Michel Hazanavicius, intervista da Roma al regista di ‘The Artist’


Oggi, lunedi 5 dicembre 2011, si è tenuta la conferenza stampa di The Artist, durante la quale il regista Michel Hazanavicius ha raccontato alcune curiosità sul film con protagonisti Jean Dujardin e Berenice Bejo che uscirà il 7 dicembre a Roma e Milano, il 9 nelle città capozona e poi nel resto d’Italia. Come è […]

Oggi, lunedi 5 dicembre 2011, si è tenuta la conferenza stampa di The Artist, durante la quale il regista Michel Hazanavicius ha raccontato alcune curiosità sul film con protagonisti Jean Dujardin e Berenice Bejo che uscirà il 7 dicembre a Roma e Milano, il 9 nelle città capozona e poi nel resto d’Italia.

Come è nata e come si è sviluppata l’idea di realizzare un film come “The Artist”?

Ho sempre avuto un grande desiderio di realizzare un film muto. La più grande difficoltà è stata reperire i fondi perché di fronte ad un’idea del genere c’era un iniziale scetticismo. Ma io ho sempre creduto nel format del muto, dove non c’è suono -se escludiamo l’accompagnamento musicale- ed è quindi lo spettatore a creare i dialoghi con la sua fantasia. Ce lo insegna Fritz Lang. Meno il regista interviene, più c’è spazio per il pubblico. E poi io trovo il muto eccitante perché è una forma di narrazione pura.

Come è stato lavorare con gli attori?

Non volevo assolutamente pantomima. Se escludiamo poche scene, gli attori recitano con grande naturalezza, pur interpretando personaggi degli anni ’20. Nei film di Keaton e Chaplin l’attore è quasi un “clown”, mentre in altri – parliamo di Murnau, Hitchkock -si recita in modo più naturale seguendo i codici degli anni ’20. Ed è questo il genere a cui ci siamo ispirati. Inoltre ho cercato di scrivere un soggetto facile da recitare e un grande aiuto è venuto dalla musica, che ci ha sempre accompagnato durante le riprese. E poi lasciatemi aggiungere che è davvero facile girare un film con due attori strepitosi come Jean Dujardin e Berenice Bejo.

Qual è il fascino del bianco e nero? Molti registi sperimentano questa tecnica.

Orson Welles diceva che il bianco e nero è il miglior amico degli attori. Nasconde ogni imperfezione e contribuisce, insieme al muto, a divinizzare l’attore. E poi, anche in questo caso, lo spettatore è lasciato libero di immaginare i suoi colori. In “The Artist” ho utilizzato un forte contrasto tra bianco e nero nelle situazioni più positive, per passare al grigio e allo sfumato nei momenti più difficili.

Chaplin non voleva passare al sonoro, convinto che avrebbe guadagnato molto meno di quanto avrebbe perso. E’ una esagerazione o è la verità?

Il muto di Chaplin era talmente perfetto che Charlot non poteva né doveva parlare, Chaplin è passato al sonoro, Charlot no. Il sonoro sicuramente ci ha permesso di raccontare storie più complesse ma si è persa l’utopia di un unico linguaggio cinematografico, valido universalmente. Forse il sonoro sarebbe dovuto arrivare 10 anni dopo, così ci siamo persi film e innovazioni che sarebbero stati bellissimi.

In alcuni punti “The Artist” sembra ricordare “Cantando sotto la pioggia”.

Ho visto vari film, tra cui ” Cantando sotto la pioggia”. Ci sono alcuni riferimenti soprattutto per quanto riguarda le scene di tip tap, ma la storia è molto diversa.

Oltre ai due protagonisti, spicca anche un attore a quattro zampe nel film. Perché questa scelta che non credo abbia reso le cose più facili.

Il cane non può considerarsi un attore, non aveva copione. Gli piacevano molto le salsicce ed era l’unico modo per tenerlo vicino all’attore. Ho voluto il cane perché è carino, simpatico, divertente. Poi è diventata la star del film, perché ha aiutato il protagonista a cambiare. George Valentin è una persona egocentrica, egoista e a lungo andare potrebbe stancare. L’affetto istintivo del cane nei confronti del suo padrone convince invece il pubblico a fidarsi di Geroge. E’ diventato, quindi, uno dei personaggi chiave del film ma in modo spontaneo, è stata davvero una fortuna.

Il film sta avendo un grande successo internazionale di critica e di pubblico. Si aspettava una così grande attenzione? Ripeterebbe l’esperienza?

Assolutamente inaspettato. Quello che volevo era suscitare prima di tutto l’interesse del pubblico. Sapevo che era un bel film ma chiunque mi scoraggiava dicendomi che nessuno sarebbe andato a vederlo. Questo rende il percorso di questo film piuttosto interessante, dal totale scetticismo alla grande curiosità…Io adoro il muto, ma non so se ripeterei questa esperienza, forse ci vorrebbe una bella storia da raccontare…

Qualche anticipazione sul suo prossimo progetto Les Infidéles?

Un vero e proprio omaggio al cinema italiano degli anni ’60, un film ad episodi – io ne dirigerò uno- ispirato ai Mostri e ai Nuovi Mostri. Tra l’altro, Dujardin mi ricorda molto Gassmann.

Vi invitiamo anche alla lettura di un’altra intervista fatta sempre al regista Michel Hazanavicius che potete trovare a questa pagina.

Impostazioni privacy