House at the End of the Street
House at the End of the Street

Dietro le quinte di House at the End of the Street


Cast e regista ci portano dietro le quinte di House at the End of the Street, il thriller diretto da Mark Tonderai con Jennifer Lawrence, Elisabeth Shue, Max Thieriot.

Il premio Oscar Jennifer Lawrence, reduce dal successo mondiale di Hunger Games e de Il Lato Positivo, e la candidata al premio Oscar Elisabeth Shue (Via da Las Vegas, Piranha 3D) sono le protagoniste di questo thriller psicologico che vi terrà incollati alla sedia: Hates – House at the End of the Street.

Una teenager, Elissa, e la madre divorziata, Sarah, si trasferiscono in un quartiere esclusivo per iniziare una vita migliore. Ma dopo poco vengono a sapere che girano voci sul bosco vicino, dove pare che viva un omicida; Elissa conosce un ragazzo misterioso, unico sopravissuto di un efferato doppio omicidio avvenuto nella casa accanto: da quel momento in poi i sogni di un futuro più radioso di madre e figlia precipitano vertiginosamente in una spirale da incubo. All'inizio, infatti, tutto sembra andare per il meglio: Sarah (Elizabeth Sue) trova un buon lavoro e incontra un bell'uomo mentre Elissa (Jennifer Lawrence) inizia la scuola ed è attratta dal vicino di casa, Ryan (Max Thierot, My Soul to Take). Ryan sembra uno spirito affine, incompreso e appassionato, e Elissa gli sta vicino nel suo isolamento; la comunità lo tiene ancora alla larga da quando anni prima la sorella pazza Carrie Anne ha assassinato i loro genitori in un inspiegabile attacco di follia. Ma con il passare del tempo vengono a galla sempre più dettagli del passato di Ryan. La scoperta della verità potrebbe essere l'evento peggiore della vita di Elissa.

House at the End of the Street è diretto da Mark Tonderai (Hush). David Loucka (Dream House) ha scritto la sceneggiatura tratta da un racconto di Jonathan Mostow (Il mondo dei replicanti, Terminator 3: Le macchine ribelli). I produttori sono Peter Block (The wars, la serie di Saw), Hal Lieberman (Vacancy, Un ponte per Terabithia) e Aaron Ryder (Memento, The Prestige). Nel cast c'è anche Gil Bellows (Ally McBeal). Il direttore della fotografia è Miroslaw Baszak (300). Il montaggio è di Steve Mirkovich (I poliziotti di riserva) e Karen Porter (Collaborator). La scenografia è di Lisa Soper (The Day).

Una casa spettrale, in rovina, un uomo giovane con un segreto terrificante e un'adolescente testarda sono i classici elementi dei film horror-thriller, ma in House at the End of the Street, una squadra di professionisti ambiziosi e creativi ha saputo trascendere il film di genere con immagini ombrose ed eleganti, personaggi realistici e facilmente identificabili. "House at the End of the Street è complicato proprio come è complicata la maggior parte dei bei film", dice il produttore Aaron Ryder. "È un thriller hitchcockiano, indirizzato a un pubblico più giovane, con un grande cast di giovani attori. La sceneggiatura è fantastica, nel senso che fa veramente paura".

I personaggi in House at the End of the Street sono tormentati da un'orribile tragedia consumatasi parecchi anni prima rispetto al momento di inizio del film. "Una coppia venne assassinata dalla figlia handicappata che poi scomparve" dice Ryder. "Ora Elissa e la madre Sarah si trasferiscono nella casa accanto a dove si è consumato il massacro. C'è un unico sopravvissuto, un giovane di nome Ryan, che ancora vive nella casa. È con lui che Elissa inizia una relazione, forse il suo primo amore. Ma si scopre che c'è qualcosa di maligno nel paese".

Benché questo tesissimo thriller psicologico sia pieno di colpi di scena e sorprese che tengono il pubblico incollato alla sedia, House at the End of the Street è innanzitutto un film basato sui personaggi, ci dice il produttore. "Una delle cose che mi piace di questo film e di questi personaggi è che nessuno è stereotipato", dice Ryder. "Non c'è un rapporto madre. E anzi, Elissa è un po' più responsabile di Sarah. Ryan è cupo e misterioso, ma anche molto vulnerabile e bellissimo. È facile capire come una ragazza possa esserne attratta".

Il film è tratto da un breve racconto dello scrittore, direttore e produttore Jonathan Mostow, ed è stato sottoposto a una profonda rielaborazione da parte di Mostow e del suo partner di produzione, Hal Lieberman. Fra tanti talenti, Ryan e i suoi colleghi produttori hanno selezionato Mark Tonderai, che aveva da poco scosso il mondo dei film indipendenti con la sua pellicola di debutto, Hush, un thriller britannico teso e dalla trama fittissima. "Eravamo veramente emozionati di incontrare Mark per via di Hush" dice Ryder. "Con un budget relativamente contenuto e poco tempo a disposizione, è riuscito a realizzare un film davvero terrificante. Hush mi ha ricordato Breakdown – La trappola di Jonathan Mostow. È un film concepito e realizzato veramente bene e Mark ha ottenuto il lavoro proprio grazie a questo". Con la sua seconda opera, Tonderai si mantiene sempre un passo avanti rispetto al pubblico, destabilizzandolo con dubbi leciti e crescente sospetto.

"È un film su quello che sta sotto" dice. "È sulla dualità. Tutti l'abbiamo dentro di noi ed è per questo che il film funziona. L'essere genitori e essere ragazzi. Il dolore e la redenzione. Il primo amore e le seconde possibilità. Sono queste le cose di cui parliamo nel film. Sono le cose che danno al film un'anima e gli impediscono di essere semplicemente l'ennesimo horror-thriller. Volevamo alzare il livello e abbiamo lavorato veramente tanto per farlo". Ad alimentare la sua passione nei due anni che ci sono voluti per la realizzazione del film, racconta Tonderai, è stata la voglia di realizzare un thriller psicologico che non facesse solo paura. "Come regista è importante trovare qualcosa che ti risuona dentro, per questo non guardo tanto alla storia in sé quanto a ciò che la storia sta cercando di dire". Quindi anche l'analisi dei rapporti tra Elissa (Jennifer Lawrence), la madre (Elizabeth Shue) e l'enigmatico vicino di casa (Max Thierot).

"Ero appena diventato padre e sentivo fortemente di volermi confrontare con il tema dell'essere genitori", dice il regista. "Non ho mai dimenticato che questo film è un thriller, ma parla anche di genitori e di come possono aiutarci a diventare chi siamo. Ed è una storia d'amore. Una ragazza si trasferisce in una nuova casa. Finisce per innamorarsi del vicino che è sopravvissuto a un evento terribile. Tutta la comunità è contro di loro, e questo è un elemento molto romantico". Prima di iniziare le riprese, Tonderai ha messo a punto quella che chiama la "bibbia": un documento di quasi cento pagine che definisce tutte le sue idee sul film: personaggi, tono, luce, tematiche fondamentali e altro. Ha consegnato il tomo dettagliatissimo e pieno di illustrazioni agli attori e alla troupe per assicurarsi che fossero tutti sulla stessa lunghezza d'onda al momento delle riprese. "È di importanza capitale quando si inizia che tutti stiano lavorando allo stesso film, con delle precise tematiche fondamentali, concetti e personaggi", dice il regista, che aveva creato una guida analoga anche per il suo primo film. "Ogni scena è importante. E ogni scena è una sfida. Avevamo una tabella di marcia molto serrata e dovevo assicurarmi di sfruttare al massimo le mie giornate".

All'inizio Ryder era scettico, ma poi ha capito quanto fosse essenziale la "bibbia" per il modo di lavorare di Tonderai, e per creare la tensione che regge tutta la storia. "Ci ha messo dentro un sacco di cose, un sacco di concetti e temi, spiegando come l'avrebbe girato, le luci da usare e il sapore che doveva avere. Non sono molti i registi che preparano tanto il lavoro". Pur riconoscendo la natura collaborativa della realizzazione di un film, Tonderai si è assicurato che tutti, dagli attori ai capo reparto, dai produttori ai tecnici, avessero l'opportunità di condividere la sua visione. "È evidente che ognuno si confronta con il materiale dal proprio punto di vista, e questo è positivo" dice. "Ma se quelli della troupe non sanno cosa ho in testa, o i costumisti non sanno come sarà l'illuminazione, o il tecnico delle luci non sa che tipo di ricchezza visiva voglio, allora mi trovo in difficoltà. Con questa idea a fare da guida, le decisioni non venivano prese in maniera arbitraria, ma sulla base dei personaggi e delle tematiche fondamentali della storia. Ogni cosa era motivata".

Questa ulteriore preparazione ha inoltre permesso che le riprese venissero effettuate con più facilità. "Ogni volta che c'era una domanda, dicevo: 'Apri la bibbia; troverai tutto lì dentro'. Era la nostra guida, il nostro arbitro, la nostra corazza. Con quella tutti sapevano qual era il film che volevo realizzare. Non avevo bisogno di parlare. Semplicemente facevo vedere le immagini". Il direttore di produzione Robert Menzies non ha mai visto un regista condividere con il gruppo di lavoro così tanto del materiale preparatorio. "La bibbia è stata utilissima per la produzione. Era una lettura molto densa. Era molto mirata e trattava quasi ogni singolo aspetto del film, così da permettere al gruppo di lavoro di entrare nella testa del regista. Da quel documento hanno capito la sua visione riguardo ai costumi, alla scenografia, alle inquadrature: la visione di tutta l'opera. E sono convinto che abbia dato il là a tutta la produzione, perciò è venuto un lavoro eccezionale".

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