Café Society
Café Society

Café Society di Woody Allen, la recensione


'Cafè Society' è un film che deve gran parte della sua riuscita alla stupenda fotografia di Vittorio Storaro, all'amore di Woody Allen per New York e a un senso continuo di nostalgia per un mondo che ormai non esiste più.
Voto: 7/10

Sembra ormai essere assodato, almeno per chi scrive, che il nuovo (e più anziano) Woody Allen, che nell'ultimo decennio ha zoppicato più di quanto gli piacerebbe ammettere, riesce a dare il  meglio di sé quando lascia che la sua arte venga circondata da un velo di tristezza e malinconia. Negli ultimi anni, infatti, Woody Allen ha dimostrato di riuscire ad andare avanti solo guardandosi indietro; non a caso uno dei suoi ultimi film più riusciti è proprio Midnight in Paris, che fa della nostalgia il suo marchio di fabbrica. Café Society, scelto come film d'apertura allo scorso festival di Cannes, rientra in questo schema e, anche se non riesce a raggiungere le vette forse attese e sperate, ha il merito di essere un film che va oltre il mero compitino scolastico.

Bobby (Jesse Eisenberg) è un ragazzo del Bronx che sogna il mondo dorato di Hollywood; città dei sogni che, negli anni '30, stava vivendo il suo momento d'oro. Così, con le sue speranze e la tristezza di lasciare la sua amata New York, Bobby decide di partire per Los Angeles, nella speranza che suo zio (Steve Carrell), pezzo grosso della fiorente industria cinematografica, gli trovi un impiego utile a seguire i suoi sogni. Lo zio gli trova un lavoretto come fattorino, ma lo lascia in custodia alla sua assistente Vonnie (Kristen Stewart), della quale Bobby non tarda ad innamorarsi. Ma ci sono amori che sono più forti di altri, e ben presto la nostalgia di New York diventa troppo forte perché la si possa combattere, e Bobby sarà costretto a dire addio ai suoi sogni e a Vonnie, per tornare a casa e mettersi a lavorare per suo fratello (Corey Stoll), dove diventerà un uomo importante e conoscerà la bella Veronica (Blake Lively). Tutto sembra andare per il meglio, ma sembra che il passato non abbia chiuso i conti con Bobby.

Café Society ha il merito di segnare la prima collaborazione con Vittorio Storaro ed è proprio la fotografia del DOP nostrano a sancire uno degli aspetti migliori della pellicola. La fotografia, infatti, collabora a creare un mondo a metà strada tra la cruda realtà e il sogno, tra le leggende inseguite sui libri di storia e banalità quotidiane in cui tutti siamo immerse. E nella fotografia Storaro riesce perfettamente a renere l'amore del regista per New York, che Woody Allen descrive nei dialoghi e nelle sensazioni del suo protagonista, tanto da rendere Jesse Eisenberg una sorta di suo alter ego, uno dei migliori riusciti negli ultimi anni. Ed è indubbio che proprio la città that doesn't sleep è la vera protagonista del racconto, il cuore pulsante del protagonista, il motore che lo spinge ad agire in un modo piuttosto che in un altro.

Pecca di questo film è, come accade più spesso di quanto piacerebbe ammettere, è la sceneggiatura, che non riesce mai a colpire lo spettatore. Con questo non si intende dire che sia scialba o insulsa – come avvenuto per altre, ultime, fatiche del regista – ma sembra piuttosto un lavoro dignitoso, che manchi di quella scintilla che possa trasformare un buon film in un bel film. Tuttavia il senso di malinconia, di tristezza e di arrendevolezza che circonda tutti i personaggi, in maniera più o meno evidente, ripaga di queste disattenzioni in fase di script.

Valutazione di Erika Pomella: 7 su 10
Café Society (2016)
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