Cloud Atlas
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Recensione Cloud Atlas di Tykwer, Andy e Wachowski


Recensione del film Cloud Atlas - L'atlante delle nuvole di Tom Tykwer, Andy e Lana Wachowski: immagini dal forte impatto visivo con la tecnologia che diventa anche mezzo di meraviglia, di continua sorpresa.
Voto: 8/10

“Quante vite viviamo? Quante volte si muore?” Con queste parole iniziava il monologo che avrebbe messo fine alla splendida pellicola 21 grammi. Ora queste stesse parole risultano utili per cercare di dare un senso a Cloud Atlas – L’atlante delle nuvoleil nuovo film di Tom TykwerAndy e Lana WachowskiTratta dal grandioso romanzo omonimo di David Mitchell, la pellicola incentra tutta la sua forza narrativa sull’idea che ogni vita sia inestricabilmente legata a quella delle persone che la circondano e che i concetti di tempo e spazio non sono altro che confini mentali che, in realtà, non esistono. Alla consequenzialità i tre registi sostituiscono un lento e continuo divenire, che non ha inizio e non ha fine; un mondo atemporale in cui potersi incontrare ancora, e ancora, e ancora.  Da qui l’idea – che manca totalmente nel libro – di far interpretare ad ogni attore più personaggi, come a voler sottolineare che la morte non è la fine, ma, come dirà il personaggio di Sonmi, solo una nuova porta che si apre. 

Difficile cercare di riassumere la trama di un progetto tanto ambizioso, costruito su uno schema a mosaico che avvicina e attorciglia sei storie diverse dispiegate lungo altrettante epoche. Si inizia nel 1839, sulle coste di una delle tante isole del pacifico, dove Adam Ewing (Jim Sturgess), rampollo d’alta società giunto sull’isola per sancire un contratto, è diviso tra la difesa di uno schiavo (David Gyasi) e le sottili macchinazioni del dottor Goose (Tom Hanks). Il secondo salto temporale ci porta in Gran Bretagna, ai primi del Novecento, dove il musicista Robert Frobischer (Ben Whishaw, la star della miniserie BBC The Hour) è costretto a scappare da Cambridge e dal suo amore Sixsmith (James D’Arcy) verso Edimburgo, dove diventerà il copista di un famoso e invecchiato compositore. California, 1972: la giornalista Luisa Ray (Halle Berry) viene spinta dall’anziano scienzato Sixsmith a indagare sulla nuova centrale nucleare. Nel 2012 l’editore Timothy Cavendish (Jim Broadbent), a seguito di un omicidio, vede maturare il suo credito grazie alla vendita del libro del suo clinte, l’assassino ormai in prigione. Tuttavia le minacce dei fratelli dell’uomo, spinti dall’avidità, costringono Cavendish a chiedere aiuto al fratello (Hugh Grant) che, per vendicarsi di un adulterio, fa rinchiudere Timothy in una casa di riposo, capeggiata dalla dispotica infermiera Noakes (Hugo Weaving) E’ il 2144 e nella New-Seoul un artificio (una sorta di androide evoluto) viene interrogato da un archivista: Sonmi (Bae Doona) racconta così del suo lavoro al fast-food papa-song, della sua fuga e della sua storia d’amore con il ribelle Hae-Joo-Im (di nuovo, Jim Sturgess). Alla fine ci troviamo nelle Hawaii post-apocalittiche, dove l’umanità si è involuta in una popolazione rurare e dal linguaggio stentato. Qui vive Zachry (Hanks), un vigliacco pastore che si ravvede quando incontra Meronym (Barry), membro della popolazione dei “prescenti” (uomini tecnologicamente avanzati) che è alla ricerca di un modo per scappare da un mondo che la sta uccidendo. 

Cos’è Cloud Atlas? Come si potrebbe definire uno sforzo narrativo che, se da una parte mira a sottolineare come ogni essere umano sia collegato agli altri, dall’altro ha l’ambizione di voler ripercorrere la storia dell’umanità in generale, soffermandosi sulla sua natura altalenante, fatta di picchi aulici e ricadute rovinose? Tutto questo viene messo in scena dall’uso sapiente della macchina da presa da parte dei tre registi, che con pennellate forti e sicure, dipingono un mondo frammentato, quasi caotico nel suo continuo rimandare a qualcos’altro e a qualcun altro. Eppure, nonostante alcune palpabili lacune nella sceneggiatura, che rallentano la ricezione per chi non ha avuto la fortuna di perdersi tra le pagine del romanzo, la fruibilità dell’evento filmico rimane imperturbata, permettendo allo spettatore più attento di seguire l’evolversi delle storie, senza necessariamente smarrirsi in qualche strappo temporale. Ecco allora che i vari personaggi si seguono e si cercano durante tutta la durata del film: tre ore che si avvertono appena, che sbiadiscono mansuete dietro il grande impianto diegetico. Nell’abilità a raccontare i registi trovano anche il modo di presentare al grande pubblico immagini dal forte impatto visivo, come ad esempio in tutte le scene riguardanti la nuova Seoul, con la tecnologia che diventa anche mezzo di meraviglia, di continua sorpresa: una reinvenzione che si tende fino allo spasmo e che per un attimo fa desiderare di essere lì. Molto bella anche tutta la scena finale del rapporto tra Robert e Sixsmith, in un addio che scuote le corde più intime dell’emozione, una sorta di ultimo walzer alla presenza del sole morente. 

Quanto a struttura e tematica Cloud Atlas è molto diverso dal libro da cui prende origine: ci sono personaggi che sono stati tagliati completamente dal racconto, situazioni che sono state completamente ribaltate e aggiunte del tutto ex novo. Eppure tutte queste modifiche non infastidiscono affatto il lettore più scafato, che ben felice si affaccia su un racconto dall’aria familiare che, al contempo, brilla della propria originalità.

L’adattamento di un romanzo può essere un disastro non per troppa infedeltà, ma anzi per troppa fedeltà: perché fare tutti quegli sforzi per produttore un audiolibro con le figure?

Con queste esatte parole, che arricchiscono la prefazione della nuova edizione del romanzo, l’autore David Mitchell si mostra dalla parte dei cineasti che, con il loro amore per il cinema e per le belle storie, riescono a confezionare un film che inneggia alla vita nel suo essere un eterno ritorno; una sorta di cerchio dorato che ci unisce tutti, nel bene e nel male. Tutto questo, unito alla divertentissima interpretazione di Hugo Weaving nella parte dell’infermiera Noakes, vale di certo il prezzo del biglietto. Imperdibile.

Valutazione di Erika Pomella: 8 su 10
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