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Aladdin, recensione del film live action con Will Smith

Aladdin del 2019 non è un brutto film, è semplicemente una versione inferiore di un altro, ottimo film.

Forte del successo dei suoi ultimi remake live action dei loro classici animati, la Disney ritorna nuovamente sul grande schermo con Aladdin, riproposizione delle avventure del 1992.

La tendenza disneyana a voler rispolverare le proprie gemme del passato è meno recente di quanto si possa pensare: si può datare l'inizio di questo esperimento addirittura al 1996 (e quindi pochissimi anni dopo all'Aladdin originale) con il remake de La carica dei 101;la casa di Topolino ha quindi perfezionato l'arte di fare leva sulla sua stessa nostalgia per ricavarne profitto. Questa non è una cosa intrinsecamente negativa: i prodotti iniziali scaturiti da questa moda (che però non sembra voler essere passeggera), seppur con qualche intoppo, avevano dato risultati interessanti: Alice in Wonderland di Tim Burton si presentava come un possibile sequel in chiave gotica del precedente capitolo, mentre Maleficent riproponeva le vicende de "La bella addormentata" facendo però della titolare strega la protagonista. Le cose però hanno cominciato a stonare con La Bella e la Bestia del 2017 che, forse per deferenza verso l'originale, ha preferito limitare a riproporre il film senza apportare nessun tipo di cambiamento significativo.

Ed è in qui che si colloca il "nuovo" Aladdin, che si presenta come un semplice calco dell'originale. Non ci sono tentativi di discostarsi dal passato, tutti gli elementi che hanno fatto del film di animazione un capolavoro sono al loro posto: la storia segue lo stesso ritmo, i personaggi ricoprono tutti lo stesso ruolo e le musiche (pur con qualche leggera variazione) sono le stesse. Allora cos'è che non funziona? Che cosa manca? La risposta è tutta nella tecnica: l'animazione.

Non ci si può aspettare che gli ingredienti misurati e pesati per funzionare in un cartone animato possano tradursi con efficacia in un film tradizionale. Le possibilità che gli attori in carne ed ossa offrono sono considerevolmente minori rispetto a quelle offerte dai disegni, limitati solamente dall'immaginazione degli illustratori. E questo non ha niente a che fare con la bravura del cast, che fa del suo meglio con quello che ha. Ma non basta per recuperare la magia che contraddisstingue l'animazione Disney per la quale questi personaggi, questi paesaggi e queste canzoni erano stati pensati. Esempio emblematico di questa condizione è il Genio: all'apparenza quello di sempre, ancora eccentrico, lunatico e multiforme. Ma qui il costante bisogno di dover sempre restituire nei suoi tratti la forma umana (Will Smith), quando nel film originale la forza nel personaggio stava propria nelle possibilità infinite che la sua condizione di creatura soprannaturale offriva, diminuisce del tutto l'impatto che questa figura ha da offrire. Il problema principale della pellicola sta tutto qui, nel tentativo vano di voler riproporre la stessa formula vincente senza operare i cambiamenti necessari nel passaggio da animazione a live action. Il risultato è che l'ossatura originale rimane, ma il prodotto che ne scaturisce è una versione con le ali tarpate. Semplicemente non c'è niente, in questo film, che possa essere fatto meglio di trent'anni fa. O almeno non in questa versione.

Dal lato tecnico non c'è molto da dire, si ripropongono gli stessi problemi citati sopra. La regia di Guy Ritchie non brilla particolarmente, le coreografie risultano quantomeno piacevoli e come già detto le canzoni sono ancora efficaci. Tra le poche novità rispetto all'originale va apprezzato il nuovo personaggio dell'ancella (Nasim Pedrad), alla quale sono affidati i momenti più divertenti. Non c'è molto da aggiungere: se volete rivivere l'avventura che avete sempre amato forse vi conviene rispolverare le vostre videocassette. Aladdin del 2019 non è un brutto film, è semplicemente una versione inferiore di un altro, ottimo film.

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