Venezia 2016
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Venezia 73, a Andrei Konchalovsky il Premio Robert Bresson


Premio Robert Bresson 2016 al regista russo Andrei Konchalovsky per aver dato una testimonianza significativa del difficile percorso di ricerca del significato spirituale dell'esistenza.

In occasione della 73a Mostra di Venezia, la Fondazione Ente dello Spettacolo (FEdS) e la Rivista del Cinematografo conferiranno, venerdì 9 settembre, il Premio Robert Bresson 2016 al regista russo Andrei Konchalovsky. Il riconoscimento sarà consegnato da Mons. Dario Edoardo Viganò, Prefetto della Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede, alla presenza del Presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo don Davide Milani.

Il Premio Robert Bresson consiste in un'opera intitolata HOPE e realizzata dallo scultore e orafo Andrea Cagnetti, in arte Akelo, e dall'istituzione nel 1999 viene assegnato ogni anno alla Mostra di Venezi in accordo con la Santa Sede, al regista che abbia dato una testimonianza significativa del difficile percorso di ricerca del significato spirituale dell'esistenza.

Nelle precedenti edizioni il Premio Robert Bresson è stato attribuito a: Giuseppe Tornatore, Manoel de Oliveira, Theo Angelopoulos, Krzysztof Zanussi, Wim Wenders, Jerzy Stuhr, Zhang Yuan, Daniel Burman, Walter Salles, Aleksandr Sokurov, Mahamat Saleh-Haroun, Jean-Pierre e Luc Dardenne, Ken Loach, Amos Gitai, Carlo Verdone e Mohsen Makhmalbaf.

ANDREI KONCHALOVSKY PREMIO BRESSON 2016
Regista scomodo, dallo stile essenziale, capace di grande scandaglio psicologico, Andrei Konchalovsky ha compiuto un percorso umano e professionale encomiabile, che si sostanzia in una visione positiva del cinema, mezzo capace non solo di patire ma di agire nella realtà, riconnettendola a un'ideale di giustizia. Un'istanza presente fin nei primi lavori, che si pongono non a caso in contrapposizione con il Potere russo (La felicità di Asia, girato nel 1966, uscirà solo nel 1988) prima e con Hollywood poi, dove pure riesce a realizzare veri e propri gioielli come Maria's LoversA 30 secondi dalla fine e I dissidenti. Il ritorno nella madrepatria è segnato da un film fondamentale come Il proiezionista (1992), che ripercorre la Russia stalinista attraverso lo sguardo "cieco" e ingenuo del proiezionista ufficiale del Cremlino. Un atto di denuncia forte, che sottolinea il rapporto sempre stretto e spesso improprio tra Arte e Potere. Una riflessione che accompagna anche gli ultimi lavori del regista, più meditativi e nostalgici, e che tocca il suo vertice con The Postman White Nights, Leone d'Argento a Venezia 2014 e perfetto esempio di quel cinema capace di essere politico senza più essere ideologico, etnografico senza dover essere scientifico. Un cinema intimo e sommesso però declinato al plurale, in quella collettività, quel noi, da cui emerge e ritorna la storia e il senso di ogni individuo.

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