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Recensione Paranormal Stories

'Paranormal Stories' racchiude cinque storie dell'orrore indipendenti l'una dall'altra; i racconti avrebbero potuto risvegliare sentimenti d'ansia nello spettatore, ma la cattiva recitazione e alcune scelte poco innovative hanno abbassato il livello d'insieme dell'operazione.

Uscirà nelle sale il 10 Giugno Paranormal Storiesuna ghost-story ad episodi, che recupera il genere del creepshow. Per chi non lo sapesse questo sottogenere horror, oltre ad essere il titolo di un famoso film ad episodi di Romero su racconti di Stephen King, indica quel genere di film ad episodi in cui il filo conduttore è l'intenzione, da parte del regista, di far spaventare il pubblico. Un intento, questo, che Paranormal Stories tradisce quasi completamente.

Il film si apre in una comune casa borghese; madre e figlia si stanno preparando ad uscire per andare ad assistere ad una rappresentazione teatrale, mentre l'altro figlio decide di rimanere a casa, da solo. Sua sorella, inquietantemente adulta nel corpo di una bambina, invita suo fratello a lasciar perdere i suoi filmacci, dedicandosi invece a più alte fruizioni, come quelle firmate da Shakespeare. Suo fratello si limita ad ignorarla e, incassate le ennesime raccomandazioni da parte di sua madre, rimane finalmente solo. Decide a questo punto di inserire nel videoregistratore la vhs dal titolo Paranormal Stories. Da qui prendono il via cinque storie dell'orrore che ricalcano strutture canoniche, giocando con fantasmi, apparizione e ritorni dal mondo dei morti.

Il prologo metafilmico del film basterebbe, da solo, a mettere in evidenza tutti i difetti che ricorrono per tutta la durata della pellicola. Il punto più debole dell'intera operazione, infatti, si deve ricercare nella recitazione sempre troppo teatrale e impostata. Interpretazioni così forzate da apparire false e quasi fastidiose, facendo storcere il naso anche allo spettatore più ben disposto. E' infatti proprio l'arte di (non) scivolare nelle pieghe dell'anima dei vari personaggi che impedisce allo spettatore di avvertire non solo un minimo senso di empatia, ma anche quella tensione crescente e sotterranea che dovrebbe essere fondamentale in ogni buon horror che si rispetti. Invece le espressioni e le smorfie che si avvicendano sullo schermo, accompagnate da un tono quasi sempre troppo melodrammatico e carico, finiscono con il distrarre e l'indispettire, creando una ricezione spettatoriale basata quasi interamente sul desiderio di concludere il film il più velocemente possibile. Tutto questo è senz'altro un peccato, perchè i registi che si sono cimentati in questa impresa di resuscitare le tinte dell'horror all'italiana si mostrano capaci di maneggiare il mezzo cinematografico, creando un'estetica ben riconoscibile, fatta di omaggi al genere – come ad esempio attraverso la maschera di Saw che vediamo nel prologo – e riprese che avrebbe potuto creare uno stato allucinato di ansia e paura.

Alla fine, invece, tutti si risolve in una messa in scena curata che manca però dell'anima nera di cui ha bisogno un genere oscuro come quello legato alla paura. A ben guardare, infatti, quasi tutti gli episodi hanno una trama che, almeno a livello teorico, potrebbe senz'altro risvegliare ansie e fobie. Come la storia di uno scrittore ormai morto che lascia in eredità al figlio un taccuino in cui viene raccontato un brutale omicidio di una donna; o quella, ad esempio, di una falsa medium che, in una notte di solitudine, riceve la visita degli spiriti che ha provato a disturbare per stillare soldi da familiari distrutti dal dolore. Concettualmente, dunque, le storie buone ci sono. Pur non essendo certo particolarmente originali, le storie avrebbero comunque potuto risvegliare sentimenti di ansia nello spettatore, ma invece tutto rimane in superficie. Fanno eccezione i due episodi che portano il titolo di Offlinel'unico che ha è stato in grado di risvegliare qualcosa di adamatico in noi, e Urla in collina, di sicuro il migliore dell'intera operazione filmica.

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