Tutta colpa di Freud
Tutta colpa di Freud

Tutta colpa di Freud, intervista a Anna Foglietta


Intervista a Anna Foglietta, protagonista del film di Paolo Genovese, Tutta colpa di Freud.

Di seguito l'intervista a Anna Foglietta, che interpreta Sara nel film di Paolo Genovese Tutta colpa di Freud.

Come è stata coinvolta in questo progetto?
Paolo mi ha cercata a febbraio dell'anno scorso quando questo film esisteva soltanto nella sua testa, mi ha detto che era intenzionato a scriverne la sceneggiatura pensando direttamente a me e ovviamente questa sua decisione mi ha fatto molto piacere. In un secondo momento ci siamo incontrati e mi ha raccontato tutta la storia di cui aveva già in mente lo sviluppo narrativo, e a distanza di tempo quando ho letto il copione ne sono stata entusiasta, ho esultato dentro di me, ho capito subito che si sarebbe trattato di un film importante e per quello che mi riguardava di un personaggio moderno e inedito nel panorama italiano e non solo…

Chi è la Sara che lei interpreta?
In questa storia io sono la sorella maggiore omosessuale che decide di tornare sui suoi passi e di tentare la strada dell'eterosessualità. Si tratta di una donna molto positiva e determinata che vive a New York dove è stata vittima di tante delusioni d'amore, vorrebbe avere un legame serio e sposarsi, ma non trova la donna giusta e così prova a farsi piacere gli uomini: non è però una questione di test, l'amore è la più grande fortuna del mondo, trovare la persona giusta è un dono immenso. Per come viene descritta in scena non è un'omosessuale ripiegata su se stessa, ma una donna vigorosa e moderna che affronta la vita di petto e non abbassa mai lo sguardo. Ogni difficoltà rappresenta per lei uno stimolo in più e le dà ulteriore coraggio: è agguerrita, non si lascia abbattere da alcuna difficoltà, è sempre solare, ma è anche molto dissociata. Questa esperienza incredibile mi ha poi portato a girare in un centro storico romano magicamente fotografato e a New York, che è una delle città più belle del mondo e per me dopo Roma quella che mi è più cara per più di un motivo. Girare un film a Manhattan ha rappresentato per me il coronamento di un sogno, mi sono sentita veramente fortunata.

Che tipo di rapporto si è creato con Paolo Genovese?
È un regista capace e attento, una persona generosa e premurosa (così come il produttore Marco Belardi, un altro gran signore!). È portatore sano di una simpatia e di una timidezza sconcertante, qualità che io apprezzo molto: cerco sempre di valutare e apprezzare le persone per come sono e come agiscono, so che possono chiedermi e possono darmi di più. La sua timidezza può essere equivocata, ma Paolo è una persona discreta e rispettosa che conosce benissimo il suo mestiere, sa il fatto suo e ama moltissimo i suoi attori che cerca sempre di valorizzare al meglio: ci siamo trovati a vivere delle belle emozioni e situazioni estremamente divertenti, ho vissuto questo set davvero speciale come una seconda casa… ultimamente non mi commuovevo più come mi accadeva all'inizio della mia carriera, e questo mi dispiaceva, ma questa volta a fine lavorazione è ritornata la lacrima sul viso perché sapevo che avrei rimpianto quelle giornate davvero incantate.

Il personaggio di Sara le somiglia in qualcosa?
Credo di somigliarle un po' perché anche io nella vita sono stimolata dalle difficoltà che mi danno sempre il nutrimento e l'energia giusta: cerco sempre di essere ben stressata, perché in questo modo rendo il triplo, riesco a fare bene tante cose contemporaneamente. Credo che sia un tipo vulcanico e controcorrente, e che sia stata una bella intuizione mostrarla nella parte iniziale a New York con i capelli lunghi e poi invece con i capelli corti a caschetto quando decide di troncare con le donne. Ha una schiettezza e una generosità di fondo che mi appartengono, lei sembra un po' la Rossella O'Hara di VIA COL VENTO, la sua filosofia di base è che domani è un altro giorno, e chiuso un certo capitolo della sua vita è pronta ad aprirne un altro.

Come si è trovata invece con Vittoria Puccini?
Benissimo! Io e Vittoria non ci conoscevamo affatto e la prima volta che l'ho incontrata ho dovuto richiudere la porta del camerino perché ne sono stata come accecata! è una stella che ti abbaglia, ti devi abituare alla sua luce, ha un viso perfetto, un bene che la natura le ha donato, ha un'aura speciale, qualcosa che brilla… è brava e bella, forse la più bella attrice italiana. È una grande professionista, seria, sempre presente e concentrata rispetto a quello che accade sul set, non è mai superficiale. Da lei ho imparato tanto, tra noi non è nato nessun tipo di competizione, ma semmai una sana complicità creativa. Avevamo legato a tal punto che l'ultimo giorno di lavorazione Genovese ci ha detto: sembravate davvero due sorelle… Quando le persone si scoprono rilassate, fiduciose e rasserenate da una stima reciproca certi gesti che appartengono alla quotidianità e all'intimità nascono naturalmente e la nostra unione tra sorelle ci ha dato l'occasione per restituire al pubblico il grande cuore che la sceneggiatura richiedeva.

Come si è trovata invece con Marco Giallini?
Al di là dell'attore straordinario che tutti riconoscono in lui, Marco è un uomo molto fragile e quella fragilità secondo me lo ha aiutato tanto a dare profondità e cuore al suo personaggio di padre. Il nostro film offre diversi momenti di commedia, ma anche altri di sentimento sofisticato – ben diverso dal melò – grazie ad attori profondi che riescono a portare sul set sempre qualcosa in più, qualcosa di non scontato: io e lui tra l'altro siamo molto simili anche nell'approccio con la troupe. Ma vorrei segnalare anche il privilegio di aver potuto recitare con il top del cinema italiano, grazie ad attori come Gassmann, Gerini e Marchioni, ma anche ad altri colleghi che si sono prestati con generosità ed umiltà a delle brevi apparizioni con personaggi ben scritti e ben caratterizzati: penso ai cameo di Giulia Bevilacqua, Gianmarco Tognazzi, Daniele Liotti, Edoardo Leo, Maurizio Mattioli, Alessia Barela e Francesca Figus.

Di che commedia si tratta secondo lei?
Credo appartenga al tipo di commedia europea perché ha un linguaggio sofisticato, e pur essendo molto popolare si rivela molto elegante nella fotografia, nelle immagini, nei dialoghi, nella costruzione dei personaggi: ha un suo respiro internazionale, non ci sono mai scivolate in battute e situazioni volgari, gratuite o fini a se stesse. Genovese è stato molto attento ad evitare ogni caduta, e noi lo abbiamo seguito tutti con attenzione e riconoscenza. A Paolo poi sono molto grata perché mi ha permesso di sentirmi a casa in una città che adoro come New York: abbiamo avuto grande libertà per girare attraverso la città, ma avevamo dei limiti, potevamo filmare le nostre scene soltanto in certe zone e così abbiamo cercato di girare ugualmente andando sul set soltanto io, lui, l'operatore e il direttore della fotografia. Appena vedevamo dei poliziotti nascondevamo la nostra steadycam e una volta scampato il pericolo tornavamo a girare rubando tante sequenze preziose in mezza Manhattan.

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