Venere in pelliccia: intervista a Pawel Edelman


intervista a Pawel Edelman, direttore della fotografia del film Venere in Pelliccia, diretto da Roman Polanski.

Vi presentiamo l'intervista fatta a Pawel Edelman, direttore della fotografia del film Venere in Pelliccia, dal 14 Novembre 2013 al cinema, diretto da Roman Polanski.

VENERE IN PELLICCIA è il suo quinto film con Roman Polanski, dopo IL PIANISTA, OLIVER TWIST, L'UOMO NELL'OMBRA e CARNAGE, che hanno stili visuali molto diversi.  Quale è stata la sfida più grande di questo film?
Senza dubbio questo è stato il film più difficile da realizzare. Era un altro adattamento di un lavoro teatrale, ma la sfida era maggiore rispetto a CARNAGE: eravamo ancora una volta in un'unica location, ma con due personaggi soltanto. E non c'è niente di più difficile per un regista e un direttore della fotografia! Come riuscire a tenere vivo l'interesse degli spettatori per un'ora e mezza semplicemente seguendo due persone in uno spazio di dieci metri senza che il film sembri un lavoro teatrale o una serie televisiva? La cosa più importante erano le luci, e i cambiamenti di luce definiscono, sottolineano e tracciano i contorni dello spazio. Fanno apparire e scomparire… e permettono agli attori di muoversi con facilità e sentirsi a loro agio in ogni posizione e in qualsiasi posto.

Come definirebbe la luce che ha creato per "VENERE"?
E' sempre difficile per me descrivere in modo particolareggiato la luce che ho ideato. Sapevo che dovevo far risaltare gli attori nello spazio e quindi ci sarebbero state molte zone scure che gli spettatori avrebbero dovuto riempire con la loro immaginazione. Ovviamente la grande idea era che il pubblico dimenticasse che eravamo in un teatro. Avevamo bisogno di creare un'atmosfera, un clima che ci facesse penetrare nel regno del simbolismo. I teatri sono spazi concreti, e talvolta abbiamo bisogno di trasformarli in uno spazio astratto.

Roman Polanski le ha parlato della sua visione estetica prima di iniziare a girare?
Non abbiamo avuto molto tempo per parlare, perché tutto è successo molto rapidamente. Ovviamente abbiamo avuto uno o due incontri prima che iniziassero le riprese per chiarire cosa cercavamo. Abbiamo anche visto due o tre film, come CHICAGO di Rob Marshall, che è molto diverso, ma parla di una rappresentazione teatrale, è fantasia e realtà, per vedere se i problemi che ci ponevamo erano già stati risolti e come.

Quale scena è stata più difficile da illuminare?
Senza dubbio la scena finale della danza. Non avevamo un'idea precisa e chiara di come girarla, quindi abbiamo provato parecchi tipi di luce prima di decidere quella che avremmo usato.
E' una bella scena. La danza è così insolita, la musica così bella e Emmanuelle è così incantevole…

Sappiamo che Roman Polanski è molto preciso ed esigente. Quale spazio di manovra le concede quando lavorate insieme?
Ora lo conosco molto bene e so esattamente qual è la mia posizione durante le riprese, qual è il mio posto. Mi sento completamente libero di creare le luci – questo è l'ambito in cui ho spazio di manovra è molto ampio. Tutto il resto – la posizione della macchina da presa, dove si posizionano gli attori nell'inquadratura, etc. –  questo è il suo lavoro. Per me è importante, quando accetto un progetto, fare un lavoro che sia completamente al servizio del film, che racconti la sua storia…

Quale pensa sia il suo punto di forza come regista?
L'aspetto affascinante di Roman è il suo non essere solo regista, ma anche attore, così è facile per lui tradurre quello che vuole in un linguaggio che gli attori capiscono immediatamente. E' sorprendente vederlo comunicare con loro in modo così chiaro. Ed è stato un vero piacere osservare Emmanuelle e Mathieu recitare insieme, quasi come se fossimo parte di un vero pubblico. Un altro aspetto affascinante di Roman è il suo senso della composizione, il suo istinto per le immagini. E' raro trovare entrambe queste qualità in un regista. Di qualsiasi film si tratti, Roman ha una visione chiarissima di ciò di cui ha bisogno, sa perfettamente come vuole che sia il film e il look che deve avere.

Ricorda la prima volta che l'ha incontrato?
Come potrei dimenticarlo? Mentre mi stavo preparando a partire per le vacanze con la mia famiglia, ho ricevuto una telefonata, era lui che mi chiedeva se volevo lavorare per IL PIANISTA. E' stato come se il cielo si illuminasse all'improvviso, ma molto più piacevole! Era un mito per me. Non riuscivo quasi a credere che mi avesse chiesto di lavorare con lui. Probabilmente è stato Andrzej Wajda, con cui avevo lavorato molto, a raccomandarmi e a dargli il mio numero di telefono. Poi ci siamo incontrati a Berlino e abbiamo parlato dello stile visuale de IL PIANISTA.

Il fatto che siate entrambi polacchi ha favorito la comprensione tra voi?
Sì, ma non in modo superficiale come si potrebbe pensare… Roman ora parla sette lingue, ha vissuto ovunque, è a casa ovunque, eccetto, forse, negli Stati Uniti. E per prima cosa è soprattutto un cittadino del mondo. Ma è anche vero che abbiamo le stesse radici, abbiamo letto gli stessi libri, ricordiamo le stesse canzoni, abbiamo respirato la stessa aria… E' qualcosa di più profondo, che viene da dentro.

Se potesse conservare solo un'immagine di tutta l'esperienza di VENERE IN PELLICCIA, quale sarebbe?
Non so. Per me un film è un insieme organico. Forse sarebbe l'immagine di Roman che dirige  Emmanuelle con una precisione da mozzare il respiro, fino al minimo gesto.

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