L'ultima ruota del carro: intervista ad Alessandro Haber
L'ultima ruota del carro: intervista ad Alessandro Haber

L’ultima ruota del carro: intervista ad Alessandro Haber


Intervista ad Alessandro Haber, tra i protagonisti del film L'ultima ruota del carro di Giovanni Veronesi.

Vi proponiamo l'intervista fatta ad Alessandro Haber, uno dei protagonisti del film L'ultima ruota del carro, diretto da Giovanni Veronesi, in uscita il 14 novembre al cinema.

Come è stato coinvolto in questo film?
Aspettavo di tornare a recitare con Giovanni Veronesi da circa 20 anni, dopo la splendida opportunità che mi aveva offerto con la sua commedia PER AMORE, SOLO PER AMORE. Devo confessare che da allora in poi, ogni volta che lui non mi ha scelto per un suo film ne ho sofferto un bel po', ma al di là delle mie ansie, io e lui siamo sempre restati sempre fraternamente amici. Il personaggio che interpreto ne L'ULTIMA RUOTA DEL CARRO non ha un nome vero e proprio, viene chiamato semplicemente Maestro: è un pittore/scultore di alto livello e dalla vita sregolata, che quando conosce il protagonista della nostra storia, Ernesto, si accorge della sua umiltà e della sua purezza che risaltano in modo speciale rispetto alla famelicità dei tanti personaggi ambigui che circondano la vita di un artista. Ernesto rappresenta agli occhi del Maestro la semplicità senza sovrastrutture: vede in lui qualcuno che ha ancora la capacità di stupirsi e di sorprendersi grazie alla sua costante e disarmante curiosità, pertanto gli si affeziona, lo fa diventare il trasportatore di fiducia delle sue opere e finisce quasi col fargli da padre. Il mio personaggio è ancora in grado di mettersi in gioco, ma gli accade soltanto quando dipinge, allorché si scatena liberando un'energia profonda che fa emergere fantasia e passione. Altrimenti la sua vita è piuttosto semplice e normale: forse fa uso di droghe, ma l'ipotesi è soltanto accennata, perchè abbiamo voluto evitare il cliché dell'artista maledetto. Giovanni è stato molto bravo a parlarmi tanto di questo personaggio, descrivendomelo a fondo in ogni dettaglio, e così abbiamo potuto costruire insieme un uomo che a volte si lascia andare ondeggiando tra genio e sregolatezza, ma ad uno sguardo più profondo rivela una sua forma di malinconia, una sua poetica, una sua delicatezza…

Che tipo di collaborazione si è creata con Mimmo Paladino?
Quando Veronesi mi ha detto che stava cercando un pittore di alto livello per fargli realizzare le tele che in scena sarebbero state filmate come opere del Maestro, gli ho suggerito di coinvolgere Mimmo Paladino, un grande artista contemporaneo che conoscevo bene da tempo. L'ho cercato io e l'ho messo in contatto con Giovanni, e lui dopo aver letto la sceneggiatura ed esserne rimasto incantato si è subito messo a disposizione del film senza chiedere nessun compenso. Paladino mi ha insegnato le regole fondamentali per tenere adeguatamente il pennello in mano e il modo in cui ci si deve porre davanti ad una tela, e mi ha trasmesso sempre molta sicurezza: tutte le volte che abbiamo girato una sequenza che rivelava l'estro creativo del personaggio mi sono sentito più che protetto, allo stesso modo di come il Maestro protegge Ernesto e gli diventa amico. In fondo abbiamo raccontato una storia di affetto e di amicizia tra due persone agli antipodi tra loro, che hanno ancora voglia di mettersi in gioco e che sono entrambe portatori di una forma di candore, sia pure in modi differenti.

Ha seguito qualche modello particolare per costruire il suo personaggio?
Forse mi sono ispirato proprio a Mimmo Paladino, senza però pensare direttamente alla sua maniera di camminare o ai suoi modi, ma piuttosto facendo riferimento alla sua schietta semplicità di vivere il quotidiano: è una persona normalissima che potrebbe fare qualsiasi mestiere, ma quando si esprime artisticamente il genio prorompe come una sorta di eruzione improvvisa… È il mistero della creatività, anche Elio Germano, ad esempio, è un ragazzo normalissimo come tanti altri: può essere facilmente scambiato per un giovane professionista impegnato in un qualsiasi altro mestiere, ma poi quando si trova davanti alla cinepresa accade qualcosa di magico e si trasforma in maniera mirabile. Non ho mai cercato l'imitazione diretta di qualcuno, ricordo che quando a 25 anni ho interpretato un cieco ne IL CONFORMISTA di Bernardo Bertolucci ero andato in un istituto per studiare da vicino una certa tipologia, ma in seguito ho cercato di essere sempre artista a modo mio. Davanti a un personaggio da interpretare cerco di entrare in quel particolare mondo che sono chiamato a rappresentare, o per lo meno di avvicinarmici il più possibile, ma ho un carattere piuttosto prorompente e questa volta Veronesi è stato molto bravo a contenerlo per evitare una mia eccessiva estroversione. Sono un attore che cerca di mettersi in gioco e che si adatta ogni volta, posso essere uno stravagante, un cattivo o un angelo, ma ogni volta cerco di arrivare alle condizioni ideali. Dipende dal copione e dal regista – che in questo caso erano fantastici – e dai compagni di lavoro, e su questo set ho potuto contare su un protagonista coi fiocchi come Germano con cui potevo interagire e giocare bene in scena: c'erano tutti gli ingredienti giusti per fare nascere qualcosa di interessante, insomma.

Come si è trovato con Elio Germano?
Considero Elio un attore perfetto, forse quello di maggior talento oggi in circolazione. È capace di una grande naturalezza, che però coltiva e asseconda preparandosi sempre adeguatamente con grande rigore. Sulla sua faccia c'è sempre grande verità, è sempre magicamente vero, non recita ma vive i personaggi che interpreta. C'è stata subito una grande sintonia, una forte energia, un immenso amore per il nostro lavoro e un piacere reale di stare sul set a fare qualcosa che ci coinvolgeva emotivamente. Spesso tra noi non c'era nemmeno bisogno di parlare. Abbiamo discusso a lungo dei nostri personaggi prima delle riprese, e poi quando ci siamo ritrovati sul set ogni volta magicamente accadeva qualcosa, ci siamo passati bene la palla in campo, abbiamo giocato puntando ad un rendimento alto, anche sconfinando qualche volta fuori dal copione… ci siamo divertiti ad improvvisare insieme, ma poi certe intuizioni del momento diventavano serie e concrete. Giovanni mi aveva parlato molto a fondo di lui, ma una volta che ci siamo ritrovati sul set è stato tutto molto facile e ci ha messo nelle condizioni di dare il meglio per la stima e l'affetto che nutriva per noi. È stato per me un bellissimo viaggio di attore, di rara qualità, insomma.

Quali sono secondo lei caratteristiche vincenti di Veronesi come regista?
È intelligente, sa scrivere, ha ironia e sarcasmo, il giusto graffio cattivo; in certi casi mi ricorda un po' Mario Monicelli, per il suo umorismo toscano e perché dice sempre quello che pensa. È uno che ha fatto una lunga gavetta come sceneggiatore e come regista, e oggi è arrivato ad un livello in cui può esprimersi pienamente, da artista libero. In questa occasione ho avuto la possibilità di vedere all'opera da vicino anche Domenico Procacci, che a sua volta è un produttore che si mette sempre in gioco. Il connubio tra lui e Giovanni è vincente, i due appartengono alla stessa generazione, parlano lo stesso linguaggio, tra loro c'è una serie di elementi comuni e una bella coesione creativa e sono certo che potranno fare davvero un bel percorso insieme.

L’ultima ruota del carro
Impostazioni privacy