Clint Eastwood ritorna in sella per un film che lo vede nuovamente regista e protagonista, in una storia delicatamente prevedibile sulle seconde occasioni della vita.
Infaticabile e inarrestabile Clint Eastwood, che a 91 anni continua a sfornare un film dopo l'altro, e stavolta raddoppia: nonostante dica da tempo che ogni suo ruolo da attore potrebbe essere l'ultimo, Cry Macho-Ritorno a casa lo vede nella doppia veste di regista e interprete.
Il suo ruolo è quello di Mike Milo, un addestratore di cavalli ed ex star dei rodei in Texas, costretto al ritiro dopo un turbolento periodo personale e che, ormai anziano, conduce una vita spartana e solitaria. Un giorno, però, il suo ex datore di lavoro Howard (Dwight Yoakam) gli affida un incarico arduo e delicato: recarsi a Città del Messico a prendere Rafo (Eduardo Minett) il figlio tredicenne di Howard, che vive lì con la madre, e portarlo in Texas, dove suo padre potrà crescerlo con sé per poi affidargli la gestione del suo ranch. Seppur riluttante, Mike accetta per motivi economici e parte alla ricerca del ragazzo.
Una prima sceneggiatura di Cry Macho, a firma dello scrittore e drammaturgo N. Richard Nash, circolava a Hollywood dalla metà degli anni '70, più volte rifiutata, finché lo stesso autore la pubblicò in forma di romanzo; questa trasposizione cinematografica porta anche il contributo di Nick Schenk, uno degli sceneggiatori di fiducia di Eastwood, che per lui aveva già scritto Gran Torino e The Mule, che infatti hanno più di un punto di contatto con questo film.
Cry Macho è dunque un road movie centrato sul viaggio di Mike e Rafo, che diventa per entrambi simbolo di nuovi inizi e nuove possibilità, tanto per chi si sta affacciando alla vita e deve tracciare davanti a sé il proprio futuro, quanto per chi deve fare i conti col proprio passato e decidere come trascorrere il tempo che resta; oltre alle difficoltà incontrate lungo il percorso, ciò che si rivela è anche la riscoperta di ritmi più lenti, distesi, in armonia con le leggi della natura, in cui imparare a godere anche delle piccole cose.
La trama è piuttosto esile e sotto diversi aspetti prevedibile, e anche i cattivi non sembrano mai davvero troppo minacciosi in un film che, nel complesso, non propone vere e proprie riflessioni di natura sociale o politica; il messaggio del film è racchiuso nel personaggio dello stesso Eastwood: il suo Mike è un uomo che nella vita ha attraversato gioie e dolori, e per questo affronta gli eventi con ironico disincanto, con una schietta diffidenza sia nei confronti degli uomini che della fede o della religione, di chi preferisce fare affidamento esclusivamente su se stesso; soprattutto, accetta di smontare, lui cowboy per eccellenza dello schermo, il mito dell'uomo forte e violento (Macho nel film è il nome che Rafo ha dato al suo gallo da combattimento, e che Mike si mostra riluttante ad accettare), sostituendolo con una placida accettazione dell'età e del tempo che passa (ma restando sempre una persona che è meglio non far arrabbiare).
In un cast privo di grandi nomi, le interpretazioni non sono memorabili, a partire dai duetti del protagonista con il giovane, e ancora acerbo, Minett, e il film non possiede l'impatto emotivo di alcune delle più celebri opere del grande regista; quella di Cry Macho è una storia semplice e alla portata di tutti, che restituisce un'atmosfera senza tempo, non cupa né eccessivamente malinconica, ma che si chiude nel segno della speranza.
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