reazione quando hai letto la sceneggiatura?
Ho pensato che fosse un'ottima sceneggiatura e che mi piaceva, così ho accettato la parte. Mi è sembrata scritta molto bene. Credo che la lotta di potere tra le emittenti, la gente con i soldi, e il mio personaggio Milton Fruchtman, convinto dell'importanza di trasmettere quell'evento, sia appassionante; e anche reale, perché lavoro in televisione e al cinema e so quanto sia difficile realizzare qualcosa. Inoltre in questo caso si trattava anche di un progetto senza precedenti: era la prima volta che dei sopravvissuti all'Olocausto venivano ascoltati in diretta da tantissime persone, e tutto questo mi è sembrato davvero interessante.

Parlaci del tuo personaggio.
Milton Fruchtman è stato un produttore cinematografico e televisivo americano. Quando Eichmann venne portato in Israele, Milton si recò da Ben-Gurion, il primo ministro israeliano di allora, per chiedere il permesso di riprendere il processo. Le trattative furono molto lunghe, ma nel corso di quelle trattative ebbe sempre il sostegno di Ben-Gurion, che si fidava di lui.

Com'è stato lavorare con il regista e con il resto del cast?
E' stato fantastico. Paul Andrew Williams è un ragazzo di grande talento e lo tenevo d'occhio dai tempi di London to Brighton; ed è anche una persona fantastica, di grande umanità. Non ha paura di mostrarsi vulnerabile, è molto divertente, vuole fare le cose per bene ad ogni costo, e ha sempre cercato di fare la cosa giusta. L'ho adorato, come pure il resto del cast. Lavorare con Anthony LaPaglia è stato fantastico e c'erano alcuni attori inglesi che conoscevo già, per cui mi trovavo davvero in un gruppo di prima categoria.

Come ti sei sentito a lavorare in un film che tratta un tema così delicato? Ci sono state scene particolarmente difficili da girare?
C'erano delle scene in cui noi, come i nostri personaggi, dovevamo guardare filmati d'archivio dei campi di concentramento, che è una cosa sempre molto difficile. Erano molti, e alcuni non li avevo mai visti prima – nonostante ne avessi già visti tanti in passato – ed è stato emotivamente faticoso. Per il resto, l'unica difficoltà per me è stata di ordine tecnico, e cioè usare per tutto il tempo un accento che non è il mio, quello della Costa orientale. Questo è stato abbastanza complicato.

Secondo te perché il tuo personaggio voleva trasmettere il processo ad Adolf Eichmann?
Dal punto di vista della carriera sapeva che sarebbe stata una di quelle occasioni che capitano una volta sola nella vita e voleva afferrarla, ed era anche consapevole di quanto fosse importante che questa storia venisse raccontata. Il processo venne seguito da moltissima gente in tutto il mondo, e per la prima volta l'Olocausto apparve per come lo conosciamo oggi. Per la prima volta una grande massa di persone ascoltò le testimonianze dirette dei sopravvissuti. Ovviamente la gente sapeva che qualcosa di davvero terribile era accaduto sotto il nazismo ma, forse per la prima volta, l'entità e la portata di quanto era accaduto assumevano un volto, quello dei sopravvissuti. E poi era interessante capire chi fosse Eichmann, una persona dall'aspetto assolutamente insignificante, che non aveva affatto l'aria di un mostro malvagio, bensì di un tipo normale, ordinario. Penso che tutto ciò fosse importante per Milton. Importante dal punto di vista del produttore televisivo, ma anche come essere umano.
Tutto era accaduto 15 o 16 anni prima – e comunque nel corso della loro vita. Dovevano capire meglio, e credo che alla fine del processo tutti capirono un po' di più. Perché la gente arriva ad un punto in cui possono accadere queste cose? Nonostante il processo non abbia certamente dato una risposta a tutte le domande, ad alcune di esse forse sì. Credo che ci abbia insegnato che le persone responsabili di questi crimini orribili non sono mostri e non hanno due teste. Parlano, si muovono e spesso pensano anche in modo simile a noi. E' questo l'aspetto più spaventoso di tutti.

Perché pensi dovremmo celebrare il 70° anniversario della liberazione dei campi di concentramento?
Sono cresciuto con questa consapevolezza, l'ho sempre saputo e, da un punto di vista storico e umano, per me è un momento fondamentale. Nel mondo esiste il pregiudizio, ci sono sempre delle cose orrende latenti, pronte a saltar fuori e, se ci scordiamo a cosa possono portare, finiamo col distruggere noi stessi. Uomini che fanno del male ad altri uomini ci sono sempre e ovunque ma, in termini di sterminio di massa, di pianificazione scientifica per eliminare un intero gruppo di persone, questo è un esempio terribile, e credo che sia importante ricordarlo. Ci insegna molto su come le cose possono degenerare, e sul rispetto per i vivi e per i morti.

Come è stato girare in Lituania e a Malta?
E' stato bello ma faceva molto freddo! Eravamo a Vilnius, la capitale, ed è stato fantastico, ma non una sostituzione ideale per il Medio Oriente in quanto a temperature! Malta, dove abbiamo girato gli esterni, ci si avvicinava di più in termini di temperature. Mi è piaciuto molto. Tra l'altro si è trattato di un impegno abbastanza breve per i miei standard, appena un mese, quindi davvero piacevole.

INTERVISTA AD ANTHONY LAPAGLIA
(LEO HURWITZ)

Di cosa tratta The Eichmann Show?
Si svolge nel 1961 ed è sul processo ad Adolf Eichmann. Il Mossad aveva scoperto che si nascondeva in Argentina, lo aveva prelevato senza un accordo di estradizione e lo aveva portato a Gerusalemme per processarlo e una delle decisioni che vennero discusse fu se il processo avrebbe dovuto essere trasmesso in televisione oppure no. Inizialmente i giudici israeliani erano contrari pensando che le macchine da presa fossero troppo grandi e ingombranti e che avrebbero disturbato le udienze, così Leo Hurwitz e Milton Fruchtman idearono un modo per risolvere il problema, e cioè la costruzione di speciali nicchie al di là dei muri grazie alle quali le macchine da presa sarebbero rimaste fuori dall'aula, pur potendo riprendere ogni cosa.

Quanto ne sapevi prima?
Sono un appassionato di storia, quindi sapevo di Eichmann, della sua estradizione e del processo, e avevo perfino visto il processo, ma non avevo mai riflettuto su come fosse stato ripreso. Siamo così circondati dai media che qualche volta dimentichiamo cosa effettivamente è richiesto per filmare qualcosa, specialmente un evento universale e importante come questo, che doveva essere girato nel modo giusto.

Qual è stata la tua reazione dopo aver letto la sceneggiatura?
Mi hanno mandato la sceneggiatura e l'ho letta e poi mi hanno chiesto se volessi interpretare Leo Hurwitz. Il tema del film era per me assolutamente inedito e mi è sembrato molto interessante, per cui ho deciso di accettare. Con Martin Freeman al mio fianco e Paul Andrew Williams alla regia, non è stata una decisione difficile da prendere, è stato un sì convinto!

Com'è il tuo personaggio?
Leo Hurwitz era un regista la cui carriera si interruppe per circa 10 anni, dopo il suo inserimento nella 'lista nera' di McCarthy per presunte 'attività anti-americane'. Come molti altri artisti della 'lista', in quel periodo svolse qualsiasi lavoro gli venisse offerto usando degli pseudonimi e cercando così di andare avanti. Perciò, quando venne ingaggiato per girare il processo ad Eichmann, aveva appena vissuto sulla propria pelle una particolare forma di fascismo e di discriminazione, e una delle cose a cui teneva di più era cercare di dimostrare che Adolf Eichmann non era un mostro tout court. Era convinto che ad un certo punto nel corso delle udienze avrebbe mostrato qualche forma di rimorso o di rammarico, o qualcosa che dimostrasse la sua umanità. E questo per Leo era importante: voleva che la gente capisse che alcune persone in determinate circostanze potrebbero finire col prendere quelle stesse decisioni. Ma Eichmann non cedette mai – neanche una volta – nel corso dell'intero processo, e credo che fosse totalmente irriducibile. In effetti, anche se non vi è mai stata una conferma ufficiale, pare che abbia fatto alcuni commenti in prigione riguardo al fatto che avrebbe fatto di nuovo tutto ciò di cui era accusato. Era visceralmente anti-semita e credeva di aver fatto la cosa giusta. Questo aspetto sconcertò molto Leo che era invece deciso ad offrire una prospettiva diversa perché pensava che fosse troppo facile liquidare qualcuno definendolo un mostro; ma qualche volta è proprio quello che sono, esistono persone sociopatiche e per quanto si provi a tirarne fuori il lato umano, non ci si riesce perché semplicemente non c'è.

Come ti sei preparato per questo ruolo?
Ho incontrato il figlio di Milton, Tom, e come faccio di solito per il mio lavoro, ho letto tutto il possibile – libri e manoscritti – poi ho visto tutto il possibile che avesse una certa attinenza con il tema del film per immergermi completamente in quell'epoca, e poi, una volta sul set, in un certo senso butto via tutto e il set, la sceneggiatura, gli attori, fanno il resto.

Come è stato lavorare con il regista e il resto del cast?
Il regista è stato eccezionale, l'ho adorato, è stato molto preciso e molto divertente. Abbiamo lavorato sotto pressione, con giornate molto lunghe e spesso con 13 o 14 ore di riprese al giorno. E' stato estenuante, ma lui è riuscito a mantenere sempre il suo senso dell'umorismo. Mi piace lavorare con gli attori inglesi, è una gioia lavorare con loro, sono divertenti, buffi, super-preparati e mai nevrotici. E' stato tutto molto piacevole.

Perché pensi che dovremmo celebrare il 70° anniversario della liberazione di Auschwitz?
Penso che dovremmo commemorare l'anniversario di tutte le atrocità commesse contro qualsiasi comunità nel mondo, ce ne sono state moltissime e continuano ad essercene e dovremmo mantenere sempre alto il livello di consapevolezza. Perché non si tratta solo dello sterminio di sei milioni di ebrei, ma del fatto che ancora oggi la gente venga massacrata e perseguitata su vasta scala, dal Rwanda alla Bosnia, dalla Somalia al Congo, e in tutto il Medio Oriente, continuano a perpetrarsi genocidi in nome della religione, delle differenze etniche, e si tratta di eventi anche molto recenti. Evidentemente non impariamo niente. Per imparare, dobbiamo educare, e per educare dobbiamo trovare un modo per arrivare al cuore delle persone. Distogliere la loro mente da Kim Kardashian per 10 minuti e dar loro qualcosa di importante su cui riflettere. Siamo ossessionati dalle celebrità, ma dovremmo essere invece ossessionati da quello che ci succede intorno e da quello che potremmo fare per migliorare un po' le cose.
Anche se qualcuno potrebbe obiettare che si tratta di eventi accaduti molti anni fa, per cui chi se ne importa, celebrare il 70° anniversario della liberazione di Auschwitz, significa ricordare che quel genere di cose non è circoscritto nel tempo, semplicemente perché continua ad accadere.

INTERVISTA A REBECCA FRONT
(SIGNORA LANDAU)

Di cosa tratta il film?
Parla delle riprese televisive di uno dei processi più importanti della storia. Una volta che Adolf Eichmann venne catturato, venne condotto in Israele dove decisero di giudicarlo in un processo esemplare – giustizia doveva essere fatta e tutti avrebbero dovuto vederlo. The Eichmann Show racconta la storia di come questo obiettivo venne raggiunto.

Quanto ne sapevi prima?
Non molto. Sapevo che il processo era stato trasmesso in televisione, ma non mi ero mai resa conto di quanto questo fosse stato importante, perché in effetti per la prima volta in tutto il mondo molte persone ascoltarono quelle testimonianze e per la prima volta la gente poté ascoltare le reali esperienze di chi aveva subito l'Olocausto.

Qual è stata la tua reazione dopo aver letto la sceneggiatura?
Sono rimasta sbalordita, sul serio, è un racconto meraviglioso. E' comunque una storia avvincente – come avrebbero ripreso e trasmesso il processo, una cosa mai stata fatta prima, e come l'avrebbero fatto senza creare interferenze -ma è raccontata con ritmo e umorismo. E' davvero una sceneggiatura ben scritta.

Perché hai deciso di farne parte?
E' stato soprattutto per la sceneggiatura, perché all'inizio non sapevo chi avrebbe fatto parte del cast. Ero già interessata al tema, ma quando ho letto la sceneggiatura ho pensato che ne sarebbe venuto fuori un film eccellente.

Com'è il tuo personaggio?
E' la proprietaria del B&B dove Leo Hurwitz (il personaggio di Anthony LaPaglia) risiede durante la sua permanenza in Israele. E' abbastanza fredda e poco accogliente all'inizio, ma poi lui impara gradualmente a conoscerla meglio e viene fuori che lei stessa è una sopravvissuta all'Olocausto.

Come è stato lavorare con il regista e il resto del cast?
Lavorare con Paul è stato fantastico. Avevo visto da poco London to Brighton, che mi aveva colpito moltissimo, e poi erano già diversi anni che sentivo parlare bene di lui come regista. Lavorare con Paul è molto piacevole, riesce a creare un'atmosfera rilassata sul set, è un tipo tranquillo e positivo ma, allo stesso tempo, è riuscito a darmi indicazioni molto precise su cui lavorare. Tutte le mie scene erano con Anthony LaPaglia e, anche se non lo avevo mai incontrato prima, ci siamo trovati subito bene. Lui è una persona molto carina ed è molto bravo come attore. E' sempre molto interessante recitare con gli attori americani perché lavorano in modo diverso, ed è affascinante fermarsi a osservare come fanno.

Considerando il tema del film, ci sono state scene particolarmente difficili da girare?
Il mio personaggio non appare in moltissime scene, ma c'è una scena in cui finalmente si lascia andare e racconta a Leo perché il processo è importante per i sopravvissuti come lei, ed è stata una scena particolarmente interessante da girare. Inizialmente, il mio modo di affrontarla era stato di renderlo un momento particolarmente intenso da un punto di vista emotivo, ma Paul mi ha indotto a trattenermi e così alla fine viene fuori con una certa resistenza, lei non si lascia troppo andare, è quasi come se gli raccontasse semplicemente i fatti, e credo che in questo modo l'effetto sia più potente. Così ho finito col recitare in modo molto diverso da come pensavo, ma credo che in questo caso funzioni di più e credo che il suo modo di dirigere sia stato molto efficace.

INTERVISTA A LAURENCE BOWEN
(PRODUTTORE)

Di cosa parla The Eichmann Show?
Parla della messa in onda del processo ad Eichmann nel 1961 – della storia poco nota del produttore e del regista di quella trasmissione che dovettero superare diversi ostacoli per poter riprendere il processo. Ogni giorno le riprese venivano spedite in 37 Paesi in cui il materiale veniva trasmesso il giorno successivo. Divenne la prima serie di documentari mai realizzata e all'epoca cambiò il modo in cui la gente vedeva la Seconda Guerra mondiale, perché per la prima volta ebbe modo di ascoltare la storia dell'Olocausto raccontata dalle sue stesse vittime. Storicamente ebbe un impatto enorme, ma fu anche un incredibile evento televisivo.

Quanto ne sapevi prima e perché hai voluto farne un film?
Sapevo qualcosa del processo ad Eichmann ma, come accade a molte persone, non pensi alle macchine da presa quando pensi al processo. Stavo facendo delle ricerche sul processo, quando mi sono imbattuto in una breve discussione che citava il produttore, Milton Fruchtman; così ho cominciato a fare ricerche su Internet ed è stato interessante scoprire che quello era stato il primo processo ad essere ripreso in quel modo per la televisione. Poi ho scoperto che aveva coinvolto un regista che era stato nella 'lista nera' durante il periodo di McCarthy, offrendogli il primo lavoro dopo molti anni, e la cosa mi ha incuriosito ancora di più: perché il produttore aveva scelto quel particolare regista? Ho cominciato a fare ricerche sui due e sui loro curricula, e mi è sembrato che il rapporto di lavoro che avevano dovesse essere molto interessante. Poi ho immaginato gli ostacoli che avevano dovuto superare a Gerusalemme -il fatto che i giudici non volessero autorizzare la presenza di macchine da presa in aula e di come poi nei pochi giorni successivi loro avessero trovato una soluzione nascondendo le telecamere nei muri – e mi è sembrata una storia veramente interessante.
Ma l'altro aspetto importante è il processo ad Eichmann in sé e la decisione di Israele di chiamare a testimoniare 111 uomini e donne che avrebbero raccontato al mondo la storia dell'Olocausto. Mi è sembrata una forma narrativa molto coinvolgente. Ho pensato che avremmo dato la possibilità ad un pubblico nuovo – in gran parte all'oscuro di Eichmann e di tutta la vicenda- di conoscere quel mondo attraverso un film e di assistere al processo un po' come aveva fatto il pubblico nel 1961 e di provare quelle emozioni incredibili e lo stesso orrore che il pubblico provò ascoltando quegli uomini e quelle donne che raccontavano cosa era accaduto loro durante la Seconda Guerra mondiale. Se oggi ascolti quelle storie per la prima volta, ti rendi conto che sono molto commoventi e scioccanti. Avere la possibilità di raccontarle di nuovo e di usare le riprese originali mescolandole al film che avremmo girato mi è sembrata una grande opportunità.

Che tipo di ricerche hai fatto?
Con Simon Block, che è uno sceneggiatore fantastico, abbiamo fatto ricerche a lungo e abbiamo passato circa sei mesi a cercare di scoprire con chi avremmo potuto parlare per sapere come fossero andate realmente le cose riguardo alla trasmissione televisiva. Il produttore, Milton Fruchtman, ha dedicato molto del suo tempo ad aiutarci a mettere insieme la storia. Sfortunatamente Leo Hurwitz è morto tempo fa, ma abbiamo lavorato con suo figlio Tom, che all'epoca andò a trovare il padre durante le riprese del processo. E poi abbiamo ritrovato la maggior parte dei componenti del team della produzione, molti dei quali sono oggi degli ottantenni, e siamo stati molto fortunati perché abbiamo potuto ascoltare quello che avevano da raccontare in prima persona, dando così alla nostra sceneggiatura la forma più realistica possibile.

Perché avete girato a Vilnius e a Malta?
Abbiamo fatto delle riprese di prova a Gerusalemme ma il vero edificio usato per il processo è ora usato come centro sociale e come teatro. Siamo riusciti a trovarne una copia praticamente identica a Vilnius – persino il colore dei posti a sedere e la forma del palco sono molto simili, così siamo riusciti a trasformarlo nella nostra aula di tribunale. Avevamo uno straordinario arredatore che ha riprodotto la stanza di regia e ricostruito tutti i monitor e le attrezzature tecniche.
Malta viene utilizzata spesso come location al posto di Gerusalemme perché la sua architettura in alcune zone è molto simile, per cui abbiamo girato quasi tutti gli esterni lì.

Come è stato messo insieme il cast?
Io ho coinvolto il regista Paul Andrew Williams. Ha realizzato un thriller straordinario, London to Brighton, ma il suo lavoro più recente è stato un film tratto da una storia vera, per la BBC, Murdered by My Boyfriend, molto intenso, e che ha rivelato la sua capacità di usare materiali tratti dalla realtà per raccontare un dramma di finzione. Avendo a bordo lui e il mio collega Ken Marshall, e l'eccellente sceneggiatura di Simon Block, è stato facile avere delle opportunità per un buon cast. E' stata una fortuna che Martin Freeman avesse sei settimane libere in agenda e che anche lui sia rimasto colpito dalla storia e dalla possibilità di esplorarne la parte sconosciuta.
Tutti noi poi aspettavamo un'occasione per lavorare con Anthony LaPaglia e, anche in questo caso, siamo stati fortunati visto che anche Anthony ha potuto inserire l'impegno con noi nella sua agenda. E' stato assolutamente fantastico lavorare con loro – hanno lavorato benissimo insieme, hanno trovato la giusta sintonia, contribuendo alla riuscita complessiva con le loro capacità specifiche di attori. Ci siamo uniti molto durante le riprese in Lituania, un posto meraviglioso in cui girare.

Perché credi sia importante celebrare questo 70° anniversario?
Avevo studiato un po' l'Olocausto a scuola e avevo visitato Auschwitz, per cui sono cresciuto pensando di conoscere l'Olocausto e di aver capito quanto fosse orribile. Ma quando ho cominciato a lavorare al progetto mi sono reso conto di non averne mai colto la portata sul piano emotivo – ne avevo compreso razionalmente l'orrore ma non mi ero mai sentito emotivamente coinvolto, perché è difficile riuscirci quando si tratta di così tante persone. Mi è sembrato potesse essere scioccante e disturbante mostrare di nuovo le riprese degli uomini e delle donne che testimoniarono al processo, raccontando in modo semplice i fatti accaduti durante l'Olocausto, e io mi sono sentito un privilegiato per il fatto di poter rendere possibile ancora una volta la condivisione di quelle storie. Infatti è stato solo quando mi sono seduto ad ascoltare la loro testimonianza che l'orrore inimmaginabile che aveva colpito l'Europa – con milioni di persone, non solo ebree, rastrellate, portate nei campi di concentramento e sterminate – ha acquisito a pieno la sua dimensione emotiva.
Condividendo alcune storie di coloro che sono state vittime dell'Olocausto, spero che il film offra al pubblico una visione più profonda di ciò che quella tragedia ha significato per ogni singolo essere umano, al di là della semplice conoscenza del fatto storico, perché è solo comprendendo le storie individuali che arrivi a comprendere il tutto.

INTERVISTA A PAUL ANDREW WILLIAMS
(REGISTA)

Come sei stato coinvolto nel progetto?
Mi hanno spedito la sceneggiatura, che mi è arrivata il giorno prima che partissi per le vacanze e immediatamente ho capito di voler far parte del progetto. E' un tema che mi interessa sotto ogni punto di vista, ed è stato fantastico che me l'abbiano proposto. I due protagonisti mi sembravano molto interessanti, con le loro opinioni contrastanti su alcune questioni, ma entrambi decisi a far conoscere al mondo questa storia.

Come hai usato i filmati d'archivio? Che tipo di valore aggiunto pensi diano al film?
E' stata sempre una nostra scelta quella di usare media diversi e inserire filmati d'archivio nella storia girata, per cercare di far sentire la gente pienamente immersa nell'epoca in cui si svolge il film. Dovrebbe essere un modo per coinvolgere di più e, auspicabilmente, per risvegliare l'interesse per un tema al quale nessuno presta attenzione da un po' di tempo, o in coloro che ne sanno poco e niente. Attraverso la drammatizzazione abbiamo la possibilità di catturare l'attenzione delle persone. Così come le riprese del processo, abbiamo usato anche altro materiale d'archivio dell'epoca e vecchi notiziari, per dare a ciascuno la giusta sensazione di dove ci trovassimo e in quali anni. La mia intenzione è sempre quella di rendere le cose più cinematografiche possibile, e siamo molto soddisfatti del risultato.

Com'è stato girare a Vilnius, in Lituania?
E' stato fantastico, mi è piaciuto molto. La gente è molto simpatica, le agevolazioni e le strutture disponibili sono eccellenti per girare con tempi e budget ristretti e la troupe è stata meravigliosa. Una delle ragioni principali per cui abbiamo girato lì è il teatro che abbiamo usato per ricreare il tribunale. Era già molto simile all'originale, e il team della produzione è riuscito a renderlo identico in ogni particolare.

C'è stata qualche particolare difficoltà durante le riprese?
Quando giri con moltissime comparse, specialmente comparse che non parlano la stessa lingua, è spesso molto difficile, ma siamo stati fortunati perché avevamo una troupe fantastica.

Com'è stato scegliere i componenti del cast del film e lavorare con loro?
Il cast è stato messo insieme in modo eccellente – Martin, Anthony e tutti gli altri. Quando ho incontrato Martin è stato subito chiaro che avrebbe dato un contributo straordinario, e l'interesse di Anthony per il tema del film e il suo stile di recitazione sono esattamente quello che cercavo. E' stato come un bel sogno lavorare con loro, dei veri professionisti, e in futuro spero di poter lavorare di nuovo con entrambi.

INTERVISTA A SIMON BLOCK
(SCENEGGIATORE)

Come sei stato coinvolto e cosa ti ha affascinato?
Sono stato contattato dal produttore Laurence Bowen. Quando ne abbiamo discusso mi è sembrato che raccontare quel processo attraverso la storia di due uomini della televisione fosse un modo molto diverso e interessante.

Quanto ne sapevi prima?
Avevo letto del processo qualche anno fa, ma sapevo solo che era stato filmato. Non avevo idea del fatto che le riprese fossero state effettuate da un network televisivo né di quanto fosse stato ripreso – cioè ogni giorno per tutta la durata delle udienze. Non conoscevo affatto i protagonisti, cosa avessero dovuto affrontare per realizzare quel lavoro, per portarlo avanti giorno dopo giorno, né delle decisioni artistiche che avevano dovuto prendere.

Che tipo di ricerche hai fatto?
Ci sono alcuni documentari su Adolf Eichmann, sul processo e su come venne rapito a Buenos Aires, e li ho visti tutti. Ho parlato con Milton Fruchtman che vive in America. E poi abbiamo deciso di concentrarci sulla figura del regista, Leo Hurwitz, perché è lui che prese le decisioni che hanno condizionato l'estetica delle riprese, e anche perché si è rivelato un personaggio di per sé affascinante. Ci siamo stabiliti nello Stato di New York, dove si trova il suo archivio, e abbiamo incontrato suo figlio, ed è venuto fuori che Leo era una persona davvero in gamba, straordinariamente intelligente e colto, il tipo perfetto per essere il protagonista di un film. Per cui abbiamo raccolto informazioni da tutte le possibili fonti, le abbiamo messe insieme, e poi abbiamo tirato fuori una storia.

Come lavori ad una seceneggiatura basata su persone realmente esistite?
Guardando i video delle interviste a Leo e parlando con suo figlio e con la gente con cui aveva lavorato, capisci un po' che tipo fosse e gradualmente te ne fai un'idea. Nel suo archivio ci sono moltissime lettere da lui scritte alla moglie e al figlio sul processo e su ogni altro genere di cose, dalla vita familiare a quella professionale, che ti aiutano a mettere insieme i pezzi un po' alla volta, fino a quando non senti di avere in mente un ritratto abbastanza accurato. Nel caso di Milton, abbiamo avuto la possibilità di incontrarlo e di parlargli, per cui è stato più facile imparare a conoscerlo. Abbiamo potuto capire cosa avesse dovuto affrontare per ottenere quel lavoro, la sua lungimiranza nel comprendere l'importanza di trasmettere quell'evento e perché ci tenesse così tanto a trasmetterlo.

Tra i personaggi, ce n'è stato uno particolarmente interessante su cui scrivere?
Sono tutti molto interessanti – anche se ovviamente i protagonisti sono Leo e Milton. Quello che affascina in queste due persone è che Milton è un giovane produttore che vuole dimostrare di riuscire a portare a termine un lavoro così impegnativo, mentre Leo ha una sensibilità più artistica, attento a come appaiono le cose e interessato a comprendere cosa rappresenti Eichmann. Così, pur non essendo in conflitto, i due procedono su binari paralleli.

Come decidi l'inizio e la fine del film?
Avevamo ipotizzato di partire dal rapimento di Eichmann, ma poi ho pensato che sarebbe stata una falsa introduzione al tema del film, che è quasi interamente incentrato sul processo. Ritenevamo fosse giusto circoscrivere tutto al processo e, guardando tutti gli interrogatori di Eichmann, abbiamo trovato quella parte in cui il procuratore sembra finalmente essere riuscito a portarlo fino al punto in cui se continuasse a parlare finirebbe con l'incriminare se stesso, e alla fine infatti lui cede e dice: "Non rivelerò mai i miei sentimenti più profondi". Ma uno degli obiettivi di Leo consisteva proprio nel cercare di arrivare ai sentimenti più intimi di Eichmann, per capire cosa provasse da essere umano di fronte alle cose terribili che gli ordinavano di fare come ufficiale nazista. Quella confessione finale nell'aula – o semi-confessione – di non voler rivelare i suoi sentimenti più profondi sembrava poter essere la giusta conclusione della storia, per lo meno dal punto di vista di Leo. Così alla fine c'è una giustapposizione di Leo, che sente di non essere arrivato dove si era proposto di arrivare, e Milton che sente che entrambi sono riusciti nell'impresa di registrare e filmare un evento epocale – ore e ore di riprese in cui quello che hanno fatto i nazisti viene raccontato con strazianti dettagli – e sente di essere stato pienamente ripagato della fatica necessaria a raggiungere l'obiettivo.

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