L’uomo del labirinto, recensione del coraggioso film di Donato Carrisi
Denso di riferimenti e di simbolismi privi di significato, L'uomo del labirinto finisce per risultare privo di una sua personalità, risultando un guazzabuglio che stordisce lo spettatore, gettandogli fumo negli occhi.
di redazione / 29.10.2019 Voto: 5/10
Esattamente due anni fa, Donato Carrisi debuttava dietro la macchina da presa curando la regia de La ragazza nella nebbia, tratto dal suo omonimo romanzo. Tra i più interessanti scrittori "popolari" del panorama letterario italiano, Carrisi ha venduto circa 3 milioni di copie in tutto il mondo ed è autore di titoli quali Il suggeritore, L'ipotesi del male e Il maestro delle ombre.
Il primo titolo dello scrittore/regista era ricco di riferimenti all'universo letterario e cinematografico e aveva il merito di costruire un buon thriller nonostante certe derive prolisse ed ingarbugliate che appesantivano le intuizioni di messa in scena. Nonostante parole di troppo e spiegazioni esagerate intaccassero parzialmente la suspense, La ragazza nella nebbia può essere considerato un debutto coraggioso.
Allo stesso modo, anche L'uomo del labirinto conferma gli aspetti positivi e le debolezze del cinema di Carrisi. Samantha Andretti è stata rapita una mattina d'inverno mentre andava a scuola. Quindici anni dopo, si risveglia in una stanza d'ospedale senza ricordare dove è stata né cosa le sia accaduto in tutto quel tempo. Accanto a lei c'è un profiler, il dottor Green, che sostiene che la aiuterà a recuperare la memoria e a catturare il mostro. Ma la avverte anche che la caccia non avverrà là fuori, nel mondo reale ma nella sua mente. Bruno Genko, invece, è un investigatore privato. Quindici anni prima, è stato ingaggiato dai genitori di Samantha per ritrovare la figlia. Adesso che la ragazza è riapparsa, sente di avere un debito con lei e proverà a catturare l'uomo senza volto che l'ha rapita. Ma quella di Genko è anche una lotta contro il tempo. Perchè un medico gli ha detto che gli restano soltanto due mesi di vita e, per uno scherzo del destino, quei due mesi sono scaduti proprio nel giorno in cui Samantha è tornata indietro dal buio.
Questo secondo film di Donato Carrisi è davvero una strana fiera da affrontare. Ambientato in un non tempo che riesce a fondere manipolazioni digitali, abuso di color correction, città e campagna, skyline asiatici, strade illuminate da luci al neon, personaggi luridi e spaventosi e oggetti d'uso tipici degli anni '90, il film mostra numerosissimi debiti nei confronti di pellicole thriller distribuite al cinema durante il decennio del post-moderno. Se il mood è abbastanza azzeccato e dimostra una notevole attenzione di Carrisi al versante estetico, la stessa cosa non si può dire relativamente all'organizzazione e allo sviluppo di un racconto che pecca di esagerata sicurezza. Denso di riferimenti e di simbolismi privi di significato, L'uomo del labirinto finisce per risultare privo di una sua personalità, risultando un guazzabuglio che stordisce lo spettatore, gettandogli fumo negli occhi.
Il vero problema di Carrisi consiste nella sua scarsa modestia che lo porta a curare sceneggiatura e regia quando, probabilmente, un vero sceneggiatore e regista sarebbe stato in grado di limitare la durata di un prodotto oltremodo lungo e limare i difetti di una sceneggiatura che si attorciglia continuamente su sé stessa. È un vero peccato perché il film è decisamente coraggioso e si distacca dalla tradizionale mediocrità di progetti simili. Peccato che lo spunto di partenza non sia stato sviluppato in modo chiaro, onesto e, più di ogni altra cosa, modesto.