Nido di vipere
Nido di vipere

Nido di vipere, recensione del noir coreano


Un intreccio di personaggi e situazioni che ruotano intorno a una misteriosa borsa piena di soldi, che potrebbe cambiare la vita a tutti quelli che vi entrano in contatto, per un noir che mescola ironia e violenza.
Voto: 7/10

Arriva infine anche nelle sale italiane il noir sudcoreano Nido di vipere, le cui riprese si sono svolte addirittura nel 2018, e che da un paio d'anni viene proiettato in diverse rassegne internazionali (tra cui, da noi, l'Udine Far East Film Festival).

La storia inizia con l'inserviente di una sauna che, facendo le pulizie, trova una borsa apparentemente abbandonata in uno degli armadietti, la apre e, con suo enorme stupore, scopre che è piena di soldi; per l'uomo, afflitto da problemi economici, con una madre anziana e malata in casa che sta diventando sempre più difficile da accudire, quell'immensa quantità di denaro rappresenta naturalmente una bella tentazione: sul momento si limita a nasconderla nel magazzino della sauna, cercando di fugare ogni possibile sospetto sul ritrovamento. Come e perché la borsa sia arrivata in quell'armadietto si verrà a scoprire attraverso le vicende di una serie di personaggi che vanno a dipanarsi sullo schermo, sovrapponendo e intrecciando diversi piani temporali.

Il film (noto anche con il titolo internazionale di Beasts clawing at straws, letteralmente "bestie che artigliano la paglia") segna il debutto alla regia di Kim Yong-hoon, autore anche della sceneggiatura tratta da un romanzo del giallista giapponese Keisuke Sone.

Sicuramente il trionfo a livello mondiale di un film come Parasite ha contribuito a rilanciare l'interesse verso la cinematografia coreana di genere (per non parlare dei record di visualizzazioni ottenuti da Squid Game) ma i riferimenti per Nido di vipere sono anche ad alcuni cineasti occidentali, su tutti Tarantino e i fratelli Coen; da questa premessa si può dunque intuire che non ci troviamo di fronte a un'opera che punti sull'innovazione o sullo stravolgimento dei canoni narrativi, ma che proprio per questo porta sullo schermo elementi che sono spesso garanzia di intrattenimento crudo ma con l'ironia di un linguaggio sopra le righe radicato, però, in un contesto realistico.

È infatti una storia popolata da gangster, dark ladies, debiti di gioco e persone in mano agli strozzini, night club e poliziotti sospettosi, pistole e coltelli, in cui troviamo personaggi a volte troppo ingenui e fiduciosi e individui scaltri e disonesti, con l'avidità che spesso fa da motore a tutto, l'irresistibile tentazione di superare il limite pur di ottenere qualcosa in più, poco importa se in modo amorale, ma non bisogna mai fare i conti senza il peso del caso e delle coincidenze.
Gli interpreti sono per noi ancora pressoché sconosciuti (ad eccezione forse, in un ruolo minore, di Youn Yuh-jung, premio Oscar per Minari) ma è essenzialmente sui loro volti e i loro corpi che poggia il procedere della trama, più che su dialoghi particolarmente ricchi e complessi o su orpelli registici elaborati.

Questa commedia nera dai toni pulp che mescola azione e suspense, dalla struttura circolare scandita in sei capitoli, segue quindi una formula ben collaudata, e anche per questo non stupirebbe, in un prossimo futuro, di vederne anche qualche remake straniero.

Valutazione di Matilde Capozio: 7 su 10
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