Locandina Sopravvissuto – The Martian
Locandina Sopravvissuto - The Martian
Sopravvissuto - The Martian (The Martian) è un film del 2015 prodotto in USA, di genere Avventura e Sopravvivenza diretto da Ridley Scott. Il film dura circa 141 minuti. Tratto dal romanzo 'The Martian' di Andy Weir. Il cast include Matt Damon, Jessica Chastain, Kristen Wiig, Jeff Daniels, Michael Peña, Kate Mara, Sebastian Stan. In Italia, esce al cinema giovedì 26 Novembre 2015 distribuito da 20th Century Fox. Disponibile in homevideo in DVD da giovedì 14 Gennaio 2016. Al Box Office italiano ha incassato circa 6978269 euro.

Un racconto avvincente sulla forza umana e sulla volontà di sopravvivenza, con Matt Damon nei panni di un astronauta bloccato su Marte.

Durante una missione su Marte, l’astronauta Mark Watney viene considerato morto dopo una forte tempesta e per questo abbandonato dal suo equipaggio. Ma Watney è sopravvissuto e ora si ritrova solo sul pianeta ostile. Con scarse provviste, Watney deve attingere al suo ingegno, alla sua arguzia e al suo spirito di sopravvivenza per trovare un modo per segnalare alla Terra che è vivo. A milioni di chilometri di distanza, la NASA e un team di scienziati internazionali lavorano instancabilmente per cercare di portare “il marziano” a casa, mentre i suoi compagni cercano di tracciare un’audace, se non impossibile, missione di salvataggio.

Info Tecniche e Distribuzione

Uscita al Cinema in Italia: giovedì 26 Novembre 2015
Uscita in Italia: 26/11/2015
Data di Uscita USA: venerdì 2 Ottobre 2015
Prima Uscita: 02/10/2015 (USA)
Genere: Avventura, Sopravvivenza, Sci-Fi, Azione, Fantascienza
Nazione: USA - 2015
Durata: 141 minuti
Formato: Colore
Produzione: Twentieth Century Fox Film Corporation, TSG Entertainment (in associazione con), Scott Free Productions, Genre Films, International Traders, Mid Atlantic Films
Distribuzione: 20th Century Fox
Budget: 108.000.000 dollari (stimato)
Box Office: USA: 225.930.402 dollari | Italia: 6.978.269 euro
Soggetto:
Tratto dal romanzo 'The Martian' di Andy Weir.
Classificazioni per età: ITA: 12+
Conosciuto anche come: Sopravvissuto: The Martian [Internazionale]
In HomeVideo: in DVD da giovedì 14 Gennaio 2016 [scopri DVD e Blu-ray]

Recensioni redazione

Sopravvissuto - The Martian, la recensione
Sopravvissuto - The Martian, la recensione
Erika Pomella, voto 8/10
'Sopravvissuto - The Martian' è il miglior film di Ridley Scott degli ultimi anni: un Blockbuster intelligente e ben scritto, pieno di citazioni e ironia, e con un protagonista che è pressoché impossibile non amare.

Immagini

[Schermo Intero]

A tutti noi è capitato di sentirci soli al mondo. Ma solo Mark Watney conosce la sensazione di essere solo su Marte. Ritenuto morto in seguito a una devastante tempesta di vento su Marte che ha provocato un’improvvisa evacuazione, Watney si risveglia, ferito e completamente solo; per continuare a vivere e non diventare la prima vittima umana sul pianeta marziano, deve reagire immediatamente, pur sapendo che i soccorsi distano anni luce da lui.

“E’ una storia di sopravvivenza estrema”, spiega il regista Ridley Scott. “Mark Watney è isolato e sottoposto a stenti inimmaginabili. Il film racconta il modo in cui deve far fronte a questa situazione. Il suo destino dipende da come reagirà: se si lascerà andare al panico e alla disperazione, accettando una fine inesorabile, oppure se sfrutterà le risorse a sua disposizione, facendo leva sulle sue abilità, il suo senso dell’umorismo e la sua capacità di risolvere i problemi”.

NOTE DI PRODIZIONE

L’umorismo di Watney diventa uno strumento per affrontare le ostilità, un modo che gli consente di accantonare la disperazione e di non pensare alle circostanze estreme in cui si trova. La sua propensione all’ottimismo è fondamentale in questa storia, ed è una delle caratteristiche del personaggio che ha convinto Matt Damon ad accettare il ruolo.
“Damon ha apprezzato l’umorismo di Watney e degli altri personaggi”, dice Damon. “Il tono spiritoso della storia non è mai fuori luogo e fa da complemento al dramma intenso della vicenda, cosa che non accade mai nel genere fantascientifico”.
Quando Damon ha ricevuto la sceneggiatura dal produttore Simon Kinberg, con cui ha lavorato in  Elysium, ne è stato entusiasta.
“Matt ha avuto la stessa reazione mia e dello studio”, racconta Kinberg. “L’ha trovata originale e divertente, gli è piaciuto il suo approccio particolare al tema della sopravvivenza. E noi non riuscivamo a immaginare nessun altro attore per il ruolo di Mark Watney”.

La sceneggiatura è basata su un romanzo originale dello scrittore Andy Weir, che vanta un passato di programmatore di computer. Aditya Sood è stato il primo produttore a leggere l’eBook di Weir, prima della pubblicazione edita da Random House nel 2014; all’inizio il libro era una serie online e poi è diventato un eBook disponibile su Amazon.
Dice Sood: “Ho pensato che fosse una delle migliori storie di fantascienza che avessi mai letto. A Watney va tutto male, tuttavia non si arrende. La sua speranza infonde al film uno spessore che va oltre il genere di avventura”.
Dopo aver letto le prime trenta pagine, Kinberg era già conquistato; la Fox ha opzionato il libro tramite la Genre Films di Kinberg, che ha un contratto di prelazione con lo studio. Il libro quindi è stato inviato al noto sceneggiatore Drew Goddard, con la speranza che potesse sia scrivere il copione che dirigere il film. Kinberg racconta che in pochi mesi Goddard ha partorito un copione eccezionale, malgrado la difficoltà di dover adattare un libro ricco di dettagli scientifici e matematici, di personaggi e di stratificazioni narrative.

Goddard dice: “Ho letto il libro di Andy tutto d’un fiato. Sono cresciuto insieme agli scienziati a Los Alamos, nel New Mexico, e non avevo mai trovato nessuno in grado di incarnare le peculiarità di uno scienziato moderno, fino a quando non ho letto il libro di Andy. Nell’adattamento ho cercato di preservare il nucleo vibrante del libro a ogni costo”.
Grazie al copione di Goddard e all’interesse di Damon, il progetto è stato sviluppato rapidamente, e si è fermato solo per qualche tempo, quando Goddard ha accettato un altro incarico. Ma il vuoto che ha lasciato è stato riempito non solo da un grande regista, ma da un vero e proprio maestro del cinema, come lo definisce Kinberg. Circolavano i nomi di diversi filmmaker di spicco quando i produttori hanno ricevuto una notizia del tutto inattesa: Ridley Scott era disponibile.

“Ridley è il mio regista cinematografico preferito, è perfetto per questa storia, ma inizialmente era impegnato con un altro film”, racconta Kinberg. “Quando abbiamo saputo che il suo film era stato posticipato, gli abbiamo inviato subito il copione”.
Dice Scott: “Ero affascinato da una trama che mostra la missione quasi impossibile di Watney e gli sforzi a livello internazionale e della NASA. Rivali geopolitici devono superare le proprie diversità e collaborare allo scopo di salvare la vita dell’astronauta; il mondo intero viene coinvolto in questa sfida enorme e complessa”.

Goddard stesso si è entusiasmato nel vedere il suo copione nelle mani di Scott, e ha commentato: “Ricordo ancora dove ero seduto la prima volta che ho visto la famosa scena di Blade Runner in cui il personaggio di Roy Batty [interpretato da Rutger Hauer] parla dei “raggi B che brillano nel buio alle porte di Tannhauser”.  (Ero seduto nella terza fila a sinistra, all’interno del White Roxy Theater. Avevo sette anni). Tutto ciò che ho scritto è stato sempre influenzato da Ridley Scott; il mio DNA creativo contiene tutti i suoi film. Avere l’occasione di lavorare con lui è stato un sogno che si avvera”.
Infatti, Andy Weir stenta quasi a credere alla vorticosa successione di eventi che ha portato una serie online a diventare una grande produzione cinematografica. In realtà all’inizio non ci credeva affatto.
“Vivo nella California del nord e non avevo mai incontrato di persona il mio agente newyorkese né il produttore o i dirigenti della Fox di Los Angeles. Quando mi hanno detto che Ridley Scott avrebbe diretto il film, ero convinto che fosse tutto uno scherzo!”

Weir voleva che il suo romanzo, che si basa su ricerche meticolose e su reali nozioni scientifiche e matematiche, fosse un libro tecnico per addetti ai lavori. Dice: “Non pensavo che potesse piacere al grande pubblico, tantomeno che avrebbe suscitato un interesse così grande!”.

Lo scrittore ha immaginato semplicemente una missione umana su Marte e quindi ha sviluppato un’infinita possibilità di sviluppi drammatici.  “Nei 25 anni in cui sono stato programmatore informatico, e ho imparato l’assoluta importanza di un buon backup”, dichiara.  Weir postava nuovi capitoli ogni sei-otto settimane per un pubblico in costante aumento grazie al passaparola, e ha ultimato la storia in tre anni. A quel punto ha messo in vendita il libro – a 99 centesimi – su Amazon, ed è stato contattato da un agente. Quando è stato chiamato dalla Genre Films, si è messo in moto ciò che Weir definisce “la realizzazione della fantasia di ogni scrittore”.
La storia di Weir è ambientata in un prossimo futuro, più o meno a 12-15 anni da ora e virtualmente ogni aspetto scientifico del libro è plausibile e sostenuto da teorie attuali. Con una sola eccezione: data la bassa pressione atmosferica di Marte (meno dell’1 percento di quella della Terra), una tempesta di vento dell’intensità di quella descritta da Weir non è possibile.

“Dovevo trovare il modo di costringere gli astronauti ad allontanarsi dal pianeta, quindi mi sono concesso qualche libertà”, confessa Weir. “E poi l’idea della tempesta mi sembrava interessante”.

Durante la tempesta, che ha luogo nel 18° sol di una missione che ne prevede 31, un pezzo di antenna va a conficcarsi nel costume di Watney, rendendo sia lui che i suoi sensori inoperabili.  (Un sol è la durata di un giorno solare su Marte, che dura 24 ore e 40 minuti).  Dal momento in cui si verifica questo singolare incidente, il suo ingegno, determinazione e coraggio saranno messi a dura prova.

Dice Damon: “Watney è un botanico e un ingegnere meccanico, inviato su Marte per studiare e rilevare campioni di terreno, nella speranza di scoprire la sua composizione e se è possibile renderlo coltivabile. È stato addestrato a sopravvivere, ma non ha molto tempo a disposizione. Immagina che ci vogliano 3 o 4 anni prima che possano soccorrerlo. Nella lotta fra uomo e natura, di solito è la natura ad avere la meglio”.
La battaglia più importante che Watney deve combattere, riguarda la sua volontà. Lasciarsi andare alla disperazione sarebbe deleterio quanto l’ostile ambiente marziano. Watney tiene un diario di bordo ‘visivo’ e, immaginando che possa diventare il suo testamento, lo arricchisce di dati scientifici e di una bella dose di ironia.

Andy Weir aggiunge: “Il personaggio di Mark è ispirato alla mia personalità, anche se lui è più intelligente e più coraggioso di me, e non ha i miei difetti. Forse è come vorrei essere. E’ interpretato da Matt Damon”.

Una delle sorprese più piacevoli che Weir ha sperimentato nello scrivere la storia, riguarda il modo in cui “i personaggi minori acquistano importanza nel corso della vicenda e diventano fondamentali”.

Nel copione di Goddard, gli astronauti e il personale NASA sono parti eguali di un insieme. Scott ha arricchito la storia con alcune sequenze d’azione, dando più carisma al Comandante Melissa Lewis che entra a far parte della galleria delle indimenticabili protagoniste femminili che caratterizzano i suoi film.

La Comandante Lewis è la leader della terza missione su Marte, chiamata  Ares III,  ed è capo di un equipaggio di sei persone che comprende anche Watney; Lewis comanda sia la missione che l’astronave Hermes. Il viaggio dall’orbita terrestre a quella marziana impiega nove mesi, un periodo di tempo sufficiente in cui Lewis afferma la propria autorità sulla squadra e in cui gli astronauti creano un forte legame fra loro.

Jessica Chastain, che interpreta Lewis, dichiara: “Lewis è un personaggio molto ben delineato, che va ad arricchire il parterre di incredibili personaggi femminili di Ridley Scott. Lewis è stata addestrata nella Marina Militare e deve guidare una squadra composta da persone molto intelligenti e specializzate. Ha un rapporto amichevole e piacevole con l’equipaggio ma non intende lasciare ombra di dubbio su chi comanda”.
Avendo preso la decisione di lasciare indietro Watney, credendolo morto, Lewis  ha un forte senso di colpa e di rimorso che si ripercuoterà sulle sue azioni e sull’integrità della sua leadership.

Al suo fianco troviamo il pilota dell’Hermes, Rick Martinez (Michael Peña), un esperto di volo che ha il tipico atteggiamento della sua categoria,  spiritoso e sicuro di sé. Durante i primi giorni su Marte, ama scambiarsi battute con Mark Watney, prima della tempesta e del disastro che ne consegue.
“Quando ho lavorato in Fury (il film d’azione sulla 2a guerra mondiale, del 2014) ho imparato il modo in cui scherzano i militari”, spiega Peña. “Sono un po’ rozzi ma l’umorismo li aiuta a restare vigili e ad affrontare il pericolo”.
Lewis, anche se a volte si lascia scappare un sorriso, è un po’ infastidita dagli sfottò di Watney e Martinez, così come lo è la riservatissima Beth Johanssen (Kate Mara), l’esperta di tecnologia e di informatica che fa parte del gruppo.  Beth si occupa di tutto ciò che ha a che fare con i computer.

Spiega Kate Mara: “Ho avuto l’occasione di incontrare Ridley Scott e di parlare del ruolo prima ancora di ricevere il copione. Sono da sempre una fan di Scott, ho persino chiamato uno dei miei cani con il nome di un personaggio di Gladiator (“Lucious”). Ovviamente volevo lavorare con lui”.

Mara era contenta anche all’idea di lavorare con Jessica Chastain, e le piaceva il fatto che nel film interpretasse il ruolo del Comandante. Il personaggio di Johanssen ammira Lewis, il ché mi si addice, perché anche io allo stesso modo ammiro Jessica e rispetto i progetti e le scelte che ha fatto nel corso della sua carriera”.
L’equipaggio di Hermes comprende inoltre il chimico tedesco Alex Vogel (Aksel Hennie) e il chirurgo americano Chris Beck (Sebastian Stan).  Hennie, un attore piuttosto popolare in Norvegia, dove ha girato Headhunters e Pioneer, dichiara che SOPRAVVISSUTO – THE MARTIAN è un film che parla di “solitudine” e di “lavoro di squadra”. Esprime alcuni dei più alti ideali della nostra umanità. È il genere di narrazione edificante che cerco e in cui personalmente credo”.
Al di là del suo background medico, Beck, come gli altri astronauti, è stato istruito anche in altri campi della scienza ed è in grado di far fronte a una varietà di situazioni critiche. Sono tutti consapevoli che ogni viaggio spaziale ha due destinazioni possibili: l’obiettivo e l’ignoto.
“Considero questi coraggiosi esploratori di Marte al pari di Lewis e Clark, i coraggiosi esploratori ottocenteschi che per primi raggiunsero la costa pacifica via terra”, dice Beck. “L’impulso all’esplorazione fa parte del DNA umano”.

Un gruppo di amministratori e ingegneri della Nasa sono atterriti quando si rendono conto che solo cinque dei sei astronauti inviati su Marte, stanno facendo ritorno. Le migliori menti della NASA e del Jet Propulsion Laboratory in California, cercano affannosamente di trovare un modo per riportare a casa Watney. E’ l’evento mediatico del secolo. La NASA, gli executive e gli scienziati del Laboratorio sono nell’occhio del ciclone: il mondo intero ha gli occhi puntati su di loro. Se vi ritenete sotto pressione, provate per un attimo a mettervi nei panni di Annie Montrose (Kristen Wiig), il responsabile NASA dei rapporti con i media. Oltre a dover cercare di carpire informazioni sensate dal personale NASA, che cela comunque una grande preoccupazione, deve anche occuparsi di gestire una schiera di giornalisti impazziti, affamati di qualsiasi stralcio di notizia da poter divulgare prima degli altri.
“Annie deve capire il modo in cui tante persone importanti intendono gestire questa situazione e deve prendere la decisione di cosa diffondere e come farlo”, spiega Wiig. “E’ in bilico fra il dovere di informare il mondo e quello di proteggere la reputazione della NASA”.

Montrose lavora in un mondo dominato dagli uomini, ma si è guadagnata il rispetto del suo capo, Teddy Sanders (Jeff Daniels), il direttore della NASA, vessato da enormi responsabilità, gravato da decisioni di vita e morte. Alcune delle menti più eccelse del mondo attendono i suoi giudizi e lui si ritrova a capo di individui dall’ego stratosferico. In fin dei conti si tratta di veri e propri geni scientifici.

“Teddy gestisce un gruppo di persone estremamente intelligenti, esperti di scienza, ma li tratta come se stesse guidando un branco di gatti”, scherza Jeff Daniels. “Gatti intelligenti, ovviamente, ma pur sempre gatti. Questi individui amano inventare teorie, presentare le proprie idee, e sfoggiare la propria intelligenza durante le conferenze, ma non bisogna chiedergli di prendere decisioni. Rimandano sempre a qualcun altro. Perciò Teddy ama soprattutto il potere che detiene su queste menti eccelse e alle volte si prende persino gioco di loro. Così mantengono un basso profilo”.

Uno di questi geni, Rich Purnell (Donald Glover), un giovane esperto di dinamica orbitale del JPL, partecipa a un meeting con i grandi scienziati e, sfoggiando tutta la sua sicurezza, offre la soluzione per riportare Watney sulla Terra. Ignaro della superbia di Sanders, lo recluta per farsi aiutare durante una dimostrazione improvvisata della sua teoria.
Dice Daniels: “Secondo Teddy,  Purnell è irriverente come qualcuno che si rivolge alla Regina d’Inghilterra dicendo “Ehi, che bel vestito!” Perciò l’enfant prodige viene subito allontanato dalla sala”.
La mancanza di deferenza di Purnell nei confronti dei suoi superiori, riflette una più ampia distinzione culturale fra l’ambiente più ‘abbottonato’ della NASA, responsabile di inviare esseri umani nello spazio, e il rilassato atteggiamento californiano del JPL.
Gli uffici di Purnell e del direttore del JPL Bruce Ng (Benedict Wong) sono dei piccoli abitacoli sciatti e disordinati, dove i due uomini trascorrono la maggior parte del loro tempo. Watney non è l’unico a essere un recluso: anche la squadra del JPL, che ha il compito di ideare una sonda in brevissimo tempo, è fondamentalmente relegata all’interno del laboratorio, rinunciando alla propria vita personale e domestica per riuscire a trarre in salvo l’astronauta.
Gli sforzi sovrumani sembrano finalmente dare i loro frutti. Sanders si rende conto della validità della teoria di Purnell, sostenuta dal Direttore delle Missioni su Marte della NASA, Dr. Vincent Kapoor (Chiwetel Ejiofor). Kapoor ha la responsabilità più grande nella gestione del ‘caso Watney’ e mette la sua squadra a completa disposizione.

Ejiofor commenta: “Mi ha affascinato il fatto che la storia esplori anche la comunità spaziale, composta da alcune delle persone più dotate dal punto di vista mentale del nostro pianeta, eppure il modo in cui interagiscono e lavorano insieme è simile a quello di qualsiasi altro ambiente professionale. Sono rimasto colpito dall’impegno offerto dall’intera comunità, dall’energia, dalle risorse e dai mezzi tecnici messi in campo per salvare un singolo uomo.
“Ho parlato con alcuni professionisti del JPL e della NASA per capire il tipo di pressione a cui sono sottoposti”, continua Ejiofor.  “Gli astronauti ripongono la massima fiducia in queste agenzie, sa che anche un singolo errore può essere fatale. Vincent è il simbolo di questa dedizione e professionalità, ma la cosa più interessante è che a un certo punto sviluppa una profonda empatia nei confronti dell’uomo bloccato su Marte. La sua non è più la missione per salvare un astronauta: vuole salvare Mark Watney”.

Le risorse della NASA e JPL, però, non sono sufficienti. Fortunatamente Eddy Ko e Chen Shu della Chinese National Space Agency (CNSA) si rendono inaspettatamente disponibili a cooperare: il loro atteggiamento potrebbe creare una nuova armonia e una collaborazione senza precedenti nella storia delle relazioni internazionali e diplomatiche dei due Paesi, oppure, al contrario, potrebbe persino generare nuovi dissapori all’interno di un equilibrio estremamente delicato. La CNSA stabilisce un contatto con Sanders per offrire un prototipo di razzo cinese che potrebbe nel frattempo portare rifornimenti su Marte. Qui vediamo la cortesia professionale in azione: uomini e donne nella stessa ‘barca’ o meglio ‘astronave’ che cercano di eludere la burocrazia. E’ l’atteggiamento condiviso da tutti i professionisti altamente addestrati di qualsiasi industria e nazionalità.

Dopo essersi assicurato l’aiuto della Cina, Sanders deve preoccuparsi della sfida lanciata alla propria autorità da parte di un membro della sua squadra: il direttore di volo di Ares III Mitch Henderson (Sean Bean), che a differenza di Sanders, che deve guardare agli interessi sia di Mark Watney che della NASA, e non necessariamente in questo ordine, Hendersonnon ha un unico obiettivo. Non gliene importa nulla delle pubbliche relazioni con la NASA. Intende solo riportare a casa i suoi astronauti. Tutti.

“Mitch non è un conformista come gli altri membri della squadra; ha in mente solo uno scopo e disprezza le chiacchiere inutili”, spiega Sean Bean. “E’ una di quelle rare persone che non ama scaricare le proprie responsabilità e che è in grado di tenere testa ai suoi superiori. È furibondo perché l’equipaggio di Hermes non è stato informato della sopravvivenza di Watney. Farà quello che secondo lui va fatto, senza pensare alle conseguenze sul piano personale”.

Henderson metterà in moto una rischiosa catena di eventi che potrebbero mettere a repentaglio il proprio lavoro e costringere l’equipaggio di Hermes a prendere decisioni importanti ed essere per questo accusato di ammutinamento.
Né Henderson né gli altri della NASA sarebbero a conoscenza della sopravvivenza di Watney se non fosse stato per la curiosità dell’impiegata Mindy Park (Mackenzie Davis), che lavora di notte presso la Satellite Communications. Durante il suo turno, sta eseguendo gli ordini del Dr. Kapoor per visionare le immagini satellitari di Ares III e determinare così se i rifornimenti sono intatti e disponibili per la missione successiva. E’ passato un mese dalla presunta morte di Watney e Mindy non resiste alla tentazione di cercare il corpo. E in quel momento fa una scoperta incredibile.

“La scoperta di Mindy provoca una forte reazione da parte della NASA; improvvisamente questa semplice impiegata si ritrova a occupare una posizione molto più meritevole all’interno della propria azienda”, spiega Davis. “Ora siede accanto a quelli che contano, nei meeting con le massima autorità, ma si sente un po’ a disagio. Deve acquisire fiducia in se stessa perché nel suo nuovo ruolo dovrà fornire parecchie risposte”.
Mark Watney, invece, non ha dubbi sulle risposte che vuole ricevere: come si fa a far crescere del cibo quando saranno finite le provviste alimentari? Come si fa a stabilire un contatto con la NASA? E che dire dell’ossigeno che presto inizierà a scarseggiare?

E poi: come farà a sopravvivere con la musica disco dell’unica playlist selezionata dal Comandante Lewis?

LA VITA SU MARTE

Marte è inospitale. Il suo clima estremo, che offre un’escursione termica che va dai -153°C ai 22°C d’estate, rende piuttosto difficile la scelta del guardaroba. (E’ consigliabile vestirsi a strati). Per non parlare della respirazione, che è praticamente impossibile: il 95 per cento dell’aria è composto da anidride carbonica. Il terreno non possiede batteri e quindi non è coltivabile. L’acqua esiste ma solo sotto forma di ghiaccio.
Persino il suo colore rossastro sembra un avvertimento: qui non c’è nulla per nessuno, a parte asfissia e ipotermia.
Tuttavia gli esseri umani adorano inoltrarsi dove non sono desiderati. E così eccoci su Marte.
Per facilitare l’esplorazione umana del pianeta è necessario creare un habitat artificiale (Hab). In SOPRAVVISSUTO – THE MARTIAN, la NASA ha inviato per 4 anni, delle sonde senza equipaggio che hanno trasportato costruzioni prefabbricate sul pianeta, per assemblare un Hab, oltre a provviste e strumenti vari. L’equipaggio di Ares III avrà a disposizione diversi comfort che includono computer, l’occorrente per la cena del Giorno del Ringraziamento e un Rover, un fantastico SUV.  Avranno inoltre a disposizione un MAV (Mars Ascent Vehicle), cioè un veicolo che li riporterà su Hermes dopo la missione del 31° sol.
La storia inizia nel 18° sol, quando l’equipaggio ha già assemblato il suo Hab: una struttura di tela pressurizzata, di 90 metri quadrati. Una gran quantità di radiazioni solari e di neutroni penetrano la sottile atmosfera di Marte, infatti Hab deve essere schermato all’esterno con vari strati di lamine di fibra sintetica e di poliestere e deve essere tappezzato di polistirene.
All’interno dell’Hab troviamo alcuni alloggi, un’area di lavoro in comune, una camera d’equilibrio pressurizzata per entrare e uscire, e un magazzino per l’equipaggiamento, nonché strumenti vitali quali l’ossigenatore, il regolatore atmosferico e un serbatoio che bonifica l’acqua. Dispone di razioni sufficienti affinché sei astronauti sopravvivano per 68 sol. Ma ora che Watney è rimasto solo, il tempo di rimanenza è aumentato a 400 sol. Quindi Watney da solo dispone di più tempo, ma non abbastanza per farcela fino all’arrivo di una missione di soccorso.
Watney, un botanico, intende dotare il suolo marziano dei batteri necessari per far crescere le patate. Questi modesti tuberi, che un tempo hanno salvato un’intera civiltà dalla fame, ancora una volta avranno il compito di sostentare la vita umana, stavolta su un altro pianeta. Un problema risolto.
A dimostrazione che ciò che per qualcuno è uno scarto, per qualcun altro può essere un tesoro, Watney usa il Rover per rintracciare la sonda Pathfinder, ormai in disuso dal 1997. Utilizza la sua videocamera per comunicare con la NASA e JPL. Due problemi risolti. Riesce anche a capire come creare più ossigeno.
A questo punto il problema principale resta quello della musica disco.
Le cose migliorano. Watney ha pressurizzato il suo rifugio e dispone di ossigeno. Ha cibo a sufficienza e ha trovato il modo di coltivarne altro. Ha l’acqua e sa come ricavarne altra. Può comunicare con la NASA, con cui scambia battute e parolacce quando non concorda con i suoi capi.
Se non ci saranno altri problemi, le probabilità della sua sopravvivenza sono aumentate sensibilmente da quando ha estratto il pezzo di antenna dal suo addome.
Tuttavia la Legge di Murphy è universale. E qualcosa va sempre male per forza.
Un incidente terribile distrugge il duro lavoro di Watney e gran parte del suo ottimismo.
Il tempo stringe e saltano tutte le previsioni di soccorso della NASA. La sensazione di emergenza lascia il posto al timore di un disastro incombente. Bisogna lavorare 24 ore su 24.
Un uomo è in pericolo. Il mondo è impietrito di fronte al suo dramma. E un esiguo gruppo di scienziati e di astronauti devono prendere decisioni difficili per poterlo salvare.
Da Houston a Pechino, da Melbourne a Mosca, tutti pensano solo alle vicissitudini di Mark Watney che ormai è diventato molto più di un astronauta: è un simbolo. La sua crisi sta mettendo alla prova alcuni dei migliori pensatori del nostro pianeta, che non stanno solo cercando di soccorrere un essere umano, bensì di salvare le aspirazioni dell’umanità. E’ Marte contro i terrestri e il mondo fa il tifo per la squadra di casa.

LA PRODUZIONE

La fotografia principale di SOPRAVVISSUTO – THE MARTIAN è iniziata l’8 novembre 2014 a Budapest. La splendida capitale centro-europea di recente ospita grandi produzioni hollywoodiane, attratte dalla sua bellezza e dalla competenza delle sue troupe. Ma, in particolare, i filmmaker hanno scelto questa città per i teatri di posa dei Korda Studios.
Il Teatro 6 dei Korda Studios, reputato il più grande al mondo, era il luogo ideale dove costruire un paesaggio marziano che potesse ospitare l’Hab e la piattaforma di lancio del MAV. Il set è stato utilizzato soprattutto per le scene di dialogo, gli interni dell’Hab, e per mettere in scena la gigantesca tempesta di sabbia. I panorami e le vaste prospettive sono stati invece girati in Giordania.
Dice il produttore Mark Huffam: “Abbiamo effettuato un sopralluogo nelle aree semi-desertiche dell’Outback australiano, perché cercavamo il posto dove effettuare le riprese della superfice marziana. Però non andavano bene, e abbiamo deciso di girare la maggior parte delle sequenze di Marte all’interno: in questo modo abbiamo avuto un controllo maggiore dell’ambiente. In seguito abbiamo abbinato queste riprese agli esterni di Wadi Rum, in Giordania”.
Nel corso della produzione, i Korda Studios fervevano di attività, con tutti e sei i teatri di posa utilizzati per costruire e rivitalizzare una decina di grandi set, fra cui quello del veicolo spaziale Hermes e dell’Hab su Marte. Il dipartimento artistico ha lavorato freneticamente, per tenere testa a Scott, regista noto per la sua rapidità e per essere sempre in anticipo rispetto al programma di lavoro.
A parte i Korda Studios, Budapest offriva il vantaggio di possedere un edificio affascinante che viene chiamato The Whale (La Balena, per via del suo profilo e della sua vicinanza al fiume Danubio). The Whale ha ospitato le sequenze in cui compare lo staff della NASA, fra cui gli uffici di Teddy Sanders e di Annie Montrose, le sale conferenza, l’area break e un bar, l’entrata principale e la sala di controllo. Lo scenografo Arthur Max lo descrive come “un edificio sofisticato, architettonicamente all’avanguardia. E’ un’enorme struttura sferica, di vetro e cemento, con meravigliose persiane che si aprono e si chiudono elettricamente e che ci hanno fornito il controllo totale dell’illuminazione. Questo edificio è stato una benedizione. Sarebbe costato una fortuna dover costruire un set di questo genere, in un teatro di posa”.
Per poter creare e modificare facilmente la struttura degli uffici, alcuni muri di cemento sono stati provvisti di ruote. Gli esterni in vetro, curvi e scintillanti di The Whale hanno fornito anche l’immagine della futuristica sede della NASA.
Il pezzo forte è la Sala di Controllo Missione, il centro di comunicazione della NASA. Un grande schermo centrale, circondato da una decina di altri schermi, visualizza dati e immagini che lo staff della NASA monitora costantemente. Sono le immagini trasmesse dai satelliti orbitanti da ricognizione, da sonde spaziali e dalla Stazione Spaziale Internazionale. E’ nella Sala di Controllo che Mindy Park si rende conto che Watney è ancora vivo, ed è sempre lì che i leader della NASA – qualche mese dopo – comanderanno il lancio di un razzo allo scopo di portarlo in salvo.
Al posto dello schermo verde su cu proiettare le immagini desiderate, il regista Scott, sugli schermi della Sala di Controllo, ha voluto immagini grafiche che hanno usato come fonti di luce e che hanno generato negli attori reazioni più autentiche, dato che erano presenti sul posto in tempo reale durante la loro recitazione. La compagnia inglese Territory (Spy, Mission: Impossible – Rogue Nation) ha lavorato con l’artista Felicity Hickson utilizzando una grande quantità di immagini satellitari ad alta risoluzione, e materiale video della NASA.
La NASA ha fornito un’importante consulenza al progetto cinematografico, dal copione alle riprese. Il produttore Mark Huffam ricorda di aver interpellato la NASA durante il primo meeting di produzione con Ridley Scott e di essere stato “molto contento di sapere che la NASA conosceva il libro e che era entusiasta all’idea di una collaborazione aperta e di uno scambio di idee”.
La produzione ha avuto modo di filmare il lancio dei missili a Cape Canaveral, fra cui il decollo, a dicembre 2014, di Orion, un’astronave di ultima generazione, ideata per trasportare gli umani nello spazio in vista di una loro futura possibile esplorazione di Marte. Orion è stata mandata in orbita con un omaggio a Ridley Scott: il primo sketch di Mark Watney, fatto dal regista e apparso sulla copertina del copione, con la coraggiosa dichiarazione dell’astronauta “Questo pianeta non avrà più segreti per me!”
La partnership con la NASA ha avuto inizio con Bert Ulrich, che cura i rapporti fra l’organizzazione e il mondo del cinema e della televisione, e quindi si è ampliata fino a includere Dr. James Green, il direttore NASA delle Scienze Planetarie, e Dave Lavery, responsabile dell’esplorazione di Marte; entrambi hanno fornito una preziosa consulenza tecnica al copione e alla produzione.
Ulrich afferma che il romanzo di Andy Weir in questo momento è una lettura particolarmente in voga presso il Johnson Space Center, e che l’apprezzato lavoro di Ridley Scott viene molto considerato dall’agenzia durante la preparazione del viaggio su Marte.
“La fantascienza, specialmente al cinema, influenza sempre la scienza vera”, dice Ulrich. “Credo che sia l’arte che la scienza si basino entrambe sulla creatività, curiosità e immaginazione”.
La scenografia di Arthur Max inizia a prendere forma durante un ampio tour del Johnson Space Center di Houston, guidato da Dr. Green; l’ambiente presenta tutti i requisiti necessari per poter portare un essere umano su Marte. Max ha inoltre visionato i vecchi centri di controllo di Mercury e Apollo nonché l’attuale Centro che ha coordinato le missioni spaziali dello Shuttle e che monitora la Stazione Spaziale Internazionale.
“Ho mescolato alcuni degli elementi che ho visto alla NASA e li ho arricchiti con un look futuristico, immaginando come potrebbe essere una centrale di controllo del futuro”, dice Max. “La NASA è stata estremamente collaborativa non solo nel fornirci un grande apporto e risorse, ma anche approvando tutti i nostri design”.
Dopo aver girato nei set creati da Max all’interno di The Whale, la società si è trasferita in un complesso di edifici di 40 ettari chiamato Hungarian Expo, dove sono stati costruiti i set degli uffici del JPL, del laboratorio e del garage.
Le riprese effettuate presso l’Hungarian Expo, si sono concluse alla fine di novembre, e con loro è terminato anche il lavoro degli attori Ejiofor, Daniels, Wiig, Bean, Davis, Wong e Glover. Dopo una breve interruzione, i filmmaker hanno iniziato a girare nei Korda Studios, per raccontare le storie separate di Watney e degli astronauti.
Dice Damon: “Prima di arrivare negli Studios, 54 attori avevano già terminato il proprio lavoro”.
Il programma di lavoro di Damon si è sovrapposto a quello di Chastain e degli altri astronauti, ed è durato 3 giorni, a metà dicembre; poi, a febbraio, ha girato con Chastain per altri due giorni.
“Avevo girato due film con Matt [Interstellar è l’altro], e sul set abbiamo lavorato insieme solo per una settimana”, dice Chastain.
L’intero equipaggio di Hermes appare insieme nella terribile tempesta marziana che mette in moto la storia. Per evitare di affidarsi agli effetti visivi, Ridley Scott voleva che la tempesta sembrasse reale, sia al cast che al pubblico. La sequenza è stata girata nel corso di tre giorni, nel gigantesco Teatro 6 che ospitava gli esterni di Marte, e ha comportato la presenza di ventilatori giganteschi, polvere fitta, scarsissima visibilità e un nugolo di sporcizia. La prima giornata di tempesta è stata dura per tutti.
“E’ stata l’esperienza più difficile della mia carriera”, osserva il costumista Janty Yates. “Sembrava di stare sotto un uragano”.
Persino le maschere indossate dagli attori sul viso, non riuscivano a proteggerli dal turbine di polvere e sporcizia che inondava i loro occhi, orecchie e bocche. Le particelle entravano nelle intercapedini dei caschi spaziali indossati dagli attori, che loro malgrado le inalavano. Fra una ripresa e l’altra gli assistenti del guardaroba correvano a rimuovere i loro caschi per farli respirare meglio.
“Venite su Marte, vi divertirete”, scherza Michael Peña, masticando polvere. “Quando sono arrivato sul set indossando per la prima volta il costume di scena, ho pensato: ‘Che bello, sono un astronauta. E’ una scena grandiosa. Ecco cosa vuol dire fare un film con Ridley Scott. Mi farò valere!” E poi improvvisamente mi sono ritrovato a combattere nel vento, cercando di respirare, di non cadere e pensavo solo “Merda… Spero solo di non rovinare questa sequenza!”
“Un battesimo di fuoco”, concorda Jessica Chastain. “Abbiamo girato la scena della tempesta nel nostro primo giorno insieme e neanche ci conoscevamo. Stavamo ancora cercando di entrare nei nostri personaggi quando delle enormi turbine hanno iniziato a spararci addosso polvere e sabbia”.
Mentre gli attori erano disorientati e non riuscivano neanche a vedersi in quel marasma, potevano però parlare e sentirsi fra loro, nonché comunicare con Ridley, grazie ai piccoli collegamenti audio e microfoni inseriti nei loro caschi. E’ stata un’esperienza surreale che ha contribuito a creare un forte legame fra tutti loro, spiega Kate Mara.
“Abbiamo stabilito subito un bel legame perché attraverso i caschi potevamo sentire solo noi stessi e non quello che diceva la troupe intorno a noi”, racconta Mara. “Abbiamo iniziato a scherzare e a fare battute e questo ha creato una grande vicinanza. A volte abbiamo quasi esagerato con le battute, poi ci ricordavamo di Ridley e ci chiedevamo: “Un attimo, ma Ridley ci sta ascoltando? ‘”
I caschi e le tute, che complessivamente pesavano 18 chili, non hanno di certo contribuito a facilitare gli spostamenti degli attori sulla sabbia e contro un vento che soffiava a oltre 100 chilometri orari.
Sia i caschi che i costumi sono opera della stilista Jany Yates e dell’esperto spaziale Michael Mooney. I caschi contengono sei luci, che vengono accese da un piccolo telecomando a due canali, alimentato da una batteria. Un ventilatore all’interno dello zaino del costume, che contiene provviste vitali, invia aria attraverso un tubo all’interno del casco. I caschi hanno uno spessore che varia da uno a quattro millimetri, e sono stati costruiti dalla FBFX attraverso un sistema di fusione sottovuoto. Mooney li ha modificati per renderli il più leggeri possibile, cioè di circa 4 chili, ma afferma che “per alcuni attori erano pesanti, soprattutto per una giornata di riprese di dieci ore”.
Al di sotto dei caschi, i costumi da indossare in superfice di colore bianco e arancione, vengono indossati dagli astronauti quando esplorano la superfice del pianeta e pur essendo aerodinamici e aderenti, consentono completa flessibilità di movimento.
Durante la pre-produzione Yates ha mostrato a Damon una prima versione del suo costume, e l’attore conferma che il risultato finale è “esattamente come lo aveva concepito. Mentre leggevo il copione, pensavo: ‘Questa storia è fantastica, ma sicuramente dovrò passare 80 giorni all’interno di qualche costume ingombrante’. Invece il costume che ho indossato era comodo, aderente come una muta subacquea”.
Prima di disegnare i costumi, Yates ha incontrato il curatore dello Smithsonian Museum di Washington, D.C., che ospita un’interessante collezione di costume spaziali che risalgono agli inizi del programma Mercury, la Yates ha svolto una ricerca al Johnson Space Center e al JPL. Un’esperienza che l’ha davvero affascinata.
Aggiunge Yates: “Ho visto i rover, li ho visti costruire satelliti… Mi sembrava di essere già in un film di fantascienza. Mi hanno inviato tante immagini utili. Abbiamo visto i disegni dei costumi che stanno progettando per missioni che vanno fino al 2030.
“Ridley mi ha detto che voleva dei costumi sottili e che consentissero un ampio movimento degli astronauti, che mostrassero una bella silhouette. I costumi della NASA hanno il casco incorporato, ma questo per noi non andava bene, e quindi abbiamo dovuto cambiare modello. Abbiamo apportato qualche modifica anche all’estetica oltre che per esigenze di ripresa, e penso che abbiamo trovato un buon compromesso tra forma e funzionalità”.
La forma è stata presa meno in considerazione per quanto riguarda il costume “EVA” (Extra Vehicular Activity), la tuta spaziale che gli astronauti indossano quando esplorano territori all’esterno dell’astronave (che Ridley Scott chiama “doughboy”, un termine con cui venivano confidenzialmente chiamati i soldati della 1a guerra mondiale). Il costume EVA viene indossato durante le operazioni in assenza di gravità, all’esterno di Hermes, ed è generalmente pesante e ingombrante. È fatto di lastre di fibra di carbonio, con otto anelli d’acciaio di 3 millimetri agganciati ai cavi. L’attrezzatura stunt di Damon pesava 25 chili, che sommati al peso del costume e del casco, diventavano 45.
Oltre dieci fornitori sono stati impiegati per creare i caschi e 15 costumi per le attività extra veicolari degli astronauti.
Yates ha ideato un terzo look per gli astronauti, che lei stessa definisce “una tuta da ginnastica”. Spiega la costumista: “E’ un costume utile alle loro attività quotidiane a bordo di Hermes. E’ elegante, aderente e comodo, e poiché viene indossato solo all’interno della navicella pressurizzata, non necessita di respiratore artificiale”.
Hermes è dotato del proprio sistema di supporto vitale, che sostiene l’equipaggio di Ares III durante il viaggio di nove mesi verso Marte. (La lunghezza del viaggio può variare, a seconda delle orbite dei rispettivi pianeti). Hermes è stato costruito nei Teatri 2 e 3 dei Korda Studios, e si basa sui progetti della Stazione Spaziale Internazionale, utilizzando una serie di moduli a incastro. L’esterno del velivolo è dotato di pannelli solari, depositi per acqua e ossigeno, derive per la dissipazione del calore, moduli di comunicazione, e altri meccanismi di sopravvivenza.
Basato su avanzati progetti della NASA, Hermes è alimentato da un propulsore al plasma, che secondo Arthur Max non era mai stato presentato in un film perché si tratta di una tecnologia di ultima generazione. Il design incorpora un largo braccio telescopico attraverso il quale il reattore che emette il calore, si trova a una distanza sicura dalla nave spaziale.
“Abbiamo voluto un look appariscente ma abbiamo cercato di non discostarci dalla realtà pratica e dalla tecnologia all’avanguardia”, spiega.
Max è cresciuto nell’era dello Sputnik, durante la competizione spaziale fra USA e URSS, e da piccolo era ossessionato dalla scienza. “Facevo parte di un club appassionato di missilistica, e facevamo il carburante sui fornelli da cucina, a volte con conseguenze disastrose”, racconta. “Con SOPRAVVISSUTO – THE MARTIAN ho risvegliato il mio interesse nell’esplorazione dello spazio. Sono stato contento di far parte di una storia avventurosa che racconta un tema classico: l’esplorazione dell’ignoto”.
Gli interni bianchi e lucenti di Hermessono un tributo a 2001: Odissea nello spazio, e si snodano dalla cabina di pilotaggio lungo un corridoio che si estende per decine di metri.
A metà del corridoio c’è un tunnel di collegamento ad angolo retto che conduce verso la Recreation Room. All’interno, un cilindro rotante che viene chiamato ruota della gravità, gira velocemente per generare la forza centrifuga che simula gli effetti della gravità.
Rudi Schmidt, uno scienziato della European Space Agency nonché un consulente tecnico presente sul set, spiega che la ruota della gravità è stata sperimentata per la prima volta durante le missioni dello Skylab negli anni ’70, che ha anticipato l’attuale Stazione Spaziale Internazionale.
“Gli astronauti devono restare esposti agli effetti gravitazionali per preservare le ossa e la massa muscolare”, dice Schmidt. “La ruota della gravità teoricamente può generare circa la metà della forza gravitazionale terrestre, e questo è sufficiente per il loro stato di salute”.
La Rec Room (Recreation Room) è dotata di cyclette, tapis roulant, e altre attrezzature per il fitness. E’ un set a se stante all’interno del Teatro 4 dei Korda Studios, costruito su montacarichi idraulici con la ruota della gravità inclinata a 30 gradi a ogni lato.
Affinché gli astronauti a bordo di Hermes potessero simulare il movimento in assenza di gravità, hanno dovuto essere imbragati per dare l’impressione che fluttuassero da un luogo all’altro. Il coordinatore degli stunt Rob Inch e la sua squadra hanno dato vita a un enorme sistema di argani bidimensionale, che ha consentito agli attori di volteggiare all’interno del set a cielo aperto di Hermes. I cavi erano collegati a un gancio attaccato alla loro vita, gambe e i polsi. Il sistema era computerizzato e meccanizzato, tuttavia c’erano anche alcuni stunt che muovevano i cavi per “manovrare” gli attori. L’uso di verricelli e di parti in alluminio ha consentito un movimento libero, fino a 360 gradi.
“Abbiamo dovuto ideare riprese piuttosto complicate per far muovere il cast nel corridoio e nelle altre stanze”, spiega Inch. “Ad esempio, in una scena dovevamo condurre Jessica e Michael lungo la principale fusoliera, nel corridoio, vero la ruota della gravità. Doveva essere un movimento fluido. Non è stato facile”.
Spiega il costruttore stunt Leonard Woodcock che sono stati necessari 150 metri di tavole, 90 metri di ringhiere, 70 carrucole e 400 metri di funi professionali, per costruire la struttura. “C’erano più impalcature di quante ne potessi contare”, dichiara.
Jessica Chastain si è preparata a simulare i movimenti in assenza di gravità, attingendo alla sua esperienza di danzatrice. Nota per la scrupolosità con cui si prepara, Chastain ha trascorso anche diversi giorni presso le strutture NASA e si è documentata sulla vita degli astronauti, fra cui Sally Ride, la prima donna americana nello spazio.
“Nel film del 2014 Interstellar, il mio personaggio restava sulla Terra, e durante la proiezione ricordo di aver pensato quanto doveva essere stato divertente per Matthew McConaughey e Anne Hathaway girare le scene spaziali”, rivela Chastain. “Ho pensato che sarebbe stato veramente bello interpretare un astronauta. Un paio di settimane dopo, sono venuta a sapere che Ridley mi voleva in SOPRAVVISSUTO – THE MARTIAN. Quindi ce l’ho messa tutta. Ho visitato il JPL e il Johnson Space Center, dove ho visto cose davvero straordinarie. Sono entrata in un MAV e nella riproduzione dello Space Shuttle.
Chastain si ritiene fortunata ad aver incontrato l’astronauta-chimico Tracy Caldwell Dyson, uno specialista del volo STS-118 dello Space Shuttle Endeavour, avvenuto nell’agosto 2007; Dyson ha fatto parte anche dell’equipaggio dell’Expedition 24 della Stazione Spaziale Internazionale, nel 2010.
Dyson ha fornito all’attrice una serie di informazioni sia tecniche che umane sulla vita di un astronauta. Chastain dice che la Dyson e le altre astronaute costituiscono dei veri e propri modelli. “Ispirano le donne a intraprendere una carriera scientifica”, osserva l’attrice.
Un altro momento interessante della preparazione di Chastain è stato quando ha indossato gli occhiali 3D Oculus e ha sperimentato le immagini panoramiche di Marte riprese dal Rover Curiosity. “Mi sono sentita come se ci fossi stata davvero”, dichiara.
Il Rover Curiosity ha fornito il modello del Rover di SOPRAVVISSUTO – THE MARTIAN, nonostante quest’ultimo sia più grande e più sofisticato. Basato sui disegni di Arthur Max e supervisionato da Oliver Hodge, il Rover ha sei ruote motrici e un abitacolo trapezoidale e un telaio costruiti da Szalay Dakar, una casa ungherese che costruisce macchine da corsa per la Dakar.
Due versioni a grandezza naturale del Rover sono state realizzate da una squadra di 22 tecnici e da 15 operai di Szalay. Il Rover è essenzialmente un veicolo agricolo in grado di percorrere tutti i tipi di terreno; è dotato di grandi ruote industriali per poter attraversare luoghi aspri e rocciosi. Il modello comprende porte idrauliche con apertura ad ala e un motore diesel da due litri, nonostante l’esterno sia rivestito con pannelli solari che creano la sensazione che il veicolo sfrutti l’energia solare.
Dice il tecnico di effetti speciali del veicolo Glenn Marsh: “Il motore solare svolge un ruolo importante nella storia, perché limita le prestazioni del veicolo che può solo percorrere 40 chilometri alla volta. Questo rappresenta un’ennesima difficoltà per Mark Watney, quando deve mettersi in viaggio per cercare il luogo dove poter essere soccorso”.
I pannelli e i portelli del Rover sono ideati per una rapida e facile rimozione, per facilitare l’inserimento di videocamere 4K sui montanti, al fine di registrare la comunicazione verbale di Watney con la NASA, e di mostrare le immagini di Watney che guida il veicolo.
Come dice Marsh, il Rover è stato ideato per muoversi sui terreni accidentati e ha dato subito prova della sua resistenza in una cava ungherese prima di girare in Ungheria.
Il Rover era già stato usato in diverse scene all’interno del Teatro 6, dove solca il terreno marziano.  4000 tonnellate di terreno e altri materiali sono stati utilizzati per creare una tavolozza topografica in grado di evocare in modo credibile il deserto giordano di Wadi Rum. Arthur Max osserva che il Wadi Rum è stranamente simile a Marte per quanto riguarda i toni rosso arancio, e che lo scopo era quello di raggiungere una totale integrazione degli effetti ottenuti all’interno del teatro di posa con le immagini della location.
Roger Holden ha mescolato tre tipi di terreno ungherese meccanicamente e manualmente, per riuscire a trovare il colore giusto; nei due mesi successivi, la superfice del set marziano è stata perfezionata, e nel corso di questo periodo Holden ha coltivato le patate che nel film Watney fa crescere nell’Hab, seguendo lo stesso procedimento mostrato nel film.
“All’interno dello studio abbiamo costruito uno spazio artificiale dotato di luci, calore e fertilizzante”, dice Holden. “Il nostro processo di fertilizzazione comunque era molto meno complicato di quello di Watney”. Complessivamente Holden ha coltivato oltre 1200 patate, per una media di circa otto tuberi per pianta.
L’accurato paesaggio marziano concepito da Holden all’interno del Teatro 6, era circondato dal più grande schermo verde mai assemblato: 95 metri di lunghezza e 20 metri d’altezza. Lo schermo occupava quasi 2000 metri quadrati. Il supervisore effetti visivi Matt Sloan spiega: “Ridley ama le grandi dimensioni; in questo teatro abbiamo 360 gradi di fondale, a cui possiamo aggiungere fotografie di Wadi Rum, oltre al cielo e alle lune al di sopra dell’orizzonte”.
Per aiutare ad abbinare le immagini girate in studio con quelle girate in Giordania, Sloan e la sua squadra hanno studiato i grafici del percorso solare a Wadi Rum in modo da poter sempre inserire, insieme al direttore della fotografia Dariusz Wolski, ASC, la giusta direzione della luce. Wolski ha utilizzato una fonte luminosa portatile che raggiungeva un’altezza di 20 metri, permettendogli di creare la giusta angolazione del sole.
Sia gli operatori che gli esperti di effetti speciali hanno usato un nuovo strumento visivo che proietta su uno schermo portatile il background visto da ogni angolazione, e questo aiuta moltissimo l’inquadratura. Dice Sloan: “Se Ridley o Dariusz volevano ampliare o allungare un’immagine sullo schermo verde, potevano visualizzare gli effetti sullo schermo, come ad esempio il paesaggio giordano composto da cespugli, rocce e piccole dune sabbiose”.

DA SOLO, SU MARTE

Seduto fra le rocce e la polvere del Teatro 6, Matt Damon sta per terminare gli ultimi giorni di riprese nei Korda Studios. E’ la fine di febbraio e tutti gli altri attori hanno già finito da due settimane. “Ora siamo solo io e Ridley, su Marte”, scherza Damon.
L’insolita dinamica di lavorare da solo in quasi tutte le sue scene è stata un’esperienza nuova per Damon, che commenta: “Questo film è composto essenzialmente da tre storie separate ma collegate fra loro. Watney è una sorta di moderno Robinson Crusoe. Mi piace molto il personaggio e ammiro il modo in cui la storia celebra il suo coraggio e il suo ingegno. Sono d’accordo con quello che mi ha detto Drew Goddard: ‘E’ una lettera d’amore alla scienza’”.
Lavorare nell’orbita gravitazionale di Ridley Scott è stata molto allettante per Damon, che è riuscito a ottenere dagli attori performance che sono “troppo buone per essere casuali. Ridley è disposto a contravvenire alle regole se questo vuol dire creare un maggiore coinvolgimento emotivo con il pubblico. Ha una prospettiva molto più vasta rispetto alla maggior parte delle persone, ed è elettrizzante lavorare così”.
Damon spiega che Scott essenzialmente aveva tutto il film in testa prima di iniziare a girare, infatti gli ha illustrato le inquadrature specifiche, totali, e le installazioni. “Ridley mostra agli attori il film come lo ha immaginato, e questo aiuta moltissimo le loro performance”.
Nel corso delle quasi cinque settimane di recitazione solitaria, Damon non solo sentiva tutto il peso della storia sulle sue spalle, ma anche quello – fisico – dell’attrezzatura spaziale! Ma il suo proverbiale buon umore ha incoraggiato la troupe nei momenti più intensi e faticosi.
Durante la maggior parte delle riprese, l’attore ha riflettuto sulla storia, su quanto impegno viene messo in campo da parte di tutti per salvare Mark Watney.
“Il protagonista diventa un simbolo. Incarna gli istinti primordiali dell’umanità e le nostre speranze nel futuro. E’ stato un privilegio poter interpretare questo personaggio”.

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