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Sacro GRA, la recensione

Recensione del film Sacro GRA di Gianfranco Rosi, vincitore della 70esima Mostra del Cinema di Venezia. Il film cerca di raccontare storie di chi vive ai limiti della città, ma la sua riuscita è alquanto discutibile.

Sacro GRA è il documentario, diretto da Gianfranco Rosi, vincitore della 70esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia. L'Italia vince il Leone d'oro dopo quindici anni (l'ultimo fu Così ridevano del 1998), ma l'aspetto curioso è che la prima volta in cui Venezia sceglie in concorso due documentari è proprio uno di questi a portare a casa il premio più ambito. Rosi ha girato per quasi due anni, producendo ore e ore di filmato che hanno portato a otto mesi di lavoro al montaggio, attraversando centinaia di volte quella che è l'autostrada urbana più lunga d'Italia, ovvero il Grande Raccordo Anulare di Roma che circonda l'intera capitale.

Sacro GRA vuole raccontare le storie di coloro che vivono ai limiti della città, vicini al Raccordo e sceglie alcuni protagonisti tra le migliaia di persone che abitano intorno all'anello urbano. È così che ascoltiamo i racconti di un infermiere che lavora su un'ambulanza e viviamo la sua solitudine all'interno delle quattro mura di casa; quelli di due prostitute avanti con l'età che vivono in un camper al limite del GRA. Abbiamo poi alcune famiglie che alloggiano in un palazzone vicino l'aeroporto e che vengono riprese nella quotidianità delle loro stanze; un uomo ricco con la famiglia che affitta la sua fastosa villa barocca come set per fotoromanzi; un pescatore di anguille e tante altre storie che si intervallano nel corso della pellicola.

L'idea alla base dell'opera è interessante e originale ma purtroppo la sua riuscita è alquanto discutibile. Il documentario risulta disarticolato e disomogeneo, il GRA che dà il titolo al documentario e che quindi dovrebbe essere il protagonista, o quanto meno avere un ruolo importante, compare molto poco e sembra più una scusa per raccontare storie di persone comuni e non. Non c'è un vero filo conduttore, neanche fra i racconti della gente, appare tutto molto confuso. Anche le stesse vicende dei protagonisti non hanno un filo logico o uno schema preciso, sembrano un'accozzaglia di siparietti, alcuni alquanto noiosi, alcuni divertenti, altri più commoventi, che però non portano a nulla e rimangono sterili racconti fini a se stessi.

Sacro GRA sarebbe potuto essere un lavoro più creativo e vincente se fosse stato realizzato diversamente. Sicuramente non da Leone d'oro, anche se la selezione di quest'anno ha lasciato alquanto perplessi, soprattutto sul livello delle opere in concorso.

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