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Lazzaro Felice, la recensione

Dopo il premio per la migliore sceneggiatura ricevuto a Cannes, la grande ed emozionante fiaba di Alice Rohrwacher 'Lazzaro Felice' arriva al cinema.

In un entroterra italiano geograficamente non precisato, un gruppo di uomini e donne lavora senza sosta nella raccolta delle foglie di tabacco appartenenti ad una piantagione posseduta da una fantomatica Marchesa. In questo luogo dove il tempo sembra non passare mai, tutti fanno parte di una grandissima famiglia, tutti tranne Lazzaro. Lazzaro è un giovane ventenne che lavora assiduamente per aiutare più che può tutte le persone che gli chiedono una mano e, ingenuamente, offre il suo tempo e i pochi beni che possiede per rendere tutti felici e per farsi ben volere. Il ragazzo non ha nessuno, né famiglia né amici, e quando sente chiamare il suo nome sa già che qualcuno ha bisogno di lui per qualche faccenda domestica. Tutto cambia quando la Marchesa e il figlio Tancredi decidono di passare qualche giorno nella magione locata nella stessa campagna in cui vivono i lavoratori. Lazzaro subito stringe un rapporto d’amicizia con il figlio della sua signora e, per la prima volta nella sua vita, qualcuno lo chiama per passare del tempo insieme e non per lavorare. Un giorno però succede qualcosa che stravolge completamente l’esistenza di ogni personaggio coinvolto nella storia, il cosiddetto Grande Inganno emerge alla luce del sole e la storia che tutti hanno vissuto fino a quel momento sarà completamente messa in discussione. 

Lazzaro Felice è un film diverso da quelli cui siamo abituati, soprattuto se parliamo del cinema italiano. Alice Rohrwacher, Palma d’Oro a Cannes per la migliore sceneggiatura, racconta la vita di un personaggio anomalo, un ragazzo apatico e atipico che più che vivere la vita si fa trasportare dagli eventi che capitano. È forse per questo che la figura di Lazzaro è più un simbolo che un personaggio. I fatti che accadono durante il film assumono la connotazione di una storia che sfiora quasi la magia e il mito, sembra quasi che le vicende raccontate dalla Rohrwacher siano un insieme tra un episodio biblico e la sua rappresentazione visiva. È interessante la liason che si crea tra il realismo della rappresentazione e l’ambiguità degli eventi che fanno quasi presagire un riferimento sottile al Realismo magico della letteratura sudamericana molto diffusa nel secolo scorso. La fiaba raccontata dalla Rohrwacher è resa ancora più credibile e magica dall’interpretazione dell’intero cast. I contadini sembrano appartenere ad un’altra generazione di attori che oggi è difficile trovare, vicina all’epoca Neorealismo italiano e incredibilmente vera e pura. A questi si aggiunge l’espressione costantemente gioiosa e stupita del giovane Adriano Tardiolo che con questa pellicola esordisce nel mondo del cinema e che incarna perfettamente il personaggio costruito dalla regista. 

Lazzaro Felice è un racconto che, se da un lato riesce a far ritornare lo spettatore alla condizione di puer grazie alla proprietà evocativa delle immagini e alla costante incredulità verso il mondo e  verso le persone di Lazzaro, dall’altro evoca trame sociali e politiche difficili che riportano al mondo adulto e crudo in cui viviamo.

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