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Il Tuo Ultimo Sguardo (2016)

The Last Face
Locandina Il Tuo Ultimo Sguardo
Il Tuo Ultimo Sguardo (The Last Face) è un film del 2016 prodotto in USA, di genere Drammatico diretto da Sean Penn. Il film dura circa 132 minuti. Il cast include Charlize Theron, Javier Bardem, Adèle Exarchopoulos, Jean Reno, Jared Harris, Sibo Mlambo. In Italia, esce al cinema giovedì 29 Giugno 2017 distribuito da 01 Distribution. Disponibile in homevideo in DVD da giovedì 14 Dicembre 2017. Al Box Office italiano ha incassato circa 55190 euro.

Il tuo ultimo sguardo racconta la storia d’amore tra il Dr. Miguel Leon (il premio Oscar Javier Bardem), un medico impegnato in una missione di aiuto sanitario, e la Dr.a Wren Petersen (il premio Oscar Charlize Theron), direttrice di una organizzazione umanitaria. Sullo sfondo di una Liberia devastata dalla guerra, Miguel e Wren dovranno trovare il modo per mantenere vivo il loro rapporto, in condizioni estremamente difficili, e affrontare anche il problema che le loro opinioni per risolvere il conflitto che li circonda sono diametralmente opposte. Diretto dal due volte premio Oscar Sean Penn, il film è interpretato anche dal candidato agli Emmy Jared Harris e dagli attori francesi Jean Reno e Adèle Exarchopoulos.

Info Tecniche e Distribuzione

Uscita al Cinema in Italia: giovedì 29 Giugno 2017
Uscita in Italia: 29/06/2017
Prima Uscita: 20/05/2016 (Cannes Film Festival)
Genere: Drammatico
Nazione: USA - 2016
Durata: 132 minuti
Formato: Colore
Produzione: River Road Entertainment, FilmHaven Entertainment, Gerber Pictures, Matt Palmieri Productions
Distribuzione: 01 Distribution
Box Office: Italia: 55.190 euro
In HomeVideo: in DVD da giovedì 14 Dicembre 2017 [scopri DVD e Blu-ray]

Immagini

[Schermo Intero]

LA PRODUZIONE

È stato grazie all’amicizia che da oltre 25 anni lo lega alla scrittrice/regista Erin Dignam, che il produttore Matt Palmieri è arrivato a questo straordinario materiale. “Erin ha vissuto a lungo in Africa Centrale per fare ricerche sulla storia e ha anche adottato due bambini della Sierra Leone, quindi per lei è qualcosa di molto personale e per parecchio tempo ha pensato di dirigere lei stessa il film”, ricorda Palmieri.
Poi Dignam ha dovuto occuparsi dei bambini e ha chiesto a Palmieri di seguire lui il progetto. “Era una delle sceneggiature migliori che avessi mai letto, ogni parola era come doveva essere, una storia straordinaria con un sostrato emotivo e personaggi magnifici, Erin si è affidata a me perché la realizzassi nel modo giusto”, dice Palmieri, aggiungendo anche che la storia ha avuto una risonanza profonda su di lui a livello emotivo. Il produttore, che ha già realizzato un film su un paese in guerra, Darfur Now, sul genocidio in Sud Sudan, viene da una famiglia molto impegnata nel sociale. “Mia madre era un’attivista pacifista e mio padre un ambasciatore itinerante per i rifugiati durante l’amministrazione Carter e ha operato in Somalia e in Etiopia, quindi ho passato gran parte della mia infanzia in Africa ed Erin lo sapeva”.
Il produttore Bill Gerber aggiunge: “Erin è molto coinvolta a livello personale dall’Africa, e parte del suo interesse riguarda il fatto di concentrare l’attenzione su un posto molto misterioso e bisogna riconoscere che ha scritto una storia completamente originale, non tratta da un libro, ma ideata interamente da lei. Raccontare una storia d’amore in un modo così drammatico è un’impresa fantastica”.
Attivista nella difesa dei rifugiati lui stesso, Javier Bardem ha coprodotto e interpretato Figli delle nuvole: l’ultima colonia, un film che documenta come la colonizzazione del Sahara Occidentale abbia costretto quasi 200.000 persone a vivere nei campi profughi. Palmieri ricorda anche che Bardem è sempre stato coinvolto con Erin quando lei pensava di dirigere il film, “Javier si sentiva molto legato al progetto e quando abbiamo cominciato a lavorarci mi ha contattato”.
Palmieri ha portato la sceneggiatura agli agenti, che hanno suggerito i nomi dei migliori registi del mondo, “ma dentro di me sentivo che l’unico regista che volevo era Sean, che è anche un mio vecchio amico.  Non è solo uno straordinario regista, ma conosce quella situazione meglio di chiunque altro al mondo. È anche un leader appassionato che trascina la gente e la porta ad andare oltre i propri limiti ed era proprio di uno come lui che avevamo bisogno per realizzare un film che rispecchiasse la sceneggiatura”.
Il tuo ultimo sguardo ha iniziato a prendere forma quando Penn ha portato il progetto a Bill Pohlad di River Road Entertainment, che aveva prodotto uno dei primi film del regista, Into the Wild-Nelle terre selvagge, e con cui aveva lavorato per Tree Of Life e Fair Game-Caccia alla spia, di cui Penn era stato protagonista. “Sono stato affascinato dalla storia e poi era il tipo di film perfetto per River Road”, dice Pohlad, “sono attratto dalle storie che affrontano certi argomenti senza essere troppo pesanti. A differenza di tanti film che vogliono cambiare il mondo o farti la lezione, Il tuo ultimo sguardo parla delle crisi umanitarie attraverso una storia d’amore, che è il centro emotivo del film”.

LA STORIA

“Quando Sean è entrato nel progetto e ha sviluppato la sua visione, il film ha preso forma”, dice Pohlad.
“Sean era stato in Sudan e ha voluto aumentare le dimensioni del film, farlo diventare epico, perché lo meritava, è una delle storie più importanti del mondo attuale”, aggiunge Palmieri.
Il produttore esecutivo Jon Kuyper è d’accordo: “Sean è un regista molto tecnico, anche se proviene dal mondo della recitazione. Ha una grande familiarità con le attrezzature, sa esattamente cosa vuole in termini di obiettivi, di gru e di riprese, insomma di tutto quello che usa per esprimere la sua visione. Mette tutto questo nella sceneggiatura, il suo script è molto intenso, molto tecnico, perché vuole che ognuno sappia con precisione cosa lui vuole ottenere”.
“Ha riscritto in continuazione la sceneggiatura”, continua Kuyper,”e abbiamo lavorato per mesi alla revisione durante la preproduzione. Ogni due giorni c’era una nuova revisione e non si trattava di qualche parola, ma di elementi sostanziali. Si può dire che ci ha lavorato davvero per far emergere tutte le emozioni di quelle crisi orrende, non solo delle relazioni personali. I protagonisti sono due persone che si trovano a combattere per due visioni diverse in un mondo devastato e Sean è stato molto aggressivo nell’esprimerlo”.
Penn ha sempre offerto con generosità il suo tempo e ha usato la sua celebrità per sostenere sul campo tante cause politiche e sociali, come ha fatto dopo il terremoto che ha squassato Haiti e dopo l’uragano Katrina – quando si è impegnato di persona negli interventi umanitari. Al World Summit of Nobel Peace Laureates’ del 2012 l’attore è stato premiato con il prestigioso Peace Summit Award per gli sforzi compiuti per risollevare Haiti dopo il disastro.
Analizzando il problema dell’equilibrio tra un’impronta documentaristica e un film di intrattenimento, il produttore Bill Gerber dice: “Sean è un vero filantropo, va sul posto, firma gli assegni e vuole capire veramente cosa è successo e come bisogna intervenire”.
“Sean ha scavato nelle esperienze che ha vissuto personalmente ed è quello che vediamo nel nostro campo profughi. Le sue opinioni si sono formate sulla realtà che ha vissuto ed è impossibile non restarne colpiti”, continua Gerber.
Ed è stato proprio l’alto profilo del suo lavoro umanitario che ha permesso ai realizzatori di trovare aperte tutte le porte per poter mantenere l’autenticità della visione del regista. Le Nazioni Unite, il World Food Program, Medecins sans Frontieres, Medecins du Monde e altre ONGhanno dato un supporto straordinario alla produzione. Addirittura il World Food Program ha fornito materiali, attrezzature, confezioni di cibo e acqua da tutto il mondo e le ha inviate sul posto, inoltre ha contribuito controllando la correttezza del logo.

IL CASTING

Il processo di sviluppo del film è durato 13 mesi e nel frattempo Javier Bardem, già coinvolto, parlava di chi avrebbe interpretato il ruolo di Wren. “La prima, e la migliore, della nostra lista era Charlize Theron”, dice Palmieri. “Oltre ad essere un’attrice straordinaria, è impegnata anche lei a livello umanitario e ha fondato una ONG che si occupa dei bambini rimasti orfani a causa dell’AIDS in Sud Africa. È l’esatto opposto di Javier, sia fisicamente che emotivamente, e quando Sean ha chiesto ‘che ne pensate di Charlize?’ – ovviamente siamo stati tutti entusiasti”.                     Pohlad considera Charlize Theron una delle attrici più grandi di oggi. “È coinvolgente ed esprime una tale empatia che è naturale e credibile vederla agire in quell’ambiente”.           
Javier Bardem ha dimostrato in questo e in altri ruoli il suo talento di attore. “È emozionante averli insieme”, dice Pohlad, “ovviamente oltre a Charlize e a Javier, abbiamo voluto nel film solo persone assolutamente credibili per interpretare personaggi provenienti da diverse culture e professioni che si ritrovano a lavorare in quell’ambiente. Non l’abbiamo considerato un film americano o solo per il pubblico americano, ma con una dimensione e una rilevanza internazionale. Il cast comprende un attore inglese, Jared Harris, e attori francesi, come Jean Reno e Adèle Exarchopoulos, mentre il liberiano Zubin Cooper, che è entrato nel progetto come consulente, esordisce come attore nel ruolo del ‘Dr. Mousa’”.
Il produttore esecutivo Jon Kuyper condivide l’esperienza di trovarsi al fianco di attori che non considerano il loro ruolo nella produzione un “lavoro”. “Sono tutti qui perché vogliono esserci, sentono l’urgenza del problema, credono nella forza del messaggio e credono in Sean”.
“È un materiale complesso e duro per i realizzatori e gli artisti che ci lavorano, ma alla base del film c’è una grande storia d’amore”, dice Palmieri.

IL LINGUAGGIO VISIVO

“Sean tiene molto all’autenticità e al realismo e in preproduzione, quando tutti noi stavamo cercando di immaginare come realizzare questo film, lui ha fatto proiettare notiziari, immagini dei telegiornali e documentari. È stato duro guardarli, ma era quello il mondo di cui stavamo parlando”, spiega Jon Kuyper.
“Uno degli elementi assolutamente unici di questo film dal punto di vista creativo, per me, per Dianna Cilliers, la nostra costumista, e JP van der Merwe che si è occupato del casting delle comparse – è che non stavamo inventando quell’ambiente, lo stavamo riflettendo, come uno specchio, ricreavamo avvenimenti reali, parlavamo di gente vera, di personaggi veri”, dice lo scenografo Andrew Laws, che è stato colpito dalla quantità di elementi visivi disponibili cui ha potuto avere accesso per le sue ricerche.
Oltre a lavorare in stretto contatto con le Nazioni Unite e altre ONG, i realizzatori hanno avuto molti consulenti provenienti dal Sud Sudan e dalla Liberia, prima e durante l’inizio delle riprese. Tramite il passaparola, Zubin Cooper è stato individuato come un consulente molto importante per la produzione, perché aveva già collaborato direttamente con una missione militare delle Nazioni Unite e con altre ONG durante il periodo di transizione per un accordo di pace nel paese e in seguito aveva lavorato a un documentario di Discovery Channel del 2003, Liberian Civil War. Avendo visto il meglio e il peggio della Liberia, Cooper ha potuto fornire informazioni di prima mano sulla guerra ed essere una guida di straordinaria importanza per i realizzatori, aiutandoli a districarsi fra gli accenti e i luoghi, risolvendo problemi che andavano dalle targhe dei veicoli al guardaroba.
“Grintoso e grafico, questo film è realistico come può esserlo una fiction”, dice Cooper, “Sean ha fatto il possibile per interpretare la realtà e se c’è un film che ritrae con accuratezza quello che è successo, è il nostro”.

IL RITRATTO DI UN MONDO

La storia abbraccia un arco di circa 13 anni, inizia con l’attuale stato di crisi in Sudan all’interno di una base di una missione delle Nazioni Unite dove, per la prima volta nella sua storia, l’organizzazione ha fatto rifugiare un intero campo profughi. Poi ci sono flashback sulle guerre civili in Sierra Leone e Liberia nel 2003, quando Miguel e Wren si sono incontrati per la prima volta e si sono innamorati, intervallati da scene del lavoro che Wren svolge ora a Ginevra, dove il loro amore riprende forza.
Poiché la storia si svolge nel corso di parecchi anni, e poi per il tipo di lavoro che svolgono e per gli ambienti in cui vivono i personaggi, la nostra storia non è concentrata sulla crisi di un paese in particolare o su una zona specifica dell’Africa”, dice Bill Pohlad.
“Sean voleva riflettere qualcosa di molto attuale, qualcosa che sta succedendo proprio adesso, tanto che mentre facevamo i sopralluoghi abbiamo esaminato la situazione a Malakal e nel resto del Sud Sudan”, dice Laws, “infatti Sean e il direttore della fotografia, Barry Ackroyd, hanno visitato il Sud Sudan per assorbire gli elementi di quell’ambiente e parlare con la gente di quello che stava accadendo”.
Per spiegare l’approccio del regista per ottenere un equilibrio tra l’intimità della relazione tra due persone e il caos e il terrore che li circondano, Laws dice: “Sean ha avuto un punto di vista pittorico, era interessato alle sensazioni della storia e all’energia di una scena e a come tutto questo si sviluppasse. Per me era molto importante creare questi ambienti a 360 gradi dove lui potesse esplorare e individuare quello che gli serviva, un piccolissimo e bel momento all’interno di questa dimensione visiva, quindi Barry Ackroyd e io abbiamo abbiamo stabilito un rapporto simbiotico che credo abbia aiutato Sean a concentrarsi sulla performance degli attori”.
Raccontare una storia che si svolge in quattro paesi, Sierra Leone, Liberia, Sud Sudan e Sudafrica, a Città del Capo – dove è nata Wren – è stata un sfida logistica e finanziaria per i realizzatori. “Semplicemente dal punto di vista della produzione è stato complicatissimo”, dice Laws, “era preoccupante pensare che dovevamo avere a che fare con così tanti paesi dove non era certo facile girare”.
Ma il produttore esecutivo Jon Kuyper, che ha prodotto parecchi film in Sudafrica, era sicuro che oltre a offrire uno straordinario mix di location, le competenze e le capacità della troupe tecnica e dei servizi di supporto di quel paese sarebbero stati in grado di soddisfare tutte le esigenze della produzione di Il tuo ultimo sguardo.
“I tanti paesaggi che caratterizzano il Sudafrica avrebbero potuto ospitare tranquillamente tutti gli ambienti di cui avevamo bisogno, non eravamo più obbligati a viaggiare in giro per il mondo e questo è stato un enorme sollievo”, dice Laws, aggiungendo che quel paese è “molto amico del cinema”.
Per tre mesi la produzione ha girato in tutto il paese e l’ambiente desertico del Sud Sudan è stato trovato a Upington e Pella, nella provincia di Northern Cape. In quella zona remota del Sudafrica, ai confini con la Namibia, il colore rossastro del terreno che risalta in quel paesaggio desolato è drammatico di per sé. “Sean è stato molto preciso sul look che voleva e abbiamo dovuto trovare una serie di ambienti diversi nello stesso posto”, dice Kuyper.
“A Pella abbiamo creato un villaggio del Sud Sudan che viene attaccato, costruendo all’interno delle strutture rocciose che la caratterizzano degli insediamenti abitativi e quel luogo, che ha un aspetto quasi ultraterreno, mostra un altro aspetto della disperazione che si vede in quelle circostanze e in quei conflitti”, aggiunge Laws.
Più a sud, nella provincia del KwaZulu-Natal (che da solo ha le dimensioni della Svizzera) nella Mzamba Valley, i realizzatori hanno trovato l’ambiente giusto per la Sierra Leone e la Liberia, che fanno da sfondo a gran parte della narrazione: la giungla, il valico di confine e un enorme e sconvolgente campo profughi. Per motivi logistici, i realizzatori avevano bisogno che l’area del campo fosse molto vicina alla giungla tropicale che il gruppo attraversa, affrontando un lungo e pericoloso viaggio per abbandonare la Liberia nel momento in cui infuria la guerra e arrivare alla frontiera, dove scoprono l’enorme campo dove si è rifugiata gran parte della popolazione.
“Era molto importante per noi avere quell’ambientazione, quella vegetazione lussureggiante e quel grande spazio dove costruire il campo e far arrivare al pubblico la sensazione di quanto fosse enorme il problema”.
Per la storia è fondamentale l’arrivo del gruppo nel campo profughi, perché rivela loro quante persone siano state costrette ad abbandonare le loro case, un numero inimmaginabile. Laws e il gruppo delle costruzioni hanno messo in piedi una tendopoli sovrappopolata, utilizzando solo ed esclusivamente i materiali e le risorse limitate che sarebbero state accessibili a quelle migliaia di persone prive di tutto. “Per le nostre costruzioni abbiamo utilizzato ciò che abbiamo trovato sul posto, abbiamo riciclato teli di plastica e pezzi di metallo, eravamo consapevoli che era con quello che dovevamo lavorare. C’è un linguaggio per i luoghi che vengono inquadrati dalla macchina da presa e un linguaggio per ciò che resta nell’ombra”.
“Le dimensioni del campo, che si espande per alcune miglia, erano essenziali, non solo per noi dal punto di vista creativo, ma per dare il senso del luogo alle comparse e al pubblico e permettere loro di entrare in contatto emotivo con l’ambiente e farli sentire all’interno di un posto che poteva accogliere fino 25.000 persone”.
Per rispondere alla richiesta di Sean Penn della massima autenticità, il supervisore delle comparse, J.P van der Merwe, ha lanciato una ricerca a livello nazionale per trovare ‘veri’ Sud Sudanesi e Liberiani. “Sean voleva che avessero quell’aspetto specifico e che parlassero il dialetto di quelle regioni”, dice van der Merwe, che ha trovato una grande comunità liberiana a sole due ore da Mzamba Valley. Per i Liberiani che cercano una nuova casa, la città di Durban nel KwaZulu-Natal è l’ideale, perché il suo clima è simile a quello tropicale della Liberia.
La ricerca dell’autenticità di Penn a qualsiasi livello, ha costretto van der Merwe a cercare sempre nuove comparse, a volte quotidianamente, perché contribuivano talmente alla narrazione visiva che alcune di loro sono entrate nel cast e hanno recitato dei dialoghi. Nelle scene di massa, come quelle nel campo profughi, erano presenti oltre 1000 comparse, su un totale di 8500 presenti nel film.
“L’arrivo delle comparse aggiungeva spessore e profondità e tutte insieme creavano un ambiente davvero inquietante per gli attori”, dice Laws. “Dopo qualche giorno di riprese le comparse hanno iniziato a prendere contatto con il posto e a fare cose interagendo con l’ambiente in un modo che non avresti potuto pianificare. C’è una sensazione di grande naturalezza e desideri poterla cogliere quando la trovi”.
“Dal punto di vista delle scenografie, le dimensioni visive del film sono sorprendenti, ma per tutti quelli che vi hanno lavorato, da me e finendo con le persone che hanno costruito le baracche, è stata una sorta di comprensione fisica di cosa è quel tipo di mondo”, continua Laws.
“Dal campo profughi a tutti gli altri set e le altre location in cui abbiamo lavorato, Sean ha portato la sua competenza, a Haiti ha gestito un campo che ospitava 60.000 persone con JP/RHO e capisce al volo quello che funziona e quello che non funziona”, aggiunge Bill Pohlad.
“Lavorare con Sean è un’esperienza interessante perché siamo qui e realizziamo un film su uno dei problemi umanitari del mondo di oggi e non è semplice come stare sul set tutto il giorno, cosa che lui fa benissimo e ovviamente ci mette tutto il suo cuore e la sua intelligenza”, continua Kuyper, “ma alla fine delle riprese, Sean porta avanti il suo lavoro umanitario. Una notte, quando nei telegiornali si è iniziato a parlare del virus Ebola, io stavo tornando dal set dopo una lunga giornata di lavoro nella pioggia e nel vento, Sean era nell’atrio dell’albergo al telefono con il presidente della Liberia e parlava di una sua visita umanitaria nel paese e diceva che avrebbe donato dei fondi per una unità di crisi nel JFK Hospital di Monrovia. E questo nel suo tempo libero!”.
La costumista Diana Cilliers ribadisce la richiesta di una visione realistica del regista. “Sean è stato estremamente preciso sui costumi, sulla gamma dei colori e sulla necessità di esaltare le differenze tra le diverse regioni africane”, spiega Cilliers. “La Sierra Leone è lussureggiante e le persone indossano abiti con delle stampe a cera molto particolari, invece in Sud Sudan i colori sono più sbiaditi e la Liberia ha un look molto americanizzato, i colori sono forti e le stoffe hanno disegni molto belli ed elaborati”.
Del guardaroba degli attori, Cilliers dice che gli abiti dovevano avere un design pratico e semplice. “Abbiamo lavorato perché i personaggi avessero un aspetto totalmente credibile, dalle stoffe alle scarpe, dovevano essere cose che avrebbero indossato le persone che lavorano in una ONG. Miguel non è un personaggio che indossa abiti raffinati, porta dei jeans molto semplici, ma nello stesso tempo è il protagonista e volevamo che apparisse piacevole e attraente, e lo stesso abbiamo fatto con Wren”.
In totale Cilliers ha vestito oltre 8000 persone, tra rifugiati, lavoratori delle ONG e soldati. La cosa che ha affascinato di più la costumista è stato il guardaroba dei ribelli. Le ricerche che ha condotto le hanno fatto scoprire che spesso indossavano abiti e parrucche da donna. “In parte questo è dovuto alla credenza di essere più protetti con gli abiti femminili, ma ha anche un significato più profondo per loro, è un rito di passaggio”.

UN LEADER DETERMINATO

Tenere un’intera produzione motivata e concentrata mentre si lavora su un terreno difficile e in location sempre diverse, in condizioni climatiche difficili e con un piano di lavoro molto serrato era la cosa più importante. Ed è stato Penn a farlo, con la sua caratteristica e inconfondibile preparazione, con la sua empatia e la sua energica leadership.
“Sean è una delle persone più appassionate e di carattere che io abbia mai incontrato”, dice Palmieri, “è attentissimo ai dettagli ed è inflessibile nel ricercare la sua visione sullo schermo. La troupe sudafricana era dedita al lavoro e ricca di talento e Sean la portava a un livello sempre più alto con il suo esempio. Se c’è qualcosa di potenzialmente pericoloso da girare, lui è lì. In una scena in cui bruciava una tenda, lui è stato il primo ad andare sul set con la sua macchina da presa, proprio in mezzo all’incendio, per mostrare a tutti che non c’era alcun pericolo. Ha fatto così sempre, in ogni occasione”.
“Sean è uno dei registi più preparati con cui abbia mai lavorato. Non c’è un solo elemento in questo film su cui non abbia lavorato. Ha pre-visualizzato questo film nella sua mente così a lungo che se qualcuno faceva una domanda lui aveva la risposta, l’aveva girato tante volte dentro di sé”, aggiunge Gerber.
“Sean sa come realizzare un film, come mettere le cose sullo schermo, facendo prevalere la qualità sulla quantità”, dice Kuyper. “Ti spinge al massimo ed è dura, ma lui dirige ed è incredibilmente intelligente nelle decisioni che prende. Quando ho visto cosa cercava di fare, non ho avuto dubbi che quando chiedeva qualcosa era perché era molto importante per il film. Non avevamo un grosso budget, è stato un lavoro d’amore per il regista, per il cast e per tutta la troupe che hanno lavorato all’obiettivo di Sean di essere fedele alla realtà”.

FARE DEL MONDO UN POSTO MIGLIORE

Per decenni politici, potenti e governi corrotti alla ricerca di ricchezze minerarie hanno scatenato guerre civili in Africa e creato zone di conflitto dove le dimensioni della distruzione sono ora inimmaginabili. Centinaia di migliaia di persone sono state massacrate durante colpi di Stato militari, sono state annientate emotivamente dallo stupro e dalla violenza di genere e sono state vittime di indicibili violazioni dei diritti umani. I civili che tentavano di sopravvivere alle stragi sono stati costretti a fuggire e ad abbandonare le loro case perché i ribelli seminavano il terrore nelle loro regioni e così si è arrivati ad avere oltre 9 milioni di rifugiati. È una sofferenza che non ha fine.
Il film è portato sullo schermo da un gruppo di realizzatori e di attori che condividono un grande impegno umanitario ed è stato proprio questo che li ha spinti a lavorare con un materiale così difficile.
Non è un documentario didattico o un film di guerra. Al centro c’è la storia d’amore di due persone che hanno dedicato la loro vita a umanizzare le condizioni umane e che cercano di mantenere vivo il loro amore anche in mezzo alle atrocità con cui convivono a causa del loro lavoro.
La narrazione affronta problemi gravi, attuali e globali. C’è un livello di emergenza crescente e agenzie come le Nazioni Unite, il World Food Program, Medecins sans Frontieres, Medecins du Monde, le cui risorse sono al limite, lavorano sulla linea del fronte con missioni per trovare una mediazione di pace, fornire aiuti alimentari e sanitari e garantire la protezione dei rifugiati.
“Sean ha voluto essere il più possibile fedele alla realtà storica degli eventi e alla gente e alle organizzazioni che cercano di fornire aiuto, esprimendo rispetto per quello che fanno e come lo fanno in situazioni così estreme”, dice Laws.
Il fatto che Sean Penn sia un regista pluripremiato e uno dei più grandi attori della sua generazione, insieme al suo intenso impegno umanitario, hanno aumentato l’attenzione intorno all’argomento. “Sean conosce bene il problema dei rifugiati, dei conflitti e degli aiuti umanitari, meglio di qualsiasi altro cineasta al mondo, lui li ha vissuti”, dice Palmieri.
Pohlad, che è nel comitato direttivo dell’Haitian Relief Organization, JP/HRO, fondato da Penn, conosce bene l’ampiezza e la forza del lavoro del regista a Haiti. “Ma, oltre che a Haiti, il suo impegno umanitario l’ha portato in tante direzioni diverse in crisi correlate o in situazioni politiche simili in altre parti del mondo. Sono sempre rimasto colpito dal modo in cui le gestisce e dalla quantità di informazioni e problemi con cui è capace di misurarsi.  Nella comunità delle ONG e delle agenzie umanitarie non è visto come Sean Penn, ‘l’attore’. Hanno tutti un’alta opinione di lui, il suo lavoro contribuisce molto ad accrescere la consapevolezza del loro lavoro nelle zone di conflitto”.
“Credo che il pubblico riceverà un messaggio di speranza dal film, perché in una situazione di caos e tragedia ci sono persone impegnate sulla linea del fronte che ogni giorno forniscono assistenza a milioni di rifugiati e li aiutano a rifarsi una vita. Credo che aprirà le menti a ciò che avviene nel mondo e spingerà molti a impegnarsi personalmente”, dice Palmieri.
“Dimentichiamo che i rifugiati erano medici, infermieri e avvocati e che improvvisamente, senza alcun motivo sensato, si ritrovano a essere profughi, senza sapere dove andare e devono ricominciare con gli abiti che si sono portati dietro. Penso che Il tuo ultimo sguardo sensibilizzerà gli spettatori e aprirà i loro cuori alla generosità”, dice Gerber.

HomeVideo (beta)


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Il Tuo Ultimo Sguardo disponibile in DVD da giovedì 14 Dicembre 2017
info: 29/06/2017.


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