Hungry Hearts
Hungry Hearts

Venezia 71: Hungry Hearts, la recensione


Saverio Costanzo porta a Venezia Hungry Hearts, una storia drammatica e coraggiosa che colpisce fin dalla prima inquadratura e ti porta con sè in un viaggio scuro e doloroso, senza più ritorno.
Voto: 8/10

Dopo l'esperienza di cinque anni fa con La solitudine dei numeri primi, pellicola tratta all'omonimo successo letterario di Paolo Giordano, Saverio Costanzo è nuovamente un protagonista della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia con Hungry Hearts, secondo film italiano in concorso, dopo il successo nei giorni scorsi di Anime Nere. Il regista italiano gira la pellicola a New York e in lingua inglese, scegliendo nuovamente come sua protagonista Alba Rohrwacher e affiancandola all'attore americano Adam Driver, famoso per il suo ruolo da protagonista nella serie tv Girls. Anche in questo caso l'ispirazione di Costanzo viene da un libro, Il bambino indaco di Marco Franzoso, ma è solo una scusa per raccontare qualcosa che va al di là della semplice credenza sviluppatasi soprattutto negli Novanta nella cultura New Age, quella secondo cui alcuni bambini nascono speciali, dotati di particolari qualità che possono svilupparsi anche in abilità paranormali. Il film, dopo Venezia, passerà anche per il Toronto International Film Festival.

Mina (Alba Rohrwacher) vive a New York per lavoro e un giorno casualmente, nel bagno di un ristorante cinese, conosce Jude (Adam Driver). Tra i due è subito amore; quando la donna rimane incinta, decide di trasferirsi definitivamente nella grande mela e i due si sposano. La gravidanza di Mina però diventa complicata. La donna inizia a credere che il bambino che porta in grembo sia speciale e che abbia bisogno di specifici trattamenti. Mina mangia poco e si rifiuta di affidarsi ai medici. Quando il bambino nasce inizia a nutrirlo con cibi vegani e non vuole farlo uscire di casa. La situazione non ci mette molto a prendere pieghe drammatiche.

Hungry Hearts è una pellicola che ti colpisce fin da subito e ti lascia quella sensazione di dolore anche dopo, come un pugno nello stomaco. Così come lo era stato in precedenza La solitudine dei numeri primi, il film alterna momenti di bel cinema ad altri più deboli ma nel suo complesso riesce comunque a trasmettere una serie infinita di emozioni diverse che vanno dalla rabbia alla felicità, dalla commozione alla tristezza. Quando un film riesce a fare questo è già riuscito in partenza, a prescindere da tutto il resto.

Saverio Costanzo gira una pellicola quasi tutta all'interno di spazi chiusi e claustrofobici, alternandoli a rari momenti in esterni in una New York meno da copertina e più underground. L'apertura felice ha luogo in due metri quadri come a voler anticipare quello che sarà il percorso futuro della storia e della coppia, già segnato fin dal primo incontro. Il percorso che porta al cambiamento di Mina, che in alcuni momenti, anche se in modo molto diverso, ricorda quello di Rose in Rosemary's Baby, è graduale e inesorabile, non si arresta e così anche il film cambia e si modella a lei, seguendo il suo destino. Il regista non dà alcun giudizio, è il pubblico che si schiera a secondo di quello che prova, Costanzo racconta una storia senza mai giudicare le scelte dei suoi protagonisti. Entrambi gli attori sono molto bravi ma c'è da sottolineare in particolare la generosa performance di Adam Driver.

Valutazione di Giorgia Tropiano: 8 su 10
Hungry HeartsVenezia 2014
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