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Bianca come il latte rossa come il sangue, conferenza stampa di Roma

Le interviste al cast del film Bianca come il latte rossa come il sangue in occasione della presentazione del film a Roma, con il regista Giacomo Campiotti e protagonisti Filippo Scicchitano, Luca Argentero, Aurora Ruffino, Gaia Weiss, Flavio Insinna, Cecilia Dazzi e l'autore Alessandro D'Avenia.

Si è tenuta a Roma la conferenza stampa di presentazione del film Bianca come il latte rossa come il sangue. Erano presenti il regista Giacomo Campiotti, con Filippo Scicchitano, Luca Argentero, Aurora Ruffino, Gaia Weiss, Flavio Insinna, Cecilia Dazzi e l’autore Alessandro D’Avenia. Di seguito le interviste ai protagonisti del film, nelle sale italiane da questo weekend.

Quali sono state le emozioni provate verso il tuo personaggio e in che modo ti sei identificato con lui?

Filippo Scicchitano: Prima di tutto ho provato compassione per Leo, per la situazione che si trova a dover affrontare. Ho cercato di fare un’analisi totale del contesto, di come Leo affronta la malattia. Non avevo letto il libro prima di fare il film, e non ci si deve aspettare che il film sia uguale al libro. E’ stata la mia prima esperienza di recitazione in un film tratto da un libro: finora avevo lavorato con autori, come Francesco Bruni per Scialla! e Francesca Comencini che mi ha diretto in Un giorno speciale, e girare Bianca come il latte, rossa come il sangue è stata un’esperienza magnifica.

Che tipo di professore è il suo personaggio?

Luca Argentero: Per prepararmi al ruolo ho parlato con Alessandro (D’Avenia, l’autore del libro, ndr). Lui prova un enorme amore per quello che fa, e stabilisce un’empatia verso i ragazzi che in questo modo godono di un’attenzione maggiore. Se sei annoiato, infatti, non riesci a suscitare interesse nei ragazzi. Facendo il professore affronti gli adolescenti in un momento delicato della vita, e ho visto che il professore è una figura che non si può permettere insicurezze quando sale in cattedra. Alessandro per me è ciò che io considero la versione moderna di un professore, anzi di un educatore, ed è stato una vera fonte di ispirazione per me. Gli studenti di oggi sono molto avanti, sono profondi, fanno collegamenti, per esempio tra come ci si innamora oggi e come ci si innamorava anche secoli fa. Detto questo, ho avuto anche l’amara constatazione di vedere come non mi offrano più il ruolo del figlio o dello studente, ma ormai quello del professore.

Alessandro D’Avenia: Quando stavo scrivendo il romanzo, gli studenti di una quarta ginnasio di una scuola milanese furono i primi a leggere il manoscritto, e sono stati loro a darmi anche alcuni suggerimenti per le modifiche: ad esempio nella prima stesura la storia era tutta incentrata su Leo e le ragazze, e gli studenti mi hanno chiesto che cosa facessero Leo e Niko quando erano insieme, cosa li rendeva amici; da qui è nato ad esempio il racconto del torneo di calcetto, dei loro passatempi. Una grande soddisfazione per me è che adesso questi studenti verranno a Roma a vedere il film, in questo che per loro è l’anno della maturità.

Flavio Insinna e Cecilia Dazzi interpretate i genitori, cosa potete dire su questi personaggi?

Flavio Insinna: Ho trovato la storia al tempo stessa bella e dolorosa; ognuno di noi nella propria vita vede le persone care andare via, e si può identificare in questo aspetto, quindi una serie di motivi mi hanno spinto ad accettare. Io e il regista Giacomo Campiotti ci eravamo inseguiti per anni e finalmente siamo riusciti a lavorare insieme. Nel film ho fatto una dedica a mio padre, cercando di rovesciare le preoccupazioni che lui aveva per me in quanto figlio, per esempio quando io tornavo a casa alle quattro di mattina. È stato bello ritrovare Cecilia Dazzi, con cui avevo già lavorato in passato, e l’ho trovata ancora più bella e più brava. Quello con Filippo è stato un incontro meraviglioso, se avessi un figlio nella vita reale vorrei che fosse proprio come lui.

Cecilia Dazzi: Ho cercato di rappresentare l’apprensione che prova un genitore verso la potenza di questo sentimento di incoscienza del figlio, quello che al tempo stesso considero un bellissimo slancio di generosità ma che provoca paura nei genitori. È stato buffo lavorare con Giacomo Campiotti, è un regista che si fa capire non tanto attraverso quello che dice ma da come si muove.

Perché sono passati otto anni dal suo ultimo film per il cinema? Forse questo è un tasto dolente?

Giacomo Campiotti: Nessun tasto dolente, in questi anni ho lavorato per la tv facendo film molto amati e che sono stati visti e apprezzati in tutto il mondo, non considero la tv come un lavoro di serie B. Sono stato molto contento di aver diretto questo film ma metto lo stesso impegno in tutto ciò che faccio. Non conoscevo il libro quando mi è stato offerto di dirigere il film, ma l’ho trovato nelle mie corde. Infatti anche io sono maestro, nonostante poi faccia un altro mestiere, e ho quattro figli, per cui i ragazzi mi stimolano.

Per questo film mi sono divertito a usare un linguaggio diverso da quello che si utilizza nella fiction. Abbiamo fatto un grandissimo lavoro sul cast: avevo visto e apprezzato Filippo Scicchitano in Scialla, e anche se all’inizio avremmo voluto scegliere un altro attore per avere un esordiente assoluto, ci siamo convinti che lui era quello giusto per il ruolo del protagonista. È stato molto faticoso trovare l’interprete di Beatrice; ci si può chiedere perché il suo personaggio sia francese, la verità è che dopo migliaia di provini in Italia, dove non riuscivamo a trovare nessuna ragazza che fosse adatta, alla fine siamo andati a cercarla in Francia, scegliendo Gaia Weiss; quello che poteva sembrare un problema si è poi rivelata una fortuna per il film: lei infatti ha delle battute che potevano suonare retoriche, ma Gaia riesce a pronunciarle con grazia. Il lavoro con i ragazzi è stato quello di non farli recitare ma far trovare dentro di sé le corde del personaggio.

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