The Last Days of American Crime
The Last Days of American Crime

The Last Days of American Crime, il nuovo action Netflix non convince


È arrivato su Netflix 'The Last Days of American Crime', l'action movie che vede come protagonista Edgar Ramirez, mentre si muove per le strade di un mondo distopico: peccato che il risultato sia alquanto discutibile.
Voto: 5/10

Tratto dal graphic novel di Rick Remender e Greg Tocchini del 2009, The Last Days of American Crime è la pellicola che ha appena debuttato in casa Netflix e che vede come protagonisti Edgar Ramirez e Michael Pitt.

Il film immagina un futuro distopico in cui il governo degli Stati Uniti, per mettere un freno al crimine che devasta le sue strade, ha inventato il chip API, che dovrebbe "bloccare" ogni impulso criminale. Si tratta di una tecnologia che se da una parte potrebbe avere delle funzionalità utili al paese dall'altro appare non solo una grave violazione della libertà individuale, ma anche un modo per permettere alle forze armate di muoversi con una certa impunità. Un tema, questo, che in questi giorni è più caldo che mai, visti i disordini che stanno avvenendo nelle strade statunitensi, dopo la morte di George Floyd.

Una settimana prima che la tecnologia ipotizzata dal film entri in vigore, Bricke (Ramirez)decide di accettare l'offerta di un uomo (Michael Pitt) che lo informa delle circostanze in cui è morto il fratello: i due tenteranno così un ultimo colpo da manuale per portare a casa tanto denaro da poter vivere per sempre ricchi e contenti. Ma è davvero così che stanno le cose?

La prima cosa che bisogna dire di The Last Days of American Crime è che la pellicola è davvero troppo lunga. Centoquarantanove minuti sono obiettivamente troppi per un film action, persino per uno come The Last Days of American Crime che sembra puntare ad una certa riesamina sociale dei nostri tempi e del futuro che si prospetta all'orizzonte. L'eccessiva lunghezza, infatti, allunga troppo le situazioni e i dialoghi, dando allo spettatore la sensazione di star guardando qualcosa pieno di buchi da dover riattoppare. Soprattutto perché molto spesso i dialoghi non portano veramente a molto: si tratta sovente di dichiarazioni eccessive, come se il regista Olivier Megaton e lo sceneggiatore Karl Gajdusek si fossero messi d'accordo nel cercare di scimmiottare alcuni cliché del genere, senza preoccuparsi di controllare se funzionassero effettivamente per il loro racconto.

Perché The Last Days of American Crimes, che aveva tutte le possibilità per esplorare il contesto socio-cultare degli Stati Uniti e giocare con il genere action per lanciare una buona critica al sistema e/o raccontare la realtà come ad esempio aveva fatto La notte del Giudizio, finisce con il diventare un film noioso in cui le sorti dei personaggi non interessano a nessuno e alcune scelte narrative sono così assurde da non provocare nemmeno il divertimento involontario, ma una sorta di fastidio serpeggiante nello spettatore, che lo accompagnerà fino al finale.

Se, da una parte, si può applaudire all'apporto dato da tutti gli attori (Sharlto Copley su tutti, sebbene il suo personaggio sia forse il più macchiettistico), dall'altro The Last Days of American Crime non riesce a catturare l'attenzione dello spettatore: manca del tutto una buona costruzione del ritmo così come scene d'azione che siano veramente al cardiopalma e che invece appaiono il più delle volte insulse. Non aiuta nemmeno, alla fine, la regista di Megaton, che a volte si perde in se stessa, creando addirittura dei problemi di continuità narrativa, con lo spettatore che si trova come smarrito in un labirinto caotico. Occasione mancata.

Valutazione di Erika Pomella: 5 su 10
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