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Le week-end, la recensione

Roger Mitchell dirige un film sobrio, attento e non scivolare nei cliché del genere, dove la regia è sempre attenta ma mai invadente. Merito dei protagonisti Jim Broadbent e Lindsay Duncan, adorabili e incredibili sposi da trent'anni, che nella bella Parigi devono riscoprire il segreto del vivere insieme.

Parigi; città di luci e di innamorati. Ville fatta dell'odore del burro che rotola fuori dai forni e dalla lucente Senna che si inerpica intorno a Ile de la Citè. Capitale europea e meta di pellegrinaggio per gli innamorati di tutto il mondo. Una città quanti fantasmagorica, che è entrata nell'immaginario collettivo agli albori dei tempi e che il cinema ha reso grandiosa in più di un'occasione. Rick (Humphrey Bogart), d'altra parte, lo sapeva benissimo: "avremo sempre Parigi" dice alla sua amata, in uno dei film più strazianti e meravigliosi di sempre, Casablanca.

Tutta questa premessa sulla capitale francese serve a introdurre il nuovo film di Roger Mitchell che, reduce dal mezzo flop di A Royal Weekendtorna a raccontare di nuovo una tre giorni, lasciando però da parte i pesi di politica e personaggi storici. Le Week-endinfatti, è una pellicola che gioca molto più sull'intimità, sul ritratto di due personaggi avanti con gli anni, che devono affrontare non solo la propria vita, ma anche le scelte che hanno preso in passato e che hanno contribuito a renderli quelli che sono ora.

Al centro del racconto, infatti, c'è una coppia formata da Nick (un incredibile Jim Broadbent), professore di lettere ancora innamorato della moglie Meg (Lindsay Duncan), che al contrario sembra essersi stancata di un rapporto che si trascina da trent'anni, pieno non solo di bei sentimenti su cui è facile ponderare, ma anche di noia, atteggiamenti snob e una certa insofferenza serpeggiante che mina la relazione tra i due. Il pretesto narrativo da cui parte il regista è quello del trentesimo anniversario di matrimonio tra Nick e Meg: un evento che porta i due a prendere un aereo e volare verso la meravigliosa Parigi, per vivere tre giorni d'amore e d'avventura. Ma la ville lumiére non è esattamente il paradiso che i due si aspettavano. Nella sua architettura gotica, dai tetti d'ardesia e i vicoli malinconici, Nick e Meg non riescono a fare gli sposini innamorati. I due, piuttosto, litigano, si spingono, si affrontano come ai due lati opposti di un ring che altro non è se non l'esistenza stessa. Ma allo stesso tempo si abbracciano, si ripetono quanto si amano, e in sordina si dicono quanto siano spaventati dall'idea di lasciarsi andare, di perdersi di vista e dover così affrontare di nuovo il mostro "vita" ad un età avanzata.

Le week-end è una storia d'amore, certo, ma di un amore un po' più vero e un po' meno perso nelle acrobazie romantiche a cui il cinema, in teoria, ci ha abituato. Non c'è più spazio, né tempo, per le pie illusioni della gioventù, e Nick e Meg devono fronteggiare se stessi e l'idea di invecchiare accanto alla stessa persona. Un pensiero che se da un lato è senz'altro rassicurante, dall'altro assume quasi le sembianze di un trappola autoinflitta dalla quale non ci si può più liberare. Intimo e sentito, Le Week End è allora una pellicola non tanto sul decantato Amore, ma sullo stare insieme: per quanto possa sembrare la stessa cosa, è indubbio che l'amore prima o poi estingue la propria fiamma e quello che rimane sono due persone che si sono scelte, che hanno accettato la sfida di rimanere insieme. Anche quando i capelli cominciano a tingersi del colore della neve e quando cominciano a venir fuori schizofrenie e ossessioni varie.

Roger Mitchell dirige un film sobrio, attento e non scivolare nei cliché del genere, dove la regia è sempre attenta ma mai invadente.A volte c'è qualche caduta di ritmo, che però appare quasi volontaria quando ci si rende conto che anche i due protagonisti attraversano una fase della loro vita altalenante, persa tra amore e odio, felicità e insofferenza. La struttura della pellicola è lineare, facile da seguire e i due protagonisti scelti per dare il volto a Nick e Meg sono non solo adorabili, ma anche pieni di un'eleganza e di un talento tale da rendere quasi concreta e tattile l'esperienza. In mezzo a tutto questo brilla Parigi, non più vista attraverso i filtri magici di un cinema che vuol solo regalare sogni ad uno spettatore sempre più pessimista, ma rappresentata attraverso lo sguardo stanco di due persone che sembrano non sapere più cosa fare della loro vita insieme. E allora Parigi, la città dell'amore e degli innamorati, diventa simile ad una piovra crudele, pronta a inglobare i sogni di chi non si è arreso. Eppure anche così, in questa veste, Paris resta incredibilmente affascinante.

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