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Tutti i soldi del mondo, la recensione

'Tutti i soldi del mondo' avvolto da luci e toni freddi che sembravano voler richiamare l'aridità di un'esistenza volta solo a far soldi, è anonimo, freddo, un buon esercizio di stile privo di anima e coinvolgimento.

Che Tutti i soldi del mondo, ultima fatica del regista Ridley Scott, fosse un film destinato a far parlare di sé al di fuori di sé era cosa ormai risaputa. Dopo aver portato nella capitale gran parte del cast internazionale della pellicola – tra cui Mark Wahlberg, Michelle Williams e Roman Duris – la pellicola ha attirato l'attenzione quando, sull'onda delle accuse di molestie sessuali a suo carico, l'attore Kevin Spacey è stato sostituito – a ridosso dell'uscita nelle sale americane – con Christopher Plummer. La speranza era che il film di Ridley Scott, liberamente ispirato a un libro di John Pearson e basato su reali fatti di cronaca avvenuti intorno agli anni Settanta, riuscisse in qualche modo a scrollarsi di dosso la demonizzazione di Spacey e tutti i problemi legati alla vicenda, riuscendo a convincere il pubblico a parlare l'operazione in quanto prodotto cinematografico e non anfora colma di gossip.

La storia è quella di Paul Getty ( Charlie Plummer), rampollo di una famiglia dal nome altisonante e nipote dell'uomo più ricco "della storia del mondo", l'omonimo Paul (Christopher Plummer). Durante una passeggiata sotto il cielo stellato di Roma, il giovane Paul viene rapito da una piccola banda calabrese, che fa capo a Cinquanta (Roman Duris) e Piccolino (Guglielmo Favilla). Appresa la notizia, la madre di Paul (Michelle Williams ) , divoraziata dal marito Getty e da anni in lotta con l'ex suocero, cercherà in tutti i modi di ottenere il denaro necessario per pagare il riscatto, combattendo contro l'animo spilorcio di Getty Sr. e affidandosi alle capacità di Fletcher Chase (Mark Wahlberg).

Va detto subito che l'elemento più interessante di Tutti i soldi del mondo è l'interpretazione di Christopher Plummer; il che, naturalmente, spinge a domandarsi quale sarebbe stato il livello della pellicola se tutto fosse andato come previsto all'inizio. L'attore – che è al cinema anche per Dickens – L'uomo che inventò il Natale – sembra interpretare lo stesso ruolo in entrambi i film: un solitario signor Scrooge che non riesce a pensare a nient'altro se non ai soldi. La storia della famiglia Getty e del suo ricchissimo leader è la storia di un nucleo disfatto, fatto a pezzi proprio dall'avidità di un capostipite per cui il denaro non è mai sufficiente e l'unico desiderio è quello di riuscire a raccoglierne di più, anche a discapito del nipote più amato, ignorando suppliche e spargimenti di sangue. Tuttavia, intorno a Christopher Plummer, c'è davvero poco da dire.

Nonostante la maggior arte degli interpreti risulti convincente, il film, avvolto da luci e toni freddi che sembravano voler richiamare l'aridità di un'esistenza volta solo a far soldi, è anonimo, freddo, un buon esercizio di stile privo di anima e coinvolgimento. Non aiuta, in questo, neanche l'eccessiva lunghezza che, superando le due ore, dilata i tempi e li allunga con scene e soluzioni non utili all'impianto narrativo. Questa mole di informazioni che vengono dati allo spettatore, oltretutto, decadono nella descrizione dei personaggi, nel dipingere le loro ragioni: tutto sembra buttato alla rinfusa, senza un vero e proprio piano in testa. Tanto che anche la risoluzione finale è affrettata e priva di una solida logica che possa in qualche modo giustificare le azioni dei protagonisti. Quello che doveva essere un film adrenalinico, intenso e pieno di potenzialità ha finito col diventare un melenso melodramma di serie B, che si salva per le buone prove offerte dai protagonisti e per una costruzione filmica comunque d'alto livello.

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