Miele
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Recensione: Miele


Recensione del film Miele di Valeria Golino: film elegante nella forma e nei contenuti, coraggioso senza mai perdere un delicato equilibrio.
Voto: 8/10

Dopo una lunga e proficua carriera come attrice, sia in Italia che all'estero, Valeria Golino si mette in gioco come regista, con un esordio rischioso come Miele, coraggioso a partire dalla tematica che affronta: il film è infatti la storia di Irene, una ragazza sui trent'anni che ha scelto come "nome di lavoro" Miele: una parola dolce per lei, il cui compito è aiutare le persone a non soffrire più e ad andarsene in modo indolore. Irene infatti si occupa di fornire medicine letali ai malati gravi che hanno deciso consapevolmente di togliersi la vita. Il suo è un lavoro che la condanna ad avere una doppia vita, a mentire alle persone care, ad essere come un'ombra per i malati e per i loro familiari, a svolgere il proprio dovere e poi a scomparire per sempre. Un giorno però questo meccanismo si inceppa a causa dell'incontro con l'ingegner Grimaldi, un uomo che non riesce più ad apprezzare la vita. Questa conoscenza avrà un profondo effetto sulle vite di entrambi.

Miele mette in scena un tema controverso, che non manca mai di scatenare polemiche, come quello dell'eutanasia o meglio del suicidio assistito, ispirandosi liberamente al romanzo A nome tuo di Mauro Covacich, con diverse modifiche rispetto alla pagina scritta, specialmente nel finale.

Il film però rifiuta la presa di posizione dogmatica, non vuole dare giudizi, si limita a offrirci il punto di vista di Irene in arte Miele: una ragazza in apparenza come tante, la quale considera il suo mestiere come una missione, che svolge con l'unico obiettivo di aiutare chi soffre, rivendicando il diritto a decidere della propria vita e del proprio corpo; come è lei stessa a dichiarare, "tutte le persone che ho aiutato a morire volevano vivere. Tutte. Solo che quella non è vita". Lo sguardo della protagonista coincide con quello della regista nell'osservare i malati con compassione e distacco al tempo stesso, senza addentrarsi mai nelle pieghe morbose del dolore e della sofferenza, mantenendosi con pudore un passo indietro.

La neoregista dimostra di possedere uno stile scarno ed essenziale, che preferisce spogliare il film di tutti gli orpelli giocando molto con le luci e le ombre, a richiamare il contrasto tra vita e morte che permea tutta l'esistenza della protagonista. La solitudine di Miele si esprime nei lunghi silenzi di certe scene, nelle inquadrature degli spazi aperti e sconfinati come il mare in cui la ragazza si immerge. Perfetta l'interpretazione di Jasmine Trinca che recita con il volto e con il corpo, su cui carica ogni aspetto del proprio personaggio fatto di contraddizioni; è valido anche il resto del cast, in particolare l'ingegnere di Carlo Cecchi. Nota di plauso anche alle musiche, che spaziano dalla classica al pop accompagnando e suggerendo emozioni e stati d'animo dei protagonisti.

Un felice esordio, questo, per Valeria Golino, la quale riesce a realizzare un film elegante nella forma e nei contenuti, coraggioso senza mai perdere un delicato equilibrio.

Valutazione di Matilde Capozio: 8 su 10
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