El practicante
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El practicante, la recensione del film Netflix con Mario Casas


'El practicante' è il nuovo film Netflix con Mario Casas che racconta la storia di un uomo che si lascia divorare dalla sua gelosia, liberando il mostro che è dentro di sé
Voto: 6/10

Angel (Mario Casas) lavora come soccorritore su un'ambulanza e ha una relazione stabile con una bella ragazza francese (Déborah François) con la quale sta cercando di costruire una famiglia e, insieme, avere un figlio. All'apparenza, dunque, tutto sembra perfetto. Tutto sembra come deve andare. Ma bastano pochi fotogrammi del film di Carles Torras per capire che c'è qualcosa che non va, una nota stridente che continua a crescere verso una melodia assolutamente insopportabile. Angel deruba le persone che soccorre in strada o quelle che lo fanno entrare nella sua casa. Ha una rabbia repressa, che sembra sempre lì, a bollire sotto la superficie epidermica: una rabbia che passa soprattutto attraverso una sempre più evidente gelosia nei confronti della sua fidanzata. E tutto sembra raggiungere livelli ancora più preoccupanti quando Angel rimane vittima di un incidente stradale ed è costretto a stare sulla sedia a rotelle. Da quel momento, la sua gelosia nei confronti della compagna raggiungerà livelli tali da mostrare il vero volto dell'uomo.

El practicante – che è rimasto con il titolo originale anche su Netflix – è una sorta di thriller psicologico che gioca soprattutto sul senso di attesa dello spettatore. Chi guarda, infatti, sa di doversi aspettare azioni e decisioni da parte del protagonista che ne mettano in mostra il suo lato più belluino. Il thriller di Carles Torras si costruisce proprio su questo sento di ineluttabile attesa, di tensione crescente che porta la curiosità a focalizzarsi su Angel, in attesa dell'ennesimo atto rabbioso o mostruoso. La pellicola è ammantata di tensione, di attimi di silenzio in cui lo spettatore si trova quasi a trattenere il fiato per non "rompere l'incanto". E tutto passa attraverso lo sguardo d'onice del protagonista, un Mario Casas che sembra essersi calato perfettamente nella parte, diventando quasi l'alter-ego del mostro che deve portare sullo schermo. Dai tempi della versione spagnola di Tre Metri Sopra Il Cielo, l'attore spagnolo continua a convincere per la sua crescita istrionica, che lo ha portato dai set condivisi con Alex De La Iglesia (con cui ha lavorato ad alcuni dei suoi progetti migliori), fino a produzioni Netflix, di cui El practicante rappresenta, al momento, l'ultimo capitolo.

La pellicola si basa quasi esclusivamente sulle capacità dell'attore de El Barco: è lui il nodo del racconto, è lui la calamita verso cui i nostri occhi spaziano, in una sensazione di terribile voyeurismo. Angel, a dirla tutta, rappresenta una sorta di rappresentazione dell'essere umano odierno, di quello che si diventa in una società dove l'egoismo è la moneta di scambio. Angel è un uomo rabbioso, che mal tollera i suoi vicini, con i quali ha un rapporto passivo-aggressivo abbastanza evidente. Soprattutto rappresenta alla perfezione l'ideale maschilista e patriarcale dell'uomo che, ancora nel 2020, pensa di poter disporre liberamente di una donna, in una malsana idea di possesso. Le pagine dei nostri giornali sono pieni di storie raccapriccianti di questo tipo: uomini che rapiscono, stuprano o uccidono una donna solo perché "non possono averla" o perché non sopportano che "l'abbia qualcun altro". Un'ideologia retrograda, sbagliata, oscena, che il regista mette in scena proprio attraverso la figura di Angel e della sua gelosia, di quel suo comportamento malato e tossico che lo porta a prendere le decisioni più sbagliate. E questo tipo di decisioni non è mai dettato da un eccesso di amore, da un cuore spezzato: non c'è niente di romantico nella violenza di genere e il regista lo sottolinea, mostrando un protagonista che sin dalle prime battute si mostra come un mostro famelico.

Con la già citata ottima interpretazione di Mario Casas e questo ritratto mostruosamente attuale di alcune linfe malate della nostra società, El practicante si mostra all'occhio dello spettatore come un buon thriller che, tuttavia, va perdendosi un po' verso il finale. Soprattutto la scena che chiude il cerchio della narrazione scivola in un'involontaria comicità che rischia di soppiantare tutta l'ansia accumulata.

Valutazione di Erika Pomella: 6 su 10
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