Il caso Minamata, film con Johnny Depp
Il caso Minamata, film con Johnny Depp

Il caso Minamata, recensione del film con Johnny Depp


Tratto da una storia vera, il film ricostruisce la realizzazione del servizio fotografico che fece conoscere al mondo una drammatica vicenda ambientata in Giappone.
Voto: 7/10

Negli ultimi anni le notizie riguardanti Johnny Depp sono state, in larga parte, quelle riguardanti la sua vita privata, che però ha finito per condizionarne anche la carriera (la perdita del ruolo in Animali fantastici) mentre alcuni dei suoi film più recenti (City of lies, Waiting for the barbarians) hanno avuto una distribuzione difficoltosa o limitata: è successo anche con Il caso Minamata, distribuito da noi in homevideo e già disponibile in altri Paesi, ma non ancora uscito nelle sale americane.

Nel film Depp interpreta W. Eugene Smith, rinomato fotogiornalista americano, autore di molti servizi fotografici per la rivista Life, che però nel 1971 è alla deriva, sia sul lavoro che nel privato: i soldi cominciano a scarseggiare, ha un pessimo rapporto con i figli, e si attacca spesso e volentieri alla bottiglia. Un giorno un'interprete giapponese, Aileen (Minami) porta alla sua attenzione ciò che sta avvenendo nella cittadina costiera di Minamata, dove l'acqua è da anni contaminata dalle sostanze rilasciate da una fabbrica locale, causando malattie gravi e irreversibili agli abitanti; inizialmente riluttante a tornare in Giappone, dove aveva lavorato come fotografo di guerra durante il secondo conflitto mondiale, Smith decide di recarsi a Minamata per documentare la situazione e realizzare un reportage che possa aiutare ad accendere i riflettori sulla vicenda a livello globale.

Sulla scia di titoli come Erin Brockovich o Cattive acque, una storia di denuncia sociale, diretta da Andrew Levitas e che si basa sul libro Minamata, scritto dagli stessi Eugene e Aileen.

È dunque un biopic che ricostruisce gli eventi in maniera in parte, inevitabilmente, romanzata o semplificata, e lo fa attraverso lo sguardo, sia a occhio nudo che dietro la lente della fotocamera, del protagonista: il viaggio intrapreso da Eugene lo porta non solo a scoprire in prima persona una realtà drammatica, immersa in un mondo lontano, dalle sue regole e abitudini, ma è anche un viaggio che gli fa ritrovare alcune parti di se stesso, sia per quanto riguarda i rapporti umani, che per la soddisfazione di fare bene il proprio mestiere.

Si tratta infatti anche di un film che esplora il potere della fotografia come mezzo di informazione oltre che di espressione artistica: strumento per esprimersi senza bisogno di parole, creando immagini potenti che possono assumere un valore simbolico racchiudendo in sé molto più di quello che si vede, ma anche un gesto intimo (si fa riferimento anche alla credenza secondo cui una foto porti via parte dell'anima del suo soggetto, ma forse anche dell'autore); inoltre, in un'epoca in cui siamo abituati alla condivisione istantanea e globale di un'immagine con un semplice clic, qui si riflette anche sulla fotografia come oggetto materiale, e quindi prezioso ma al tempo stesso rischioso: dallo sviluppo lento e meticoloso di un negativo fino ad arrivare alla foto stampata, racchiusa e spedita in una busta magari dall'altra parte del mondo.

Lo stesso regista è attivo, oltre che come cineasta, anche come pittore e scultore, e quindi ha curato molto la parte visiva del film, prediligendo una luce fredda che esalta in particolar modo i colori dell'oceano, e il bianco e nero per riprodurre alcuni dei celebri scatti realizzati dal fotografo, accompagnando le immagini con le musiche di uno dei compositori giapponesi più amati e acclamati in tutto il mondo, Ryuichi Sakamoto.

Quello che il film invece lascia in secondo piano sono più dettagli sulla vita di Eugene Smith, che vengono appena accennati, dalla sua precedente esperienza in Giappone, al rapporto con i figli, alla passione per il jazz (riferimento a quello che diventerà il Jazz Loft Project).

Il caso Minamata è comunque un film che racconta la sua storia senza cedere troppo alla retorica, e può contare su un Depp (che ne è anche produttore) artisticamente in forma, che oltre alla sua ennesima trasformazione anche fisica, regala al personaggio umanità, acume, e anche una certa dose di ironia, caratteristiche che contribuiscono alla buona riuscita finale del film.

Valutazione di Matilde Capozio: 7 su 10
Il caso Minamata
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