Judy
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Judy, recensione del film di Rupert Goold


Renèe Zellweger è la star indiscussa del film che racconta gli ultimi mesi di vita di Judy Garland, mitica protagonista del Mago di Oz, ma anche donna fragile e tormentata.
Voto: 6/10

Un primo piano su una ragazzina dagli occhioni sgranati, intenta ad ascoltare un uomo che, in maniera neanche troppo velatamente minacciosa, le raffigura l'esistenza mediocre che le toccherà se non si impegnerà nel proprio lavoro; poi l'inquadratura si allarga, e ci troviamo tra cespugli di rose, su quell'iconica strada gialla resa immortale dal Mago di Oz: la ragazza è una giovanissima Judy Garland, e l'uomo è il produttore Louis B. Mayer (della Metro-Goldwin-Mayer). Nella scena successiva vediamo l'attrice ormai ultraquarantenne, pluridivorziata e senza più una casa in cui tornare, mentre si prepara a esibirsi su un palcoscenico insieme ai due figli minori. Inizia così Judy di Rupert Goold, contrapponendo l'inizio e la fine della carriera di Judy Garland, attrice, cantante, ballerina, dalla fama internazionale e trasversale, definita ancora oggi una delle più grandi star della storia del cinema.

Il film si concentra principalmente su quelli che saranno gli ultimi mesi della vita della Garland, quando nel 1968, a causa di difficoltà economiche e della scarsità di lavoro in USA, accetta la proposta di trasferirsi in Inghilterra per esibirsi in un club londinese, il Talk of the town; la trama ci mostra così una Judy stanca, indebolita dall'abuso di sostanze, divisa tra la nostalgia di casa e dei suoi bambini e il sentimento per quello che diventerà il suo quinto marito, Mickey Deans.

Contrariamente a quanto accade di solito, Judy non si ispira a un libro biografico, ma a uno spettacolo teatrale, End of the rainbow, e questo si nota anche nella versione cinematografica, il cui regista Rupert Goold è un veterano del teatro. 

Judy è quindi un (parziale) biopic con i limiti e i difetti del suo genere che, attraverso i numerosi flashback, ci ricorda continuamente il destino spesso amaro delle star bambine di Hollywood, private di un'infanzia più convenzionale fatta anche di piccoli piaceri come gustare una fetta di torta, e costrette a una competizione che le fa sentire inadeguate ma allo stesso tempo incapaci di concepire una vita senza l'acclamazione di un pubblico. Non sempre compatto nella sceneggiatura, il film contiene momenti anche toccanti (l'incontro con una coppia di fan sfegatati che ricorda lo status di icona gay della protagonista) e scene, come quelle con una Garland adolescente, che raffigurano con lucida crudeltà il clima opprimente degli studios, dove gli abusi si manifestano in più forme.

Oltre alla cura nel reparto tecnico (scene e costumi coloratissimi e sfavillanti che sono una festa per gli occhi), il film punta soprattutto sull'interpretazione (anche vocale) di Renèe Zellweger, forse non a caso un'attrice che, star assoluta dei primi anni 2000, ha poi passato un lungo periodo lontana dalle scene: la sua è una performance senza dubbio impegnativa, non priva di manierismo in certi punti, ma che le ha già fatto conquistare numerosi premi mettendola in pole position per un secondo Oscar; e fa comunque piacere pensare che, a cinquanta anni, questo possa essere un nuovo inizio per lei.

Valutazione di Matilde Capozio: 6 su 10
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