Il settimo figlio
Il settimo figlio

Il settimo figlio, la recensione


Sergey Bodrov dirige un fantasy vecchia scuola che alla mancanza di originalità in fase di sceneggiatura, controbilancia effetti visivi a perdita d'occhio, un co-protagonista adorabile e una sorta di nostalgia di fondo per il vecchio modo di intendere il fantasy.
Voto: 7/10

In un'epoca di magia e lune di sangue, il maestro stregone Gregory (Jeff Bridges) assiste impotente al ritorno di madre Malkin (Julianne Moore), regina delle streghe e nemica giurata del mago. Dopo essere stata rinchiusa per un numero imprecisato di anni, ora Melkin conta di tornare al potere sotto l'influsso della luna rossa, che è in grado di amplificare le sue capacità. Per questo fa ritorno al Monte Pendle, dove ritrova sua sorella e sua nipote Alice (Alicia Vikander). Nel frattempo Gregory, privato – per l'ennesima volta – del suo assistente decide di istruirne un altro, il settimo figlio di un settimo figlio. E' così che incontra Tom Ward (Ben Barnes), un ragazzo con il potere delle visioni che avrà il compito di decidere la vittoria della luce contro l'oscurità. Il viaggio di Tom, tuttavia, si riempie di fantastiche avventure, spie misteriose e verità sepolte sotto l'albero genealogico della sua nascita.

Sergey Bodrov, già regista di Mongol, dire un fantasy vecchio stile che, pur non rinunciando ai privilegi delle moderne tecnologie legate agli effetti visivi, si veste di un'aurea di nostalgia, trascinando lo spettatore indietro negli anni, quando il fantasy si "contentava" di essere un mezzo di intrattenimento e non necessariamente uno specchio profondo per riflessioni esistenziali altrettanto profonde. Partendo dal presupposto che non tutto il fantasy può portare la firma di grandi maestri come, ad esempio, J.R.R. TolkienIl settimo figlio è essenzialmente un prodotto cinematografico pensato e realizzato con il semplice scopo di intrattenere e divertire il proprio pubblico. E in questo la pellicola di Bodrov riesce alla perfezione: nonostante la storia sia piena di svolte alquanto banali che lasciano intravedere il finale già a pochi minuti dall'inizio, il suo svolgimento è un'epopea che risponde ai dettami del famoso Il viaggio dell'Eroe di Christopher Vogler. Lo spettatore allora si trova a seguire un'avventura che il suo subconscio già conosce alla perfezione, ma gli occhi sono comunque assetati di nuove inquadrature e nuovi scontri. Ci si trova dunque davanti ad una favola per immagini, un racconto da vivere negli scorci di tempo, senza doversi necessariamente aspettare il capolavoro. Dopotutto il cinema è un'arte anche per la sua capacità di svestirsi dei suoi scopi educativi o di denuncia, per essere solo una voce che si rivolge al popolare, alla magia di una sala buia con draghi e streghe pronti a uscire dallo schermo.

La sceneggiatura del film, scritta da Charles Leavitt Steven Knight , come abbiamo già accennato non mostra alcun guizzo di originalità in rapporto allo snodarsi della vicenda, ma ha il merito di riuscire a tratteggiare, grazie ai dialoghi, protagonisti che suscitano facilmente l'empatia spettatoriale. In particolar modo il personaggio di Gregory, interpretato magistralmente dal premio Oscar Jeff Bridges, è un concentrato di politicamente scorretto e lealtà, di alcool e coraggio. Impossibile, dunque, non provare simpatia per questo mago che ha la nomina di perdere tutti i suoi assistenti/apprendisti e che non trova pace in una guerra che si trascina ormai da troppi anni. Un ultimo cenno va fatto all'attenzione per le scenografie, curate dal premio oscar Dante Ferretti, che finiscono per diventare una sorta di personaggio aggiunto, una presenza costante che finisce col dare concretezza all'intera storia.

Valutazione di Erika Pomella: 7 su 10
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