Poster L’accusa

L'accusa (2021)

Les Choses Humaines
Locandina L'accusa
L'accusa (Les Choses Humaines) è un film del 2021 prodotto in Francia, di genere Drammatico diretto da Yvan Attal. Il film dura circa 138 minuti. Tratto dal romanzo di Karine Tuil pubblicato in Italia dalla Casa Editrice La nave di Teseo con il titolo 'Le Cose Umane'. Il cast include Ben Attal, Suzanne Jouannet, Charlotte Gainsbourg, Pierre Arditi, Mathieu Kassovitz, Benjamin Lavernhe, Audrey Dana, Judith Chemla. In Italia, esce al cinema giovedì 24 Febbraio 2022 distribuito da Movies Inspired.

Un ragazzo è accusato di aver violentato una ragazza. Chi è questo ragazzo, e chi è questa ragazza? Lui è colpevole o innocente? Lei è una vittima o è spinta solo da un desiderio di vendetta, come sostiene l'accusato? I due giovani protagonisti e i loro cari vedranno le loro vite, le loro convinzioni e le loro certezze andare in frantumi ma… esiste una sola verità?

Il film affronta un tema scottante e controverso: la complicata ricerca della verità in un'accusa di stupro. Yvan Attal dirige sua moglie Charlotte Gainsbourg e Mathieu Kassovitz in un film sul potere delle élites. Tra dinamiche familiari, giudiziarie e ruolo dei social media, lo sguardo attento e puntiglioso del regista mette davvero lo spettatore nelle condizioni del giurato. Il privilegio di classe e l'incomunicabilità, il desiderio e l'abuso, il "no" e la zona grigia del consenso, la gogna mediatica: dov'è la verità? 

Info Tecniche e Distribuzione

Uscita al Cinema in Italia: giovedì 24 Febbraio 2022
Uscita in Italia: 24 Febbraio 2022 al Cinema
Genere: Drammatico
Nazione: Francia - 2021
Durata: 138 minuti
Formato: Colore
Produzione: Films Sous Influence, Curiosa Films, Gaumont, France 2 Cinéma, Canal+ (partecipazione), France Télévisions (partecipazione), Ciné+ (partecipazione), Cinécap 4 (in associazione con), Cofimage 32 (in associazione con), Région Île-De-France (con il sostegno di)
Distribuzione: Movies Inspired
Soggetto:
Tratto dal romanzo di Karine Tuil pubblicato in Italia dalla Casa Editrice La nave di Teseo con il titolo 'Le Cose Umane'.
Classificazioni per età: ITA: MIC 6+

Cast e personaggi

Regia: Yvan Attal
Sceneggiatura: Yaël Langmann, Yvan Attal
Musiche: Mathieu Lamboley
Fotografia: Rémy Chevrin
Scenografia: Samuel Deshors
Montaggio: Albertine Lastera
Costumi: Carine Sarfati

Cast Artistico e Ruoli:



Produttori:
Christine De Jekel (Produttore esecutivo), Emilien Bignon (Produttore associato), Olivier Delbosc (Produttore), Yvan Attal (Produttore)


Suono: Pierre André, Thomas Desjonquères, Jean-Paul Hurier | Casting: Gigi Akoka, Marie-France Michel | Aiuto regia: Dominique Delany | Segretario di produzione: Robin Welch | Direttore di produzione: François Hamel | Direttrice di postproduzione: Susana Antunes.

Immagini

[Schermo Intero]

Intervista a Yvan Attal

Com'è arrivato nelle sue mani il libro "le cose umane" di Karine Tuil?
Il romanzo era appena uscito. Ero interessato all'autrice, della quale avevo già letto altre cose, e all'argomento: un ragazzo accusato di stupro in seguito a una festa. La narrazione mi ha sconvolto. Mi ha commosso l'imputato (nel quale potevo rivedere mio figlio), mi ha commosso la vittima (nella quale potevo rivedere mia figlia), mi sono completamente identificato nei genitori dei due giovani coinvolti in questo fatto di cronaca. Ho modificato la struttura della storia – c'è "lui", poi "lei" e infine il processo – perché lo spettatore abbia il tempo di affezionarsi a loro. Volevo sapere da dove venivano, chi erano, come entrambi avevano passato la serata che precede il dramma, perché lei riteneva che lui l'avesse stuprata e perché invece lui credeva che lei fosse stata consenziente. Il tema era attuale, i personaggi complessi. E, per la prima volta, questo libro mi ha fornito l'occasione di allontanarmi dalla commedia, di ritrovarmi in un tipo di cinema che mi ha fatto venire voglia di fare cinema con elementi che non avevo mai avuto occasione di riprendere: un commissariato, un tribunale, una perquisizione, ecc.

Oltre al materiale del romanzo, ha svolto delle ricerche personali?
Durante la stesura ho incontrato giudici, poliziotti e avvocati per comprendere il più possibile il loro campo d'azione, la loro concezione del mestiere. Il romanzo mi ha fornito del bel materiale drammatico ma avevo bisogno di immergermi nel sistema, nell'arena in cui tutti operano. L'aula del processo è quella che mi ha segnato di più: vi regna il silenzio, una tensione molto forte. Non è un teatro. Gli avvocati ovviamente indulgono in "performance", a volte teatrali, ma il loro obiettivo è quello di colpire forte e di convincere, perché la posta in gioco è molto alta. Ho assistito a un processo per stupro. Lì, non c'era alcun dubbio che l'uomo fosse colpevole. Ma nonostante tutto, c'è un essere umano dentro al box e un altro al banco degli imputanti. Ci sono in gioco molte vite e malgrado tutte le convinzioni, le emozioni, si esce scossi. La lettura del romanzo non era stata sufficiente, dovevo vivere questa esperienza. È ciò che ha guidato la mia messa in scena: rimanere a lungo sui personaggi per evitare il superfluo.

Cosa ha influito sulle scelte della messa in scena?
Essere corretto. Sin dalla stesura della sceneggiatura. Quando scrivo, so già cosa girerò in piano sequenza o cosa sarà tagliato. Non mi piace riscrivere il film sul set o durante il montaggio. Se la fase della sceneggiatura è curata, si può crescere durante la fase delle riprese e se quest'ultima ha successo, si può crescere ancora di più in fase di montaggio. Ma se ci sono delle lacune, si ritrovano in tutte le fasi. Un film è effettivamente una somma di cose – di obiettivo, di quadro, di ritmo – che si fanno a monte, nella speranza di ottenere il risultato desiderato. Ma io resto flessibile. Se durante le riprese una scena non funziona, ritorno sui miei passi. Con questo film ho avuto molta fortuna. Quando trovi un set all'ultimo minuto, sei obbligato a filmare con quello che ti impone. Qui li ho trovati molto prima di girare. Poi c'è

Aveva qualche riferimento sull'argomento?
È evidente quello di Sydney Lumet. Il suo modo di filmare essendo sempre corretto verso i suoi personaggi. Il suo modo di dire senza dire, senza voler a tutti i costi trasmettere un messaggio. E il suo modo di affrontare argomenti seri continuando a fare cinema, un cinema per tutti. Ma la scena della perquisizione, per esempio, si ispira al modo in cui Woody Allen filma in piano sequenza dentro gli appartamenti. Non faccio preferenze. Mi piacciono i film noir e le commedie. L'importante è mettere la mia visione del cinema al servizio della storia. Non voglio che la regia risulti troppo evidente. Tutto ciò che porta lo spettatore fuori dal film è male. Detto questo, sono sempre stato un fan dei film sui processi. Sono un ottimo esercizio per coinvolgere lo spettatore: la messa in scena e il montaggio sono significativi. Ne ho rivisti e scoperti molti per vedere come se la sono cavata i registi con un'ambientazione unica, un dialogo prolungato, degli attori statici. Quello che mi ha influenzato maggiormente è La Parola Ai Giurati, perché Sydney Lumet si rinchiude in una stanzetta con i membri della giuria senza spostarsi, per concentrarsi sulla complessità umana.

Come rendiamo conto di questa complessità umana?
Grazie agli attori.

Come si trova l'interprete ideale per ogni personaggio?
Quando facciamo un film vogliamo lavorare con coloro che amiamo. Per prima cosa mi chiedo "C'è un ruolo per loro?". Quando ho girato Quasi Nemici, non ho visto la mia famiglia per quattro mesi. Qui c'era l'occasione di condividere un momento di vita. Ho cominciato assegnando il ruolo della madre dell'accusato: una saggista femminista. Charlotte Gainsbourg era una scelta ovvia per la sua accuratezza, la sua vulnerabilità. Per incarnare il padre, ho pensato a Pierre Arditi. Ha un che di teatrale, chic e colto che ricorda il personaggio: un giornalista famoso e donnaiolo. Poi si è posto il problema del nuovo compagno di Charlotte. Ho capito subito che non potevo interpretarlo io. Avrebbe portato confusione. Per questo ruolo di professore, Mathieu Kassovitz era perfetto. Ho recitato in uno dei suoi cortometraggi più di vent'anni fa. Ero contento di ritrovarlo e soprattutto di riprenderlo. Per il ruolo della madre della vittima, ho pensato a Audrey Dana. Ha abbastanza follia per interpretare quest'ebrea ortodossa religiosa e illuminata. Quanto all'avvocato della difesa, sapendo che avrei girato la sua arringa in piano sequenza, avevo bisogno di un attore capace di recitare un testo di diverse pagine. Ho cercato nei teatri e ho scelto Benjamin Lavernhe. Tutti loro mi hanno detto di sì, e gliene sono molto riconoscente.

E per i ruoli della vittima e dell'imputato? era fondamentale che Alexander e mila fossero interpetati a due attori quasi sconosciuti, perché il pubblico si identificasse più facilmente con loro?
Quali attori sono molto famosi a 17-18 anni? Non ce ne sono. Non è stato certo rassicurante per me partire con dei giovani in ruoli così impegnativi. Prima di scegliere Ben Attal e Suzanne Jouannet ho fatto un casting e dei provini. Ai provini, erano emerse quattro attrici. Suzanne è quella che mi ha sconvolto di più. Prova dopo prova, le sue emozioni erano là. Intatte. Adoro il suo ruolo. Dall'inizio alla fine. Quanto al ragazzo, leggendo il libro ho subito pensato a Ben. Ha già avuto un ruolo nel mio film precedente Mon Chien Stupide. All'epoca ero riluttante. Mi aveva dovuto convincere la direttrice del casting. "Non vuoi vederlo perché è tuo figlio, ma è lui che ha fatto il provino migliore". Ho accettato.

Cos'era difficile da accettare?
are un ruolo al proprio figlio. Come lavorare con lui? Sono suo padre. Sento una doppia responsabilità. Poi mi sono detto che come regista ero un po' il padre di tutti gli attori davanti ai miei occhi. Ben aveva molto da offrire per incarnare l'imputato – un ragazzo forse un po' arrogante ma accattivante. È dolce, generoso, e imbarazzato di avere i genitori che ha. Avrebbe voluto nascere in un ambiente diverso. Questa complessità lo rende commovente. E poi è cinegenico. Non ho mai dimenticato il mio primo corso di teatro. Dovevamo rimanere seduti e zitti per tre minuti. Dopo averci osservati, il professore ci aveva detto: "Per quanto possiate imparare a recitare, nel guardarvi abbiamo una sensazione soggettiva. Non potete farci niente. Quindi accettate chi siete." Ci sono degli attori che commuovono e altri meno, anche se sono bravi. Funziona così! Ben mi commuove. Allora perché preoccuparmi di cercare qualcun altro, quando avevo già fatto il provino a una cinquantina di attori della stessa età per il ruolo nel mio film precedente? Ben ha affrontato il lavoro come aveva fatto in Mon Chien Stupide. Con la differenza che qui interpreta un ruolo più importante, senza dubbio il più delicato di tutti. Ha passato il lockdown a imparare a suonare il piano e a preparare il film con me. Dopo viene il lavoro con tutto il cast. Ho organizzato molte letture preliminari. Insieme abbiamo dissezionato il testo, abbiamo cercato di individuare quella che per ogni personaggio è la sua verità. In quale momento mentirà, sarà onesto, farà vacillare la certezza dello spettatore… Bisognava trovare il giusto equilibrio. Le riprese sono un momento essenziale ma L'Accusa è emerso anche in fase di montaggio. Era davvero facile orientare lo sguardo in un senso o nell'altro. Senza neanche rendersene conto. Avremmo potuto scegliere di sopraffare il personaggio di Alexander per poi assolverlo per provocare una reazione epidermica da parte dello spettatore. Ma quello non era il nostro obiettivo. Restare neutrali ha dato al film il suo significato. C'è un'ovvietà che ci ha guidati: noi sappiamo perfettamente cos'è successo tra quei due. D'altra parte, riallacciando le testimonianze di Mila e Ben durante il processo, ci si rende conto che dicono la stessa cosa. I fatti sono indiscutibili. È il modo in cui li hanno vissuti che cambia tutto.

Non ha trascurato il punto di vista dei genitori
Ho fatto questo film identificandomi. Non nei due protagonisti, ma nei loro genitori.

Quello delle famiglie che si scompongono e ricompongono è un tema presente nella maggior parte dei suoi film, da "mia moglie è un'attrice" a "mon chien stupide"…
Non spetta a me analizzarlo ma tutto ciò che ha a che fare con i legami, di sangue e sentimentali, mi appassiona. È questo che mi sconvolge del monologo di Charlotte al processo, della coppia mal assortita formata da Mathieu Kassovitz e Audrey Dana, di quella di Mathieu Kassovitz e Charlotte Gainsbourg che esploderà, del modo in cui Pierre Arditi soffre a modo suo per l'assenza di Charlotte. Contro tutto ciò che li ha separati, alcuni si riuniscono per difendere i loro figli contro "l'altro", il nemico comune. Adoro la scena dove Charlotte e Mathieu si ritrovano al caffè. Non si parlano da anni, la loro coppia è andata in frantumi. È una parentesi tranquilla ma straziante che mostra gli effetti collaterali di un caso del genere. Come in quel momento strano quando Pierre chiede a Charlotte di vivere di nuovo insieme. 

Come ci si spiega che i film ambientati nei tribunali, molto apprezzati negli stati uniti, sono ancora poco sfruttati in francia?
Probabilmente spaventa l'aspetto statico delle sequenze. Io stesso mi sono chiesto "Come fare per interessare lo spettatore per un'ora, avendo una sola ambientazione e dei personaggi che non si muovono?" Guardando film sui processi, mi sono reso conto che non aveva senso muovere la videocamera quando non doveva muoversi. Nel film, quando entriamo nel Palazzo di Giustizia, sono passati due anni. Ritroviamo tutti i protagonisti. La loro vita è cambiata. Ma appena inizia l'udienza, non esistono più. Quando riprendo un testimone – un esperto, la vittima, l'imputato o i parenti – la camera rimane fissa su di lui. Non c'è ragione di preoccuparsi delle inquadrature che mostrino la reazione degli altri protagonisti.

Il modo in cui riprende la vittima e l'imputato lascia la sensazione che lei ci tenga a mostrare la loro fragilità
Ogni inquadratura ha la sua importanza. Non ho fatto la scuola di cinema, ma è da quando ero adolescente che mi nutro dei film degli altri. Ogni volta che ne ho trovato uno grandioso, ho cercato di capire perché là c'era un primo piano, là un campo lungo, perché la camera avanzava o indietreggiava. È così che ho capito che il cinema ha una grammatica, con degli strumenti da utilizzare al meglio perché lo spettatore possa seguire.

In che modo la sua esperienza come attore l'ha aiutata ad accompagnare il lavoro degli attori?
Non dimentico la difficoltà del mestiere. Un attore è obbligato a fare riferimento al regista. Non può giudicarsi da solo. Può credere di essere cattivo quando è buono o giusto quando è debole. Quando recito, non voglio che il regista mi deluda. Se faccio male una prova, preferisco che abbia il coraggio di dirmi "Ricominciamo!" piuttosto che "Bravo! Passiamo alla scena successiva". Perché poi, vedendo il film, si hanno dei rimpianti. Ci si domanda perché non abbiamo provato di più. Sulla scena, non ho metodo. Se ne avessi uno, non lo potrei applicare a tutti i comici. Non hanno né la stessa preparazione, né la stessa esperienza. Cerco soprattutto di capire con chi lavoro, se è meglio metterli a loro agio o destabilizzarli. Con Ben e Suzanne per esempio, la prima volta che li ho sgridati, mio malgrado, ho constatato che ciò li aveva indeboliti ed è servito al film. Allora ho continuato. Per me l'attore è uno strumento fra i tanti. Anche se è più delicato e complesso da maneggiare. L'emozione passa ovviamente anche attraverso l'immagine, non solo attraverso i dialoghi e gli attori. Ma ciò che conta è che sia giusto. Non voglio che una risposta mi scortichi l'orecchio. Troppi interpreti pensano che recitare non conti, che basti infilarsi un costume e leggere un testo. Ma il bello è quando la maschera cade. Senza vulnerabilità, non c'è nulla. 

Mentre recitano, riesce a vedere sua moglie e suo figlio come semplici attori?
Assolutamente! E questo è ciò che li infastidisce. Siccome li conosco, li tratto con ancora meno garbo. Sono impaziente e spesso mi lascio trasportare. È vero! Anche se è soprattutto con me stesso che mi arrabbio. Non ci si rende conto di quanto un regista sia solo, costantemente stritolato dal tempo. Se una mattina le riprese sono in ritardo, la giornata è in pericolo. So cosa significa. La sera, tutti tornano a casa dicendosi "Spero che il film andrà bene". Ma per un regista questa non è un'opzione, è di vitale importanza. Ciò rende fragili e manda fuori di testa. Per un regista la posta in gioco è più alta. In giro ci sarà scritto "Un film di…". Sono io che vi parlo oggi, io che presento il film al pubblico. La squadra mi aiuta, mi nutre e mi suggerisce delle idee, ma alla fine dei conti, sono io quello che fa le cose. E devo assumermene la responsabilità. Tutta! È un peso.

Dall'avvento di #metoo, questo è il primo film che tratta di uno stupro. non ha avuto un po' di paura?
No! Soltanto oggi ho cominciato ad avvertire una certa pressione. Ho sempre saputo che questo momento sarebbe arrivato, ma mentre facevo il film mi rifiutavo di pensarci. Mi dicevo "Questa storia è forte, mi commuove, allora la racconto". Nell'epoca della libertà di parola, il film ha ovviamente un significato politico e sociale. Questo è un argomento importante da affrontare, senza essere manicheo. E poi il film è tratto da un romanzo scritto da una donna, e io vivo circondato da donne: mia madre, mia nonna, Charlotte, le mie due figlie. Non posso che essere femminista, tanto più che mi sento meglio in compagnia di donne che di uomini. Stando così le cose, ero consapevole che stavo facendo un film che può dividere. Alcuni sono concilianti, altri provocano il dibattito. Ma per definizione, il dibattito è la contraddizione.

Che cos'ha portato al film il montaggio?
La sua forma definitiva. In altre parole, è sotto tutti gli aspetti il film che avevo in testa. Ciò che è interessante è il controllo, non ciò che si perde – con l'eccezione della recitazione nella quale a volte accadono incidenti che ti prendono alla sprovvista. I registi che mi hanno influenzato hanno un controllo. Controllo significa che c'è una visione, e che tutti i mezzi sono stati messi all'opera per raggiungerla. Anche se è stato rapido, il montaggio è stato comunque complesso. Era necessario stabilire l'equilibrio fra il punto di vista dell'accusato e quello della vittima. Lo sguardo di Albertine Lastera, la montatrice, mi è stato molto utile.

Si ha inoltre l'impressione che la ricerca di un punto di equilibrio sia stata la sua bussola. nella scrittura, nella realizzazione, come la colonna sonora
Sì! Quando scrivevo la sceneggiatura, mi chiedevo "Chi è questo ragazzo? Chi è questa ragazza? Cos'è che li rende a volte commuoventi e che cosa può farci dubitare di loro?". Come i loro genitori, ci chiediamo se le loro educazioni abbiano giocato a loro favore oppure no. È davvero tutta una questione di equilibrio. Tentare di controbilanciare sistematicamente ciò che pensiamo di loro. La sfida sta nella possibilità di fare un film non manicheo senza che sia interpretato come un tradimento della causa delle donne/vittime.

Cosa dire a quelli che potrebbero rinfacciarle che lei non abbia preso le parti della vittima?
Effettivamente avrei potuto fare un film con un imputato violento chiaramente colpevole. Ma ciò che mi interessava era mettere lo spettatore al posto della giuria, davanti a un caso dov'è la parola di uno contro quella dell'altra. Per il ragazzo, volevo sottolineare l'aspetto commovente della sua personalità, nonostante la violenza di cui è accusato. Per quanto riguarda la ragazza, anche se proviamo per lei un'empatia immediata, volevo insinuare un briciolo di dubbio sulla sua testimonianza. Non per renderla antipatica – questo è fuori questione – ma per mettere in luce la difficoltà di giudicare in un caso di questo tipo. Per preparare il film, lo ripeto, ho assistito al processo di un uomo accusato di stupro e reo confesso. Guardavo questo ragazzo corpulento, seduto nel box, senza empatia, come si osserva un animale in gabbia. Poi i magistrati hanno ripercorso la sua storia, per cercare di capire cosa lo aveva portato lì. Ho realizzato che l'emozione mi aveva fatto dimenticare che, anche se era un imputato che aveva commesso un atto mostruoso, in lui c'era una parte di umanità. La tensione che regnava nell'aula era impressionante. Era in gioco la vita di un uomo, e la responsabilità di decidere quale fosse la pena è ricaduta su uomini e donne che dovevano giudicare un loro simile.

Per finire, di cosa parla il film?
Di come ogni storia sia complessa. Se non si hanno tutti gli elementi, si ha una visione falsata. Solo un'indagine e un processo permettono di confrontare le versioni. Ma anche in queste condizioni, quando si ha a disposizione un caso che necessita di mesi di indagini, è difficile fare giustizia.

Cosa desidera condividere?
Delle emozioni. Non dimentico che quando uno spettatore entra in sala, qualsiasi siano i suoi gusti, non chiede che una sola cosa: imbarcarsi dentro una storia, un film generoso, che lo commuova, lo faccia ridere o riflettere. 

Intervista a Ben Attal

Quando e come Yvan Attal le ha proposto di incarnare alexandre, il personaggio principale?
Mi ha detto di volerlo fare con me non appena ha letto il libro. Abbiamo fatto dei provini meno formali di quelli per Mon Chien Stupide. Mi ha chiesto di leggere con lui, come se nulla fosse. Sapevo che quella lettura era in realtà un provino. Detto questo ero meno intimidito che per Mon Chien Stupide. Sicuramente perché anche lui aveva l'aria più decisa.

Che ricordi conserva della prima lettura della sceneggiatura?
Ho amato moltissimo la sceneggiatura ma presto sono stato preso dall'ansia di interpretare questo ruolo. Spontaneamente non provavo simpatia per lui. La lettura con mio padre però mi ha illuminato sulla sua complessità. La mia voglia di lavorare di nuovo era forte come la mia fiducia in lui.

Cosa ne pensa del personaggio di Alexandre, questo giovane brillante accusato di stupro?
Mio padre me l'ha presentato come qualcuno di arrogante, ma commovente. Inizialmente non vedevo che il primo aspetto. È quel genere di personaggio che non mi piacerebbe se lo incontrassi. Indubbiamente appartengo un po' allo stesso mondo (genitori attori), ma spero di non assomigliare a questo ragazzo così presuntuoso. Non abbiamo affatto lo stesso modo di fare, di parlare alla gente. E poi, ciò di cui è accusato mi faceva provare ribrezzo. Non si sa se abbia davvero commesso lo stupro. Ma scusarlo significava scaricare la colpa sulla vittima. E questo era impossibile, per me. Non è stato facile identificarmi con lui.

Suo padre però dice che avete in comune l'essere dolci e accattivanti
Ah, ha detto così? È gentile. È vero che inizialmente non vedevo che i difetti di Alexandre. Pensavo non si vergognasse di nulla. Mi opprimeva. Per interpretarlo, ho dovuto trovare ciò che mi piaceva in lui. Focalizzandomi sui dettagli, ho capito che durante il processo si vede che prova delle emozioni e che non è un mostro.

Che cosa l'ha commossa di più di lui?
Ciò che vive con i suoi genitori. La loro relazione è decisamente pessima. Leggendo la sceneggiatura mi dicevo "Che disgrazia avere dei genitori che non hanno mai tempo per te!" Io sono stato fortunato. Ho una madre che, tranne quando sta girando, è sempre a casa. Quanto a mio padre, da buon sefardita, è molto presente, a volte persino troppo, del tipo che mi sta addosso, ma è fantastico. Come da parte di mia madre, anche da parte sua non ho mai sentito altro che benevolenza. Nella famiglia di Alexandre ritroviamo questo amore incondizionato, ma in fondo, anche se sul piano materiale ha tutto, è molto solo. Ciò lo rende commovente. Ora che mi sono affezionato a lui, che è attaccato alla mia pelle, siccome non posso immaginarmi di compiere un tale atto, mi dico: "È impossibile che lui l'abbia fatto!" Per questo, sono costretto a essere duro con lui, come lo sarei con me stesso se avessi un atteggiamento così presuntuoso.

Cos'ha messo di suo nel personaggio?
Sul piano relazionale, molti elementi della mia vita personale. Per esempio, mi sono ispirato al rapporto che ho con mia madre. Ci diciamo tutto. Siamo molto uniti. Sul piano amoroso, Alexandre ha una relazione conflittuale con la sua ragazza. Durante il lockdown, litigavo spesso al telefono con la mia. Siccome ero con mio padre sotto lo stesso tetto, penso di avergli dato un po' di materiale.

E per alimentare il lato arrogante di Alexandre?
Ho guardato dei video di un giovane studente del Politecnico che ha un'intelligenza travolgente, una cultura mostruosa. Il tipo di persona che ha successo in tutto ciò che tocca. La prima volta, ho pensato "Che piccolo bastardo!" Lo trovavo insopportabile. A forza di riguardarlo, l'ho trovato meno presuntuoso, e dopo averlo visto quindici volte avevo voglia di essere come lui. Ignoro il motivo. È sicuramente legato alle emozioni, forse una nevrosi.

Come definirebbe il rapporto che alexander ha con le donne?
Complesso! A causa di una certa mancanza affettiva, ha paura di essere abbandonato, di essere lasciato. Capisco Alexandre. Come lui, sono una di quelle persone molto passionali, molto emotive, capaci di rovesciare un tavolo per dire ti amo.

Cosa vi rende diversi?
Penso di prestare abbastanza attenzione per capire quando una donna non vuole farlo. Infatti mi domando come, con tutta la sua intelligenza, Alexandre non abbia potuto essere meno idiota. Se siamo attenti, non è possibile confondersi e non vedere, o sentire, che l'altro non vuole. Non capisco cosa gli sia passato per la testa. Forse solo questa stupida idea di portarsi a casa le mutandine come trofeo. È già molto violento!

Nella misura in cui lui stesso appariva provato, questo non ha aiutato a interpretarlo?
No! Perché tendiamo sempre a scusarlo. Infatti, sul set, tendevo a favorire il suo lato più dolce, nelle intonazioni, negli sguardi. Quando però vedevo mio padre alzare un sopracciglio, capivo che era troppo. Mi ha dovuto riprendere spesso affinché lo interpretassi in modo più arrogante

Cos'è riuscito a negoziare?
Niente! Un set non è una democrazia. Assomiglia di più a una dittatura. Ma non mi dispiace. Ascolto. Non ho voglia di discutere. Sono un cuoco preparato. Ho sempre in mente "Sì, chef!" Non ho alcun problema con l'autorità. Prima di girare infatti ho detto a mio padre "Qualsiasi cosa tu debba fare per portarmi là dove vuoi, non esitare." Il bello è che divoro il suo cinema da quando ero giovane: Sydney Lumet, Francis Ford Coppola, Brian de Palma. È il cinema che ama e che piace anche a me. Quando mi dà un'indicazione, mi fido di lui. Tra l'altro la recitazione si basa su questo, sulla fiducia. Ti rende più libero.

Interpretare per la prima volta un ruolo forte, complesso, sotto lo sguardo di suo padre, anche lui attore, è sicuramente notevole. su cosa ha fatto affidamento per non crollare?
Su mio padre. Qualunque mestiere scegliamo, quando iniziamo vogliamo dimostrare ai nostri genitori che non abbiamo più bisogno di loro, e abbiamo questa paura di deludere. Ho poca formazione. Reggere un ruolo simile a volte era spaventoso, ma soprattutto emozionante, soprattutto perché mio padre ha potuto aiutarmi nei momenti di dubbio. Non mi ha mai lasciato andare, come con tutti e tutto, non lascia mai andare. È sicuramente una delle sue qualità principali.

Che tipo di appoggi le ha dato per aiutarla?
Dei calci nel sedere! E funzionano.

Suo padre ha risolto il problema di lavorare con il proprio figlio. e lei come ha fatto?
Dicendomi che il lavoro è lavoro. Sul set mi dissocio. Certo, ci sono delle riflessioni che fanno male. Ma qualunque cosa accada, vuoi fare bene il tuo lavoro. E poi il piacere di essere là, in quel film con tutte quelle persone, prendeva sempre il sopravvento. Ero felice di arrivare la mattina.

Come ha adattato la sua recitazione per le scene con suzanne jouannet che intepreta mila, la giovane vittima?
Non ho avuto questo genere di problema, perché avevo davanti a me la miglior partner che si possa desiderare. Recitare con lei è stato un sogno. È disponibile, attenta, davvero fantastica, sul set come fuori. A prescindere dalla nostra buona intesa, mi ha aiutato molto. Non è affatto egoista nella sua recitazione. Anche quando la videocamera non è su di lei, dà il massimo, affinché anch'io possa darlo a mia volta. È il suo primo film e anche il mio, alla fine dei conti, il mio primo ruolo vero. Siamo rimasti uniti.

Sul set ha incrociato attori affermati come pierre arditi, mathieu kassovitz, benjamin lavernhe. cosa l'ha colpita di loro?
Il lasciarsi andare. Che sia Pierre Arditi, con cui non ho scene ma che ho osservato mentre recitava, Benjamin Lavernhe o Mathieu Kassovitz, danno tutti l'impressione di essere rilassati. Ho notato che quando sono teso ho paura del minimo movimento delle dita. Ma non ci si può concentrare su tutto. Stando rilassati, la propria mente è meno ingombra e possiamo pretendere un po' di più da noi stessi, essere più precisi sul modo di recitare.

E riuscito a raggiungere questo lasciarsi andare?
No! La preparazione aiuta, ma credo che il lasciarsi andare arrivi con l'esperienza. Per il pianoforte, per esempio, ho lavorato come un pazzo, conoscevo i pezzi a menadito, e poi, arrivato il giorno X, mi ci sono volute diverse riprese per rilassarmi e poter finalmente suonare.

Ha già recitato faccia a faccia con charlotte gainsbourg, sua madre, sul set di "mon chien stupide". cosa c'è stato di diverso questa volta?
La scena dove lei testimonia al processo. È allo stesso tempo la madre dell'imputato che interpreto e la mia. Ero seduto nel box, l'ascoltavo, e la sequenza ha preso una piega molto reale. Non so cosa possano sentire gli imputati in una situazione simile, ma se hai un po' di coscienza credo che ti vergogni a vedere tua madre soffrire. È terribile! Per il resto, era fantastico girare con lei. Ci conosciamo davvero bene. È un po' come recitare con la tua migliore amica, con persone con cui vivi. Per questo possiamo prevedere le loro reazioni ed è tutto più facile con questa complicità.

Qual è stata la scena più impegnativa?
Ho avuto un momento difficile che dimostra quanto fossi preso. Quando Benjamin Lavernhe fa la sua arringa, Alexandre chiude la scena presentando le sue scuse alla vittima. È girata con un piano sequenza di otto minuti, con una coreografia complicata. Facciamo una ripresa, Benjamin è perfetto, io mi sbaglio nel mio testo dicendo Suzanne al posto di Mila. È stato orribile! Mi sentivo come se avessi gettato all'aria

Intervista a Suzanne Jouannet

Cosa sapeva del tema del film e del personaggio di mila prima di partecipare al casting?
Niente, a parte il fatto che dovevo recitare una scena nella quale lei racconta a dei poliziotti di essere stata stuprata! Un'agente mi aveva contattata dopo avermi vista recitare a teatro. Pensavo fosse per integrare di altri nomi la sua agenzia. Invece, era per il casting. Non ne avevo mai fatti. Siccome era durante il lockdown, mi hanno chiesto di realizzare un video, il primo della mia vita. Ho chiesto alle mie sorelle di filmarmi. Quando mi hanno richiamata per degli altri provini, ho saputo che il film era adattato dal libro "Le cose umane" di Karine Tuil. Mi sono affrettata a leggerlo.

Com'è stato il primo incontro con Yvan Attal?
Avevo molti dubbi, ma Yvan è stato accogliente e rassicurante. Mi ha dato delle indicazioni che ho trovato davvero precise e corrette. Mi sentivo totalmente in osmosi con la sua visione. Ci siamo messi subito a lavorare. Mi sono detta "Fantastico! Andiamo, si lavora. Sono pronta." Avevo già creato un immaginario attorno a Mila. La vedevo come una giovane allo stesso tempo sensibile, ingenua, forte, con un mondo interiore molto ricco. La sentivo soprattutto seduta accanto a me, come una sorellina che volevo proteggere. Per i provini avevo preparato diverse versioni. Alla fine ho scelto quella dove si mostrava più vulnerabile.

Come si è preparata per interpretare un'adolescente vittima di stupro?
Per prima cosa rituffandomi nei miei anni del liceo, quando avevo diciassette anni. Ora ne ho ventitré e da allora il mondo è cambiato. Poi ho cercato di immaginarmi il trauma fisico e mentale subito. Ho letto molte testimonianze su questo argomento, ho visto dei film, degli estratti video di processi filmati negli Stati Uniti (in Francia è vietato). Ho anche letto online una lettera scritta dalla vittima del fatto di cronaca che ha ispirato l'autrice del libro. La sua testimonianza era ricca, profonda. Molto toccante.

Yvan Attal come le ha presentato mila?
Come una ragazzina timida. Mi ha chiesto di lavorare su questo aspetto della sua personalità. Siccome non lo sono, mi sono per esempio divertita a cercare di modificare la posizione del corpo. Mila è molto distante da me per quanto riguarda il suo rapporto con gli altri, ma anche per il suo percorso di vita, la sua educazione. Senza contare che per quanto possa immaginare ciò che ha subito e fare un transfer, non sentivo di avere il diritto di equipararmi a ciò che lei aveva vissuto.

Qual è stata la sua prima reazione quando ha potuto finalmente leggere la sceneggiatura?
Mi sono detta "Che fortuna! Sono una giovane attrice, questa è la mia prima esperienza al cinema, se comincio con un film del genere ho vinto tutto." Mi piaceva ciò che dovevo difendere. Il tema è di attualità e davvero ricco. Sentivo che mi avrebbe aperto ad altri mondi. Nella sceneggiatura, il personaggio di Mila è molto più sviluppato rispetto al libro. Racconta la sua versione dei fatti, che è contraria a quella dell'imputato. Nella sua testimonianza, possiamo sentirla allo stesso tempo sincera e ambigua. Mi dicevo che sarebbe stata l'occasione di interpretare diverse emozioni, in situazioni complesse e che di fatto mi avrebbe anche permesso di crescere. Sia come attrice che come donna. 

Come rendere la parte di ambiguità di mila senza mettere in discussione la veridicità della sua testimonianza?
È stato complicato! Il mio pregiudizio fin dall'inizio era ovviamente che lei dicesse la verità. Tuttavia, al processo lei mente riguardo al suo percorso sentimentale e sessuale. Yvan mi ha chiesto di inserire delle sfumature nella mia recitazione affinché si sentisse questa ambiguità. Avevo paura di screditarla. Mi ha rassicurata dicendo: "Ok, mente! Ma può mentire e dire comunque la verità su ciò che è successo quella sera." Recitare la menzogna è sconcertante. Ma ero contenta di poter dare un altro colore a questo personaggio.

Al contrario dell'accusato, mila proviene da un ambiente modesto. com'è la sua vita familiare?
Lei naviga tra due mondi molto diversi. Suo padre, professore di letteratura, è molto aperto. Dopo il divorzio, infatti, Mila ha scelto di andare a vivere con lui, il che non è comune. Con sua madre, un'ebrea ortodossa praticante con codici molto rigidi, è complicato. Quando Mila dice che vuole sporgere denuncia, sua madre le consiglia di chiamare il rabbino per non divulgare la storia. Mila non è sostenuta da sua madre, ma sa farsi valere. Infatti decide di andare in causa, contro il suo parere.

Come lei, ben attal, che interpreta l'accusato, ha un ruolo di rilievo pur avendo poca esperienza. come si sono sviluppate le scene con lui?
Mi ha fatta sentire sicura fin dall'inizio. È educato, premuroso, gentile, attento, dolce… Lo so, è molto. Ma è veramente così. Era stressato, come me. Ma sopporta bene lo stress. Il fatto che lui lo verbalizzi ha prodotto un effetto specchio. Anch'io l'ho verbalizzato. Ciò mi ha aiutata molto. Eravamo consapevoli che dei ruoli così importanti fossero faticosi da portare. Ben voleva esserci per me, e io per lui. Ci siamo sostenuti a vicenda. E siccome sul set eravamo gli unici della stessa età, abbiamo creato un nostro piccolo mondo, come dei bambini a una riunione di adulti.

Per il suo primo film, condivide la locandina con Charlotte Gainsbourg, Pierre Arditi, Mathieu Kassovitz, Benjamin Lavernhe
Mi ha impressionato apprendere che erano nel cast. Avevo già un po' di sindrome dell'impostore quando ho saputo di essere stata scelta per il ruolo. In quel momento mi sono chiesta "Perché io e non un'altra?" Poi ho accettato l'idea e il lavoro mi ha aiutata a sentirmi legittima. E c'era anche della gioia. Mi sentivo così fortunata, riconoscente.

Come non essere inibiti davanti a dei grandi attori?
È molto facile recitare con loro. Sono così coinvolti. Benjamin Lavernhe, per esempio, recita e dà moltissimo! Anche se non lo conoscevo, avevo fiducia in lui. Mi sentivo al sicuro. Prima di ogni scena, avevo l'impressione di leggere nei suoi occhi "Vieni, recitiamo!" Ha provato molte sfumature e non mi ha lasciato altra scelta che recitare a mia volta con piacere, e con un grande desiderio di dare di più. È stato pazzesco per me.

Che cosa l'ha colpita di questa esperienza con degli attori affermati?
Il modo in cui, per esempio, Mathieu Kassovitz poteva essere distratto e riconcentrarsi in due secondi, mentre io che sono all'inizio ci metto quattro ore. Si ha l'impressione che abbia la recitazione nel DNA e che, anche se si tratti di lavoro, non gli pesi. Sono rimasta impressionata anche dalla professionalità di Charlotte Gainsbourg. Non ha mai l'aria troppo stressata e non si deconcentra mai tra le scene. Riesce anche a chiacchierare, mentre io trovo difficile farlo. In più, non esagera mai.

A questo proposito, yvan attal dice di essere molto attento all'accuratezza. che cosa le chiedeva per ottenerla?
Come al casting, di farlo semplice e di parlare con un tono più basso. Io vengo dal teatro dove si parla forte e si preme sulle espressioni. Non mi ero resa conto di quanto non si abbia bisogno di fare lo stesso con una videocamera. Quando si sussurra un testo si può sentire l'inizio dell'accuratezza. Per il momento, a parte quello che mi ha fornito Yvan, non conosco altri metodi. A parte essere sincera. Yvan è un grande regista di attori. Sul set, facevo il più possibile riferimento al suo sguardo. Era un pilastro.

Yvan Attal dice che sgridandovi vi ha permesso di essere fragili ed è servito al film
Non mi è sembrato che fosse duro, soltanto esigente. Ho apprezzato molto che mi spingesse al limite. Aveva ragione a farlo. Ciò mi ha aiutata a concentrarmi, e mi ha fatto venire voglia di combattere per arrivarci. Quando mi filmava, era molto chiaro nelle sue spiegazioni, mai vago. Mi ha fatto scoprire altri mondi. Gliene sono molto riconoscente.

Ci racconti il primo giorno di riprese
Ho cominciato con la scena in cui Mila si rivolge ai giornalisti, alla fine di un'udienza. Dovevo impossessarmi della telecamera e fare un appello. Era la prima scena di cinema della mia vita. Il set era immenso. C'era tantissima gente attorno a me. Ero, come dire… liquefatta. Fino alla nausea. Nel mio cuore c'erano le montagne russe. Yvan mi ha tranquillizzata dicendomi "Concentrati! Va tutto bene. Continua ciò che hai fatto al provino. Andrai benissimo." Ho così tanta fiducia in lui… E poi ha creduto in me, quindi ci tenevo a renderlo fiero. Un'altra cosa che mi ha aiutata è stata pensare a Mila. Mi sono detta: "Anche lei deve prendere la parola davanti a molte persone e, anche se è molto riservata, deve trovare la forza di testimoniare per sé stessa, per le altre vittime." Di conseguenza mi sono detta che il fatto che fossi impressionata dalla situazione era un bene per mettere in scena ciò che provava lei.

Per questa prima esperienza di cinema, qual è la sfida che ha dovuto affrontare?
Recitare davanti a una videocamera, con quest'obiettivo che ti guarda. Durante il provino, ho capito che bisogna farsela amica. Sul set, ho dovuto anche imparare a valutare lo spazio che c'era fra me e lei. A differenza degli altri attori, non ne ero a conoscenza. E poi ho dovuto imparare a recitare più volte la stessa scena, da diversi angoli, e rientrare nel ritmo per ogni nuova ripresa. Io che vengo dal teatro, dove mi evolvo liberamente sulla scena, sono dovuta venire a patti con i segni sul pavimento, le posizioni precise che bisogna tenere in mente riuscendo ad andare oltre. 

Qual è stato il momento più emozionante sul set?
Il processo. Abbiamo girato dentro una vera sala per le udienze, a Créteil. All'improvviso ciò che si vede diventa molto reale. Si pensa a quelli che sono venuti a testimoniare, a quelli che lo fanno nelle stanze adiacenti dove si svolgono altri processi. Mi sono sentita trasportata dal luogo. È stato molto potente. Ogni giorno vedevamo le stesse comparse, tutti gli attori che dovevano a turno testimoniare alla sbarra. Yvan li lasciava svolgere il loro testo, riprendendoli in piano sequenza. Questo lasciava il tempo di sperimentare, di vivere la scena per tutta la sua durata. Era potente.

Cos'ha cambiato in lei questa avventura?
Ho maggiormente fiducia in me. Siccome era tutto nuovo, ho dovuto imparare tutto. Questo mi ha resa più autonoma, più indipendente. Ho anche appreso come funzionano le riprese, la varietà dei mestieri dei tecnici. Ho incontrato persone che hanno creduto in me, che ammiro, in una squadra molto benevolente, che ha portato al set una bella energia.

Qual era il suo stato d'animo alla fine delle riprese?
Ho dovuto fare una pausa. L'argomento era gravoso. È stata l'avventura della mia vita, il mio primo ruolo importante. Ci ho investito troppo, fino al punto di rimanere un po' impregnata e diventare quasi timida, come Mila, quando non lo sono. Sul set me l'avevano detto. "Forse ti taglierai i capelli per dire addio al tuo personaggio." Non l'ho fatto!

Qual è il suo punto di vista su questi temi e sul concetto di consenso?
È un argomento così vasto! Mi tocca, ma ci sarebbe tanto da dire, ed è complicato farlo in poche parole. Per quanto riguarda il consenso, ecco di cosa parla il film: della zona grigia. Scegliendo di raccontare i loro due punti di vista, quello della vittima e dell'accusato, il film mostra quanto si possa vivere la stessa serata uscendone con due percezioni completamente opposte. Un uomo dovrebbe sempre sincerarsi del consenso della propria compagna, anche se significa porre la domanda. E viceversa.

Come vorrebbe che lo spettatore uscisse dalla proiezione?
Con la voglia di riflettere su tutti questi temi. 


interviste dal pressbook del film

Eventi

Presentato in Selezione Ufficiale – Fuori Concorso alla 78a Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia (2021). 

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