Il Grande Gatsby
Il Grande Gatsby

Recensione: Il Grande Gatsby


Recensione del film Il Grande Gatsby di Baz Luhrmann con Leonardo DiCaprio: specchio dell'american dream, del giovane nato povero che, attraverso l'ossessione e il sogno lotta per raggiungere il suo obiettivo di cambiare la sua posizione sociale.
Voto: 7/10

In contemporanea alla sua presentazione al Festival del Cinema di Cannes, in cui è stato scelto come film d'apertura, arriva anche nelle nostre sale Il grande Gatsby, ultima fatica del regista australiano Baz Luhrmann.

Il film traspone al cinema, per la prima volta in 3D, il celeberrimo romanzo omonimo di F. Scott Fitzgerald, che conta già alcune precedenti incarnazioni, la prima in un film muto del 1926, seguita da una pellicola del 1949, e quella che forse fino ad oggi è la versione più nota, il film del 1974 che vedeva protagonista Robert Redford.

Ambientata nel 1922, la storia narra le vicende successive al trasferimento a New York del giovane Nick Carraway (Tobey Maguire). Arrivato dal Midwest nella grande città in cui vive anche sua cugina, Daisy Buchanan (Carey Mulligan) insieme al marito Tom (Joel Edgerton), Nick si ritrova ad avere come vicino di casa un misterioso personaggio di nome Jay Gatsby (Leonardo DiCaprio), ricco proprietario di una lussuosa villa in cui si organizzano feste sfrenate. Dopo essere entrato in confidenza con Gatsby e aver scoperto la vera ragione del suo stile di vita, Nick si ritrova coinvolto nel suo mondo e in una serie di vicende, di cui è testimone, oltre che narratore in prima persona.

Un grande romanzo americano, che coniuga una storia di passione, scandali, morte, amore e tragedia, con la descrizione di un'epoca, i ruggenti anni '20 del boom economico, prima della Grande Depressione e del crollo dell'economia: materia congeniale al cinema di Baz Luhrmann, che, come già fatto nei suoi precedenti lavori, su tutti Moulin Rouge e Romeo+Giulietta, ama raccontare personaggi mossi da pulsioni e sentimenti forti e complessi, sullo sfondo di un contesto vivo e pulsante, che non fa solo da cornice, ma riflette e influenza i comportamenti delle persone.

Quella di Jay Gatsby è la parabola, specchio dell'american dream, del giovane nato povero che, attraverso la sua incrollabile speranza, l'ossessione e il sogno, velato però da un lato oscuro, lotta per raggiungere il suo obiettivo, accumulando ricchezze nel tentativo di cambiare la sua posizione sociale, riuscendo a costruirsi un mondo ricco ma vuoto al suo interno, di cui è egli stesso vittima; e qui il regista, e il suo abituale collaboratore, lo sceneggiatore Craig Pearce, vanno a tracciare un parallelo con l'attualità, il crollo della morale che porta alla crisi finanziaria, il lusso sfrenato che nasconde corruzione, un senso di smarrimento che, però, non esclude la fiducia, la voglia di migliorarsi.

Come sempre nei film di Baz Luhrmann, una cura maniacale è riservata al reparto tecnico, dai raffinatissimi, sfarzosi, scintillanti costumi (creati dalla moglie del regista, Catherine Martin), alle scenografie: le strade di New York, in cui si contrappongono colore, sfarzo, vitalità e il grigiore delle polverose discariche in cui si accumulano i rifiuti di quella stessa ricchezza; le gigantesche e lussuose abitazioni, il castello gotico di aspetto disneyano abitato dal sognatore Gatsby, e l'aristocratica casa Buchanan, che fa sfoggio di quello status sociale orgogliosamente difeso.

Alla sua fastosa, caotica, dinamica messinscena stavolta Luhrmann aggiunge il 3D, che oltre ad esaltare al massimo l'apparato scenico e a magnificare i veloci movimenti di macchina, dà profondità ad un allestimento che in molte scene è di tipo teatrale, portando in primo piano i personaggi e la loro lotta con emozioni forti.

Un'altra caratteristica tipica del regista australiano è l'attenzione fondamentale alla colonna sonora, che anche qui miscela sonorità vecchie e nuove, in una visione altamente pop della musica come riflesso dei nostri tempi: tra gli artisti presenti nella colonna musicale compaiono infatti nomi come Lana del Rey, Florence and The Machine, Jay-Z, Gotye, Sia e altri ancora. Se nel romanzo di Fitzgerald si parlava del jazz come espressione della modernità e della cultura del periodo, nel film si utilizza l'hip hop, oltre al jazz tradizionale e altri stili contemporanei, non mancando di ri-arrangiare alcuni classici della musica moderna, come brani di U2, Beyoncè, Amy Winehouse, abilmente rivisitati da Bryan Ferry con la sua Orchestra, oltre allo score di Craig Armstrong.

Molto bravo Leonardo Di Caprio ad incarnare Jay Gatsby, di cui riesce ad esprimere le emozioni più sottili, e quella duplicità fra innocenza romantica e ossessione cieca. Azzeccati anche gli altri interpreti maschili, Tobey Maguire nel ruolo dello spaesato Nick Carraway e Joel Edgerton, il ricco e bigotto Tom Buchanan; meno a suo agio Carey Mulligan nel ruolo dell'oggetto del desiderio.

Anche con questa sua ultima opera Baz Luhrmann non mancherà di dividere il pubblico: i detrattori possono criticarne la messa in scena patinata, la grandiosità formale ed estetizzante che tende al melodramma, con toni forse eccessivamente epici, a rischio di scivolate in un sentimentalismo impacciato; ai suoi ammiratori offre la sua visione maestosa, ricca, raffinatissima nei dettagli, visionaria e moderna, spesso una vera e propria festa per gli occhi.

Valutazione di Matilde Capozio: 7 su 10
Il Grande Gatsby
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