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Le regole del caos, la recensione

'Le Regole del Caos', a dispetto dell'opulenza messa in scena, è una pellicola a basso budget che porta lo spettatore alla corte del Re Sole, per concentrarsi su una storia d'amore nata tra boccioli e fango, nella disperata ricerca dell'ordine che può nascere solo da un paradisiaco caos.

L'anno è il 1682 e Luigi XIV (Alan Rickman), destinato a diventare quel Re Sole che ha esteto i suoi raggi sulla Francia, facendone una monarchia di cui seguire il modello, affida al suo giardiniere di corte, André Le Notre (Matthias Schoenaerts) la sovrintendenza ai lavori nei giardini della Reggia di Versailles, un castello in disuso fuori Parigi dove il sovrano vuole spostare la sua corte.  Per l'immenso lavoro, Le Notre indice dei colloqui per assegnare la costruzione di una sala da ballo all'aperto: a questi incontri si presenta anche Sabine De Barra (Kate Winslet), una giardiniera che trova la perfezione in un po' di caos, in una disposizione lontana dalla schematicità e dalla rigidità geometrica di Le Notre. Forse proprio a causa di queste differenze, i due cominciano a lavorare insieme, finchè il rapporto di amicizia non scivola in qualcosa di più profondo.

Alan Rickman – che i più conoscono per il suo ruolo di Severus Piton nella saga di Harry Potter – torna dietro la macchina da presa a diciotto anni di distanza dal suo lungometraggio d'esordio, l'ospite di inverno. Per la sua seconda prova da regista, Rickman sceglie un'opera ambientata alla corte di uno dei monarchi più affascinanti della storia. Eppure, in questo caso, il Re Sole viene eclissato dai suoi sottoposti. Alla sontuosità della corte borbone – ricostruita in Gran Bretagna per arginare i costi – il regista contrappone una storia privata, che si concentra soprattutto sul rapporto tra i due protagonisti. Da una parte la sempre splendida Kate Winslet, che presta il volto ad una donna indipendente e moderna, che cerca nel little caos del titolo originale un modo per uscire dal disordine in cui è scivolata la sua vita. Lungi dall'essere una donzella in difficoltà o una vittima da salvare e lontana anche dagli stereotipi delle gentildonne che popolavano la corte francese – tra intrighi, belletti e corse nobiliari – Madame de Barra è una donna piena di visioni (quasi in senso letterale),con un dolore troppo grande alle spalle e una creatività che non conosce limiti. Dall'altra parte c'è André, che invece è estremamente razionale e posato: un uomo che porta sulle spalle il peso di una discendenza scomoda, per il compito di non infangare un nome tanto rispettato. E dall'incontro tra questi due personaggi agli opposto, Alan Rickman tira fuori una commedia che in realtà non lo è, una pellicola dall'aria leggera ce non si nasconde davanti a temi importanti come la libertà, il lutto e il dolore.

Alan Rickman dirige la pellicola con la grazia che gli è propria e, in particolar modo, riesce a dare il meglio di sé quando si sofferma a spiare un mondo femminile che rappresenta sempre un mistero. In quel caso la sua mano è leggera e a tratti onirica, capace di diffondere ampie pennellate di colore senza alcun artifizio: in questo senso vi rimandiamo ad una scena precisa, nascosta dai clamori della corte reale, in una nicchia dove l'uomo, l'occhio e il pudore sociale non sono ammessi. Quando poi il regista decide di svestire per un momento i panni del metteur en scene per entrare in quelli forse più comodi di interprete, il risultato non si fa attendere. La scena in cui duetta con Kate Winslet – con la quale, lo ricordiamo, aveva già collaborato egregiamente in Ragione e Sentimento – è poesia pura e basterebbe questa scena a validare il prezzo del biglietto. Attorno ai protagonisti, inoltre, si muovono interpreti di prima categoria, non da ultimi il grandioso Stanley Tucci nei panni del Duca d'Orleans, e la sempre magnifica Helene McCrory, in quelli della signora LeNotre. Purtroppo i loro personaggi vengono spesso relegati nell'angolo, abbozzati e poi dimenticati, e questa, di certo, è la più grande pecca della pellicola.

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