C'era una volta a Hollywood
C'era una volta a Hollywood

C’era una volta a… Hollywood, la recensione


Il nono film di Quentin Tarantino non delude le attese e le aspettative e regala emozioni e momenti di puro cinema, come è solito fare il regista cult statunitense.
Voto: 9/10

C'era una volta a… Hollywood è presentato come il nono film del regista cult Quentin Tarantino e rappresenta senza dubbio il modo migliore di chiudere una fase della sua carriera, nove film (e mezzo per essere precisi) da regista in ben 27 anni di carriera. Perché ogni suo film è un piccolo gioiello di originalità, sceneggiatura e scelte registiche, ogni sua opera è entrata di diritto nella lista di film imprescindibili per gli appassionati di cinema e alcuni di loro sono dei veri e propri cult osannati e studiati in lungo e largo. È normale, quindi, che ogni pellicola sia attesa come fosse un dono e si crea intorno un hype che cresce di giorno in giorno fino al momento dell'uscita. Tutto ciò aumenta a livello esponenziale se Tarantino decide di raccontare una Hollywood di fine anni Sessanta attraverso la fase discensiva di due personaggi che lavorano all'interno di quel mondo e che hanno come vicina niente di meno che quella Sharon Tate, attrice e moglie del regista Polanski, uccisa brutalmente in quegli anni da seguaci della setta di Charles Manson. Una storia del genere nelle mani di un regista come Quentin Tarantino crea una forte aspettativa, soprattutto se si aggiunge che i protagonisti della pellicola sano niente di meno che Brad Pitt, Leonardo DiCaprio (che hanno entrambi già recitato in suoi film) e Margot Robbie nel ruolo di Sharon Tate.

Rick Dalton (Leonardo DiCaprio) è un attore molto famoso a Hollywood negli anni Sessanta per i suoi ruoli nei western e nei polizieschi, ha interpretato ruoli iconici ed è amato e riconosciuto da molte persone. Si ritrova, alla fine del decennio, ad attraversare una fase discendente della sua carriera, tanto da essere chiamato a recitare ormai solo in serie televisive e soprattutto quasi sempre in ruoli da cattivo, il contrario di quello che fino a qualche anno prima era stata la sua carriera. Cliff Booth (Brad Pitt) è la controfigura sul set di Rick, nonché suo amico e confidente nella vita vera. Anche lui si trova, conseguentemente alla caduta professionale dell'amico e al suo carattere un po' troppo intraprendente, a dover affrontare una crisi lavorativa. Entrambi vivono in un'epoca dove la mentalità hippie è al suo massimo fulgore e, grazie a strani incontri e a bizzarre vicissitudini, si troveranno ad avere a che fare con la setta di Charles Manson. Contemporaneamente seguiamo anche la vita dell'attrice Sharon Tate, tra feste, incontri e scene di vita quotidiana. Vicina di casa di Rick Dalton, le loro vite sembrano destinate a non incrociarsi, ma non si può mai sapere cosa può riservare il destino…

Non sappiamo se C'era una volta a… Hollywood può essere considerato il miglior film di Tarantino, probabilmente no, non ha quell'aurea di cult che caratterizza film come Le Iene, Pulp Fiction o Kill Bill, e non ha neanche quella perfezione narrativa e visiva raggiunta con Bastardi senza gloria, ma senza dubbio è il lavoro più personale dell'autore, quello che parla di un mondo che ama alla follia e si vede in ogni inquadratura che realizza. Ha delle imperfezioni che lo rendono così vero e autentico come nessun film del regista è mai stato. Parla di fragilità, di insicurezze e di purezza d'animo, di malinconia per qualcosa che non c'è più, di vicende realmente accadute e personaggi veri che tutti conoscono ma che nelle mani di Tarantino vivono di nuova vita. Sappiamo bene che Quentin ama giocare e la pellicola, grazie al suo marchio di fabbrica, diventa un gioco cinematografico perfetto, dove molti attori, che compaiono in camei, giocano con i loro ruoli interpretando personaggi che rispecchiamo altri loro ruoli in lavori precedenti, si veda per esempio i camei di Kurt Russell, quello di Timothy Olyphant, quello di Zoe Bell (stretta collaboratrice in quasi tutti i film del regista) e la stessa presentazione di Margot Robbie durante i titoli di testa del film. Tutto ciò accade perché è la pellicola stessa a giocare con il linguaggio cinematografico, attraverso un discorso meta cinematografico costante. Tarantino realizza scene di altri film all'interno del film stesso, sequenze intere in cui mostra le caratteristiche del cinema western e poliziesco di quegli anni, film inventati da lui o anche film famosi, come La grande fuga, di cui rigira una scena famosa con Rick Dalton/DiCaprio come protagonista, o anche mostra scene di film autentici, a cui dà nuova vita grazie allo sguardo di Sharon Tate/Margot Robbie. Gioca anche con il linguaggio cinematografico e la narrazione, come fa sempre del resto, in quel suo modo postmoderno di interpretare un linguaggio prettamente visivo ma che con lui diventa anche altro. È così che seguiamo spesso la mente di un personaggio o i suoi ricordi prendere vita improvvisamente durante un discorso per poi tornare al presente e riprendere le fila come se niente fosse.

Un discorso va fatto anche sul ruolo delle donne all'interno della pellicola. Tarantino è stato spesso tacciato di maschilismo nelle sue opere, nonostante abbia creato personaggi femminili iconici, forti, spesso molto più degli uomini, e quest'opera non è da meno. Sharon Tate è senza alcun dubbio il personaggio più positivo e più bello del film, anche se qualcuno, parlando a sproposito, ha accusato il regista di aver fatto lavorare e parlare Margot Robbie molto meno rispetto ai suoi due colleghi maschili. Il personaggio della Tate rappresenta la purezza, la gentilezza e la faccia semplice e positiva della macchina hollywoodiana. Lei ama vivere, ama divertirsi, ridere, ballare, essere felice, circondarsi di positività. Ama il prossimo, è un'anima pura e il suo sguardo e il suo sorriso nel film porta una ventata di positività e di commozione non indifferente. Ed è proprio questa la forza del suo personaggio, interpretato perfettamente da Margot Robbie, riesce a spaccare lo schermo e restare in testa allo spettatore nonostante le scene quantitativamente minori o le poche battute che ha nel film. Per non parlare poi di tutte gli altri personaggi femminili, dalla piccola grande attrice Julia Butters che con il suo personaggio si dimostra molto più matura di Rick Dalton, nonostante la giovane età, alla moglie di Kurt Russell che comanda sul marito ed è lei ad avere l'ultima parola sempre, fino al pitbull di Cliff, anch'essa donna e anch'essa con un ruolo importante nel film. Purtroppo sappiamo bene che in un film così chiacchierato le polemiche sono sempre dietro l'angolo, la cosa importante è che alla fine sia sempre l'arte ad avere l'ultima parola e qui di arte ce n'è da vendere.

Brad Pitt e Leonardo DiCaprio offrono due grandi interpretazioni, due ruoli e due personaggi completamente diversi, più riflessivo e sicuro di sé il primo, più insicuro ed esuberante il secondo, quello che è certo è che entrambi i personaggi rimarranno per sempre nella storia del cinema. E rimarrà sicuramente anche la doppia sequenza finale del film, sia quella pulp e splatter tipica dello stile del regista che quella più commovente e intima che chiude la pellicola. Mi raccomando non uscite dopo i titoli di testa perché c'è una scena extra assolutamente da non perdere.

Valutazione di Giorgia Tropiano: 9 su 10
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