La recensione di 'Dogman', il convincente film di Luc Besson presentato in anteprima mondiale a Venezia 80 e con una performance commovente, profonda e magistrale dell'attore Caleb Landry Jones.
Dogman di Luc Besson, scena da trailer
In anteprima mondiale alla Mostra del cinema di Venezia 80 viene presentato, in concorso, Dogman, il nuovo film del regista francese Luc Besson, che torna nelle sale dopo quattro anni dal suo ultimo lungometraggio. La pellicola è in lingua inglese e le riprese hanno avuto luogo tra Newark, nel New Jersey e i teatri di posa di Tigery, in Francia. Protagonista assoluto del film è l’attore statunitense Caleb Landry Jones, poco conosciuto al grande pubblico ma sicuramente destinato ad avere un ruolo più importante nei prossimi progetti cinematografici dopo la sua meravigliosa performance.
Douglas (Caleb Landry Jones) è un bambino cresciuto in una famiglia problematica, con un padre e un fratello violenti e una madre che lo abbandona. Presto si rende conto che è solo grazie all’affetto sconfinato che gli regalano i cani, tenuti in gabbia dal padre per farli combattere, che Doug riesce a sopravvivere alla triste vita che lo circonda. Questo legame stretto e simbiotico con quegli animali, che lui considera come dei figli, rimane forte anche da adulto e ne fa una vera e propria ragione di vita, arrivando ad usarli come aiutanti per qualsiasi cosa voglia fare, che sia semplicemente una torta o un atto violento e contro la legge.
A distanza di quasi trenta anni dal suo capolavoro Leon, Luc Besson torna finalmente a regalarci un film importante e all’altezza dei suoi lavori più belli. Dogman racconta una storia assurda, a tratti surreale, ma che Besson riesce a portare sul grande schermo con una semplicità e soprattutto una grazia inaspettate. Dal trailer, dalle immagini viste e dalla trama ci si aspettava un film molto più folle e violento, a tratti quasi tarantiniano, o con richiami a Joker nel protagonista, ma in realtà Dogman è un film che racconta una solitudine, un dolore e una tristezza che disarmano lo spettatore, sicuramente grazie alla sceneggiatura, scritta da Besson stesso, che regala momenti poetici e profondi ma soprattutto grazie allo straordinario talento di Caleb Landry Jones, che regala al pubblico una performance commovente, profonda e magistrale, tanto che ci si aspetta di vederlo presto con una Coppa Volpi in mano e chissà probabilmente anche con un Oscar.
Besson lavora con le immagini, potenti più di una volta, con le parole, commoventi e penetranti, e con gli attori, compresi i cani protagonisti, in maniera perfetta. Sceglie una struttura narrativa a racconto tramite intervista con una psicologa, forse la scelta meno efficacie del film, in quanto rallenta un po’ il ritmo e mette in gioco elementi e storie parallele che non servivano veramente, ma questi piccoli difetti non gravano troppo sulla riuscita finale. Anche la scelta di come e quando utilizzare la musica in questo film (spesso canzoni molto famose al grande pubblico) è senz’altro un elemento vincente e, senza spoilerare troppo, le performance canore di Caleb Landry Jones sono tra le scene più belle di tutta la pellicola. Luc Besson è finalmente tornato ad alti livelli e la scelta di inserirlo tra i film in concorso in questa edizione della 80a Mostra del Cinema è assolutamente condivisibile e vincente.
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