Mi chiamo Maris e vengo dal mare [credit: da 'Mi chiamo Maris e vengo dal mare' di Chiaraluce Fiorito]
Mi chiamo Maris e vengo dal mare [credit: da 'Mi chiamo Maris e vengo dal mare' di Chiaraluce Fiorito]
C: da 'Mi chiamo Maris e vengo dal mare' di Chiaraluce Fiorito

Mi chiamo Maris e vengo dal mare: un intenso monologo teatrale sull’immigrazione


Un monologo pieno di sofferenza e nostalgia, ma anche di odio e speranza: 'Mi chiamo Maris e vengo dal mare' è un testo che parla di immigrazione, di guerra, di violenza, ma che parla soprattutto di umanità

Ci sono storie che pensiamo di conoscere: racconti e narrazioni che affermiamo di comprendere solo perché abbiamo sentito una qualche eco arrivare dai telegiornali, dai resoconti orrorifici trasformati spesso in spettacolarizzazioni politiche. Traiettori e percorsi di esseri umani che hanno smesso di esserlo e si sono trasformati in corpi: martoriati, bruciati dal sole, gonfiati dall'acqua del mare, che doveva essere salvezza e che molto spesso si trasforma in una brutale elegia. L'Italia è un paese in cui l'immigrazione – soprattutto quella marittima – si è imposta non solo come evento sociale, ma anche come vero e proprio racconto, qualcosa che sembra trascendere la realtà di cui è fatto per trasformarsi in mito. Ma l'immigrazione è qualcosa di reale, come sono reali le ferite, gli incubi e la disperazione di chi cerca il tutto per tutto per ottenere qualcosa da poter chiamare vita. Ed è su questo che pone l'accento il monologo teatrale Mi chiamo Maris e vengono dal mare, diretto e interpretato da Chiaraluce Fiorito sul progetto drammaturgico di Melania Manzoni. Maris è un nome di fantasia, un nome dietro il quale si nasconde la storia vera di una donna venduta come merce di scambio, violata ripetutamente su un marciapiede nigeriano, costretta ad avere rapporti senza protezione e con la minaccia della morte ad aprirle le gambe. Una donna che rimane incinta e che in grembo porta il seme di quella violenza, di quei soprusi a cui è stata destinata dal sangue del suo sangue. Una che si mette in barca, che affronta il mare buio e misterioso, e che alla fine sbarca in uno Sprar – acronimo per cha sta per Sistema di Protezione Richiedenti Asilo – in Sicilia, dove dovrò fare i conti con una maternità ambigua, fatta di grandi slanci di amore ma anche di freddezza, perché come si fa ad amare qualcuno che è nato grazie a una violenza? Qualcuno che, solo a guardarlo, ti ricorderà per sempre la tua paura, l'odore di qualcuno che ti ha privato dell'anima?

Mi chiamo Maris e vengo dal mare è un monologo duro e pure pieno di sentimento, che concentra tutta la sua forza narrativa sulla presenza di questa donna in scena, da sola, che affronta le onde me anche il buio che si porta impresso addosso, come un memento di quello che ha vissuto, di ciò a cui si è dovuta arrendere, di ciò da cui forse non riuscirà mai a liberarsi. Un monologo teatrale e potente, creato a distanza, tra due artiste che condividevano una passione comune e che non si sono fatte abbattere dalla distanza e che hanno scritto, discusso e reinventato la storia di Mi chiamo Maris e vengo dal mare, che ha iniziato il suo viaggio drammaturgico nel 2019 nell'ambito di Teatri di Pietra, la rete culturale per la valorizzazione dei teatri antichi e del patrimonio monumentale. Lo spettacolo ha da poco iniziato la tournée 2021 il 21 giugno 2021 al Circolo Arci di Monticelli d'Ongina e ha aperto la terza edizione del Globo Teatro Festival al Parco Ecolandia a Reggio Calabria lo scorso trenta luglio. La prossima tappa è a Locri, il prossimo 13 agosto, prima di proseguire una tournée volta a portare la storia di Maris e del suo viaggio nei cuori di tutti quegli spettatori che saranno pronti a lasciarsi irretire. 

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