Processo a Pinocchio
Processo a Pinocchio

Processo a Pinocchio: la psico-commedia noir al Teatro Sistina


'Processo a Pinocchio' è uno spettacolo fatto con quattro puff ma con tanto cuore. E il cuore si sente, sempre. Il cuore di chi spera, lotta, ama. Il cuore di uno spettacolo che vola via come quelle vecchie favole della buonanotte, come quel c'era una volta che conduce via lo spettatore
Voto: 9/10

C'era una volta è la frase più conosciuta al mondo, la forma narrativa con la quale migliaia di bambini si sono lasciati cullare verso il sonno, seguendo la melodia sinuosa di una favola. C'era una volta è l'inizio preciso di ogni storia che si rispetti ed è l'assioma con cui inizia anche Processo a Pinocchio, prima psico-commedia noir a carattere musicale che è arrivata a Roma, al Teatro Sistina, per un'unica data eccezionale. Perchè chi era Pinocchio se non il protagonista di una favola? Un burattino con una coscienza altalenante, che non sapeva discernere la realtà dalla finzione. Un problema simile a quello di Pino (Cristian Ruiz) che si trova nella sala del suo psicoterapeuta, il Dottor Grillo (Luca Giacomelli Ferrarini). C'è solo un piccolo problema: il Dottor Grillo è morto e Pino stringe tra le mani un martello, presumibilmente l'arma del delitto. Tutto lascia presagire che sia stato proprio il "paziente" a commettere l'omicidio, ma Pino si dichiara innocente davanti al suo uditorio, che è composto da sua madre (Valentina Arena), l'amante cleptomane (Elena Nieri), l'amante gay ossessionato col gioco d'azzardo (Brian Boccuni) e la moglie (Debora Boccuni) con una sindrome che somiglia pericolosamente a quella di Turette.

Sono sei personaggi, sei personaggi di pirandelliana memoria che non vanno alla ricerca di un autore, ma di un assassino. Sei personaggi con le loro manie, le loro convinzioni, i loro vizi, ma soprattutto con una loro voce, che intervengono di continuo sui ricordi di Pino, sulle sue debolezze e le sue mancanze. Lo spettatore, allora, guidato dalla regia di Andrea Palotto, si trova a muoversi tra le bolle di una realtà in continuo mutamento, che non ha confini e non ha barriere; una realtà fatta di ricordi falsati, di bugie sussurrate e di menzogne declamate con l'arroganza di un dogma. Ogni personaggio ha qualcosa da dire, ma soprattutto sembra avere qualcosa da nascondere. Primo tra tutti il Pino di Cristian Ruiz, che ride, salta e canta con la leggerezza di un adolescente, che finge di aver orecchie da mercante quando qualcuno – in particolar modo la madre – cerca di metterlo davanti ai suoi difetti. Che svia il discorso quando la "vittima" cerca di farlo ragionare, di ricondurlo sulla difficile strada della memoria.

Andare più a fondo nella trama di Processo a Pinocchio sarebbe ingiusto da parte nostra, perchè lo spettacolo – che si avvale anche della bravura al pianoforte di Federico Zylka e dei musicisti Andrea Scordia e Tiziano Cofanelli – è soprattutto un'avventura inaspettata, un twist continuo, una corsa forsennata sulle proverbiali montagne russe delle emozioni. Una sorpresa. E' uno spettacolo che odora così tanto di originalità da lasciare basiti, che colpisce proprio per il suo essere unico. A volte le parole sfuggono anche al miglior critico davanti ad un'opera così giovane, ma così intensa, in grado di affrontare tante tematiche insieme, senza vestirsi dei panni scomodi di educanda. Perché Processo a Pinocchio parla di tante cose: parla d'amore, naturalmente, ma parla di debolezze, dei vizi dell'italiano medio, delle paure che attanagliano l'animo umano. Parla di persone fuori dagli schemi, di scappatoie vili che vengono usate per scappare davanti ai problemi. Parla di morte e di speranza, parla di violenza e di sesso. Processo a Pinocchio racchiude nel suo microcosmo l'esperienza totale della vita, con i suoi lati pù leggeri, ma anche con quelle zone d'ombra in grado di togliere il fiato e il sonno.

Il tutto accompagnato dalle ottime musiche di Marco Spatuzzi, sulle quali gli artisti si muovono a proprio agio, riempiendo il teatro con le loro note, trasportando il pubblico in quella dimensione di mezzo dove tutto è vero e niente è reale. In particolar modo vi sfidiamo quasi a rimanere indifferenti davanti al brano E' tutto qui che, a due giorni dalla rappresentazione, è ancora qui a sussurrare dalle parti più recondite della nostra anima. Perchè Processo a Pinocchio non è affatto uno spettacolo destinato ai fuochi pirotecnici di una sola serata; non è l'evanescente bellezza di una stella cadente. E' piuttosto una riflessione continua, condita con risate improvvisate e sempre intelligenti; è un pugno nello stomaco che trasforma la risata in una smorfia di dolore. E' uno spettacolo comico, ma è anche la smorfia cinica di un mondo che sembra impazzito e che non sa più dove cercare le proprie certezze.

Come ha detto lo stesso Cristian Ruiz a fine spettacolo Processo a Pinocchio è uno spettacolo fatto con quattro puff ma con tanto cuore. E il cuore si sente, sempre. Il cuore di chi spera, lotta, ama. Il cuore di uno spettacolo che vola via come quelle vecchie favole della buonanotte, come quel c'era una volta che conduce via lo spettatore, in una fiaba e in un racconto del terrore. Uno spettacolo da applausi a scena aperta, che giustifica tutto, compreso il ritardo di circa quarantacinque minuti. Ma ne è valsa la pena; fidatevi, ne varrà sempre la pena.

Valutazione di Erika Pomella: 9 su 10
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