Judas and the Black Messiah
Judas and the Black Messiah

Judas and the Black Messiah, la recensione del premiato biopic con Daniel Kaluuya


Il film ricostruisce una drammatica storia vera ambientata in un periodo di forti tensioni sociali, attraverso le vicende di alcuni dei suoi giovani protagonisti.
Voto: 7/10

Nella stagione dei premi ormai già ben avviata, uno dei film di punta è sicuramente Judas and the Black Messiah, che ha già portato a casa numerosi riconoscimenti e arriverà all'imminente cerimonia degli Oscar con 6 candidature tra cui quella a Miglior Film, ed esce da noi direttamente in digitale. 

Nella Chicago del 1968, William O'Neal (Lakeith Stanfield) è un ragazzo che viene arrestato per aver tentato un furto spacciandosi per agente federale; l'agente dell'FBI Roy Mitchell (Jesse Plemons) offre a O'Neal la possibilità di evitare il carcere infiltrandosi nel partito delle Pantere Nere, e fornire così informazioni in particolar modo sul giovane attivista Fred Hampton (Daniel Kaluuya), leader della sezione dell'Illinois, contrassegnato dall'FBI come soggetto estremamente pericoloso, da tenere sotto controllo. William si inserisce così nel gruppo di attivisti, entrando in stretto contatto con Fred e i suoi compagni di partito, mentre questi tentano di portare avanti il loro programma e le loro idee in un clima sempre più teso e violento.

Il film, scritto e diretto da Shaka King, sceglie di raccontare una pagina non ampiamente nota, e decisamente non edificante, della recente storia socio-politica americana, attraverso alcuni dei suoi protagonisti e artefici. La trama si concentra quindi principalmente sui personaggi di William e Fred, due figure giovanissime (dettaglio che non si coglie subito nel film poiché i loro interpreti hanno una decina di anni in più), le cui vite si intrecciano quasi per caso ma con esiti determinanti per entrambi: Daniel Kaluuya  (già meritatamente vincitore di un Golden Globe e un SAG Award per questo ruolo) infonde di carisma il suo Messia Nero, Fred Hampton, presentato come un rivoluzionario idealista quanto pragmatico, che crede nel potere delle persone e delle parole, capace di infiammare la folla durante i suoi comizi, mentre allo stesso tempo nasce la sua storia d'amore con Deborah (Dominique Fishback), attivista anche lei; a lui si contrappone William O'Neal, il Giuda del titolo, a fare da filtro e da cornice a questi eventi, con la sua duplicità fatta di dubbi e contraddizioni, scaltro eppure inconsapevole nel trovarsi al centro dell'azione pur rimanendo, di fondo, una pedina mossa dall'alto, nel suo mettersi al servizio delle situazioni senza forse riconoscersi mai davvero, fino alla fine, in una causa (il film si apre e chiude con una sua intervista, rilasciata molti anni più tardi, che lascia aperta l'interpretazione sulle sue motivazioni e convinzioni). 
Se stilisticamente il film descrive e rappresenta un'epoca anche a livello estetico, grazie all'accurato lavoro su scene, costumi, fotografia e colonna sonora, la sceneggiatura deve comprimere eventi e personaggi, sintetizzare anche ciò che è successo prima e quello che verrà dopo, a volte spiegando e mostrando, altre limitandosi ad accennare o lasciar intuire: procede spesso come una raccolta di momenti e situazioni, alternando scene d'azione e suspense a momenti più introspettivi, fino a trovare il proprio climax nel drammatico finale, carico di emozione. 

Judas and the Black Messiah, oltre ad essere un efficace veicolo per regista e interpreti, arriva in un momento particolarmente "caldo" in un'America di recente scossa nel profondo da tensioni e proteste a sfondo razziale, e in cui queste tematiche sono dunque particolarmente sentite (tra l'altro si fa riferimento alla vicenda di Fred Hampton anche il Il processo ai Chicago 7, non a caso altro film tra i più apprezzati e premiati della stagione) ed è quindi un film che punta a coinvolgere e stimolare lo spettatore anche grazie al valore aggiunto dato dalla Storia.

Valutazione di Matilde Capozio: 7 su 10
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