Quartet
Quartet

Recensione Quartet di Dustin Hoffman


Recensione del film Quartet di Dustin Hoffman con Billy Connolly, Maggie Smith, Michael Gambon, Pauline Collins: un film intrinsecamente elegante; una diegesi che alla naturale raffinatezza della musica classica e delle opere liriche alterna i segni evidenti del tempo che passa.
Voto: 8/10

Beecham House, piccola dimora arroccata nel paesaggio della campagna inglese, non è una casa di riposo come le altre. Essa è, infatti, destinata a musicisti e cantanti che, tra le pareti della casa, ritrovano la nostalgia di vecchie note e vecchi fasti, lasciandosi accompagnare sul viale del tramonto da quella musica che ha caratterizzato la loro esistenza. Tra gli ospiti della casa ci sono Cecily “Cissy” Robson (Pauline Collins), Wilfred “Wilf” Bond (Billy Connolly) e infine il tenore Reginald “Reggie” Paget (Tom Courtenay). I tre sono tutti ex componenti di uno dei quartetti di musica lirica più famosi di tutta l’Inghilterra. Mentre Beecham House rischia di chiudere e i suoi ospiti cercano di salvarla organizzando un Gala per ottenere dei fondi, arriva Jean Horton (la sempre meravigliosa Maggie Smith), ultimo membro del quartetto che, all’apice della sua fama, aveva lasciato i suoi compagni per intraprendere una carriera da solista. I vecchi rancori tra i quattro, le speranze disilluse e il fervente impegno per salvare Beecham House faranno da sfondo ai belligeranti tentativi di ricreare un’atmosfera serena tra i membri del Quartetto.

Presentato allo scorso festival di Torino Quartet segna il debutto alla regia del divo internazionale Dustin HoffmanDopo aver lasciato la propria traccia indelebile negli annali della storia della cinematografia con interpretazioni che l’hanno reso indimenticabile, l’interprete de Il laureato tenta il colpaccio, confezionando un piccolo film delizioso sul lento scivolare della vita in quella zona misteriosa e spesso osteggiata che è la vecchiaia. Per farlo, Hoffman decide di non lasciarsi prendere la mano da facili pietismi, né da cupe riflessioni rassegnate e indolenti. Al contrario di quanto avviene, per esempio, in Amour di Haneke, che sembra voler mettere in scena l’umana difficoltà di accettare l’annientamento delle proprie esistenze, il mondo che mette in scena Hoffman tra le mura di Beecham House è un mondo che non si arrende, che vive a proprio agio con il tempo e che si intinge appena di nostalgia, senza però lasciarsi andare ai rimpianti più disperati.

Quartet è un film intrinsecamente elegante; una diegesi che alla naturale raffinatezza della musica classica e delle opere liriche alterna i segni evidenti del tempo che passa. Hoffman, che stordisce per la grazia di questa sua opera d’esordio, si sofferma sulla fragilità dei corpi in disfacimento, analizzando le rughe dei volti, quei segni marcati quasi a fuoco, simbolo degli anni che sono passati e che, nella migliore delle ipotesi, sono stati goduti. A questo si aggiunge anche la consapevolezza dei protagonisti della pellicola di sapere che gli anni migliori sono alle loro spalle: non più giorni da buttare in faccia al senso di immortalità tipico dell’essere umano, bensì attimi da costruirsi addosso e da custodire poi come il più grande dei tesori. La senilità che Quartet regala al pubblico è una senescenza orgogliosa e fiera, ancora consapevole di sè. Tutto questo è reso possibile dalla grazia interpretativa del cast. Se è vero che un regista-attore arriva, nella direzione artistica, laddove spesso un semplice regista non può tendere, allora Dustin Hoffman si è mostrato senza dubbio capace nel “manovrare” i corpi dei suoi attori, spingendoli ad una fusione quasi palpabile con i loro personaggi, tanto da creare un forte senso di verosimiglianza che porta ad una ricezione spettatoriale molto più emozionante. Buona la prima.

Valutazione di Erika Pomella: 8 su 10
Quartet
Impostazioni privacy