La ragazza di Stillwater
La ragazza di Stillwater

La ragazza di Stillwater, recensione del film con Matt Damon


Una storia che ha le sue radici nella cronaca per raccontare il viaggio di un padre in difesa di sua figlia, americano in un Paese straniero a lui sconosciuto, ma dove farà degli incontri importanti.
Voto: 7/10

Dopo la presentazione in anteprima al Festival del Cinema di Cannes lo scorso luglio, arriva adesso nelle sale italiane La ragazza di Stillwater, nuovo film del regista e sceneggiatore Tom McCarthy: Bill Baker (Matt Damon), operaio sulle piattaforme petrolifere dal passato turbolento, parte per l’appunto dalla città di Stillwater, in Oklahoma, per andare a trovare la figlia Allison (Abigail Breslin), che, mentre studiava all’università di Marsiglia, è stata arrestata con l’accusa di aver assassinato la sua ragazza e coinquilina Lina. Allison, che si è sempre dichiarata innocente, afferma di avere nuovi indizi che potrebbero portare a una riapertura del caso e allora Bill decide di indagare in prima persona, con l’aiuto di Virginie (Camille Cottin), madre single di una bambina, un incontro casuale che però si rivelerà sempre più importante col passare del tempo.

Si è già parlato finora delle assonanze fra la trama e il delitto di Perugia, ma quella raccontata dal film è in realtà una storia di finzione, che si ispira semmai al noir di stampo mediterraneo (e ad autori come il nostro Camilleri) non scegliendo la via del thriller sanguinolento né la ricostruzione di un’inchiesta giornalistica (come Il caso Spotlight, maggior successo del regista).

Qui infatti il vero protagonista è il personaggio di Bill, il padre dal complesso bagaglio che seguiamo nel suo viaggio, effettivo e interiore: partendo dal cuore profondo degli USA, dove si conciliano la fede religiosa e il diritto a imbracciare le armi, diventa per estensione l’emblema, sotto molti aspetti, di quell’America trumpiana e conservatrice che porta in sé valori solidi all’apparenza e tuttavia smarrita che prova a relazionarsi col resto del mondo, superando la diffidenza iniziale, le barriere linguistiche e non solo, in una città di cui non conosce le regole e che gli appare ostile.
Anche Marsiglia diventa quasi un personaggio del film, la città portuale raffigurata come un crogiuolo di razze e culture, luminosa ma con un lato oscuro, in cui convivono il teatro d’avanguardia e la violenza delle gang, simbolo di quell’integrazione riuscita solo in parte, dove non manca il razzismo né il pregiudizio tanto dichiarato quanto strisciante, un luogo che vediamo attraverso gli occhi dello straniero e viceversa.

La parte centrale del film è dedicata principalmente all’arrivo di Bill nella vita di Virginie e della piccola Maya, ed è così che la storia diventa una riflessione sulle famiglie spezzate, quelle che provano a ricomporsi, sul ruolo dei genitori e quello dei figli, sui legami di sangue e quelli che invece si stringono per scelta.

In tutto ciò, a essere messo in secondo piano è proprio l’aspetto più crime della trama, che viene poi ripreso e affrontato in modo in parte semplicistico e un po’ sopra le righe, mentre la trama si concentra maggiormente sul lato umano della vicenda, prima così di arrivare a un finale amaro, in cui si medita su colpa e rimorso, su perdono e condanna, interrogandosi sull’essenza della natura umana, fatta di un lato migliore ma anche di quello peggiore, e di esperienze che segnano e influenzano, forse per sempre, ciascun individuo.

In quello che dunque è essenzialmente un film di attori, spicca l’interpretazione di Matt Damon, che si era già calato altrove in ruoli da tipico americano medio, ma qui, con pizzetto e cappellino da baseball quasi sempre calato sulla testa, mostra un lato inedito, riuscendo a donare la giusta complessità e umanità al suo Bill; accanto a lui, la forte e variegata presenza femminile che va dalla francese Cottin (nota fin qui soprattutto per la serie Chiami il mio agente!), la debuttante Lilou Siauvaud e la Breslin, ex bambina prodigio di Little miss sunshine.

Lungo ma senza perdere il piacere della visione, La ragazza di Stillwater quindi mescola, in modo non sempre fluido ma comunque interessante e originale, generi e tematiche passando dal thriller al dramma familiare per arrivare fin quasi alla tragedia: proprio per la sua ricchezza e complessità, non tutti gli elementi ricevono tempo e attenzione a sufficienza, ma il risultato è un film che sta fra il cinema d’autore americano e quello europeo, sorretto da valide interpretazioni e cura della messa in scena.

Valutazione di Matilde Capozio: 7 su 10
La Ragazza di Stillwater
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