La teoria del tutto
La teoria del tutto

La teoria del tutto, la recensione


Fresco vincitore di un Golden Globe, Eddie Redmayne regala un ritratto intimista e intenso dell'astrofisico Stephen Hawking, in un film commovente dalla regia classica ma non per questo meno solida. Ottima la colonna sonora.
Voto: 8/10

Presentato allo scorso festival di Torino, La teoria del tutto è l'ultimo film del regista britannico James Marsh, che decide di portare sul grande schermo la vita dell'astro-fisico Stephen Hawking, divenuto famoso per le sue teorizzazioni, in particolare per quelle inerenti i buchi neri, vero e proprio mistero del nostro universo. Ad interpretare l'illustre genio, affetto da una sindrome degenerativa neuromotoria, c'è Eddie Redmayne, lanciato al grande pubblico grazie alla sua bella prova nei panni di Marius Pontmercy ne Les Miserables, e già pronto a tornare nei cinema con Jupiter Ascending, l'attesissimo nuovo lavoro dei fratelli Wachowski.

L'anno è il 1963 e Eddie Redmayne – fresco vincitore di un Golden Globe come miglior attore in un film drammatico – sparisce dietro gli spessi occhiali di Stephen Hawking, un giovane genio, dottorando a Cambridge, fissato con l'idea di poter risolvere i misteri dell'universo con una sola equazione. Logico e razionale, agnostico per mancanza di elementi, Stephen conosce ben presto Jane (Felicity Jones), una giovane studiosa di lettere, profondamente credente e seguace della Chiesa d'Inghilterra. Dopo aver scelto il soggetto della sua tesi con il suo docente referente (David Thewlis, il Lupin della saga di Harry Potter), tuttavia, Stephen scopre di essere affetto dalla sindrome di Lou Gehrig: lentamente i suoi muscoli smetteranno di funzionare e anche le azioni più semplici – come camminare o anche solo deglutire – diventeranno impossibili. Al giovane studioso vengono diagnosticati due anni di vita. Contro ogni aspettativa, però, Stephen sopravvive ben oltre la "data di scadenza" e riuscirà, grazie all'aiuto della sua amata Jane, di amici fedeli (che hanno il volto di Harry Llyod di Game of Thrones e di Charlie Cox di Boardwalk Empire) e della sua naturale voglia di vivere, a cambiare il mondo della scienza odierna.

La teoria del tutto è un film biografico dall'impianto incredibilmente classico, che però si fa forte di una regia compatta e solida, che non si nasconde mai dietro una costruzione scenica fortemente stereotipata, ma che invece riesce ad emergere sempre con un guizzo di vita. Una sorta di ottimismo di fondo serpeggia per tutta la diegesi, aiutata dal sorriso improvviso di Eddie Redmayne, o dei suoi occhi chiari raramente velati; una voglia di vita che James Marsh sottolinea con l'utilizzo di una fotografia calda e avvolgente, con luci ampie e dolci, che sembrano non voler permettere all'ombra di avere la meglio. In questo contesto narrativo, inoltre, il regista insiste sui gesti di una quotidianità spezzata, ma mai per questo rinnegata: mettersi un maglione, in una scena che avrebbe potuto risultare al limite dell'umiliazione, nasconde in effetti l'epifania per raggiungere un livello successivo. Questo non vuol dire che il regista – in qualche modo – sottovaluti l'inferno nel quale l'uomo è costretto a vivere. Quando lo Stephen di celluloide cede alla disperazione lo spettatore si scioglie e continuare a seguire il racconto sembra una sorta di tortura psicologica. Ma c'è vita in ogni angolo della pellicola, in ogni promessa o paura. C'è una vita che non si vuol mai piegare, che non smette mai di cercare di elevarsi oltre il dolore e i limiti dell'umanità. Una vita che si  basa su valori positivi, su tutti l'amore. E proprio a questo discorso si lega il bellissimo lavoro fatto con il personaggio di Jane, interpretato molto bene da Felicity Jones. Il suo personaggio non viene mai lasciato ai margini, mai ridotto ad una semplice moglie che si annulla o che, peggio, getta la spugna quando le cose si fanno davvero complicate. Jane è una donna che ama e che si "sacrifica" quasi senza accorgersene. Allo stesso tempo però è una donna che non rinuncia mai a se stessa, profondamente fedele alla sua idea di lealtà e di felicità.

Naturalmente, però, La teoria del tutto perderebbe gran parte del suo charme se non fosse sorretto dalle incredibili, smisurate doti istrioniche del suo protagonista. Eddie Redmayne, classe 1982, è davvero l'anima e lo scheletro della pellicola. L'attore britannico riesce, infatti, a calarsi alla perfezione nel ruolo del fisico, costringendo il suo corpo a pose innaturali, senza però mai dare l'impressione che si stia sforzando o che stia mettendo in scena qualcosa di diverso dalla realtà. Il suo Stephen Hawking è concreto, compatto, tangibile. Il ritratto che emerge è una pennellata guizzante di intimità e coraggio, sorretto da un sorriso che non viene mai meno, anche nell'ora più oscura.Oltre all'immenso lavoro svolto sulla propria fisicità – riscritta, rimodellata, cambiata completamente – Redmayne ha fatto molta attenzione anche alla modulazione della voce, alle diverse tonalità da assumere man mano che la malattia avanzava intrepida. E anche in questo caso il risultato è stupefacente: Eddie Redmayne finisce con l'essere in tutto e per tutto l'arma vincente di un film commovente, che sarebbe stato depauperato se avesse dovuto rinunciare ad un interprete di tale statura ormai lanciatissimo (meritatamente!) verso il premio Oscar.

Valutazione di Erika Pomella: 8 su 10
La teoria del tutto
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