Shadowhunters – Città di ossa
Recensione del film Shadowhunters - Città di ossa basato sul libro The Mortal Instruments: City of Bones: il film non segue perfettamente la saga letteraria, con una sceneggiatura lacunosa e personaggi con diverso carattere.
di Erika Pomella / 22.08.2013 Voto: 5/10
Quando al cinema arriva una nuova saga dal sapore young adult è quasi automatico iniziare una recensione parlando di come produttori e major hollywoodiane cerchino in tutti i modi di riempire il vuoto lasciato da The Twilight Saga. La ferma determinazione a ricercare un prodotto filmico che potesse comportare lo stesso successo e gli stessi incassi della saga dei vampiri firmata da Stephenie Meyer ha portato molti critici a paragonare tra loro prodotti filmici che poco avevano in comune tra di loro, se non il fatto di essere tratti da libri – appunto young adult – e di riferirsi ad un target spettatoriale prevalentemente teen. Shadowhunters – Città di Ossa in questo caso non fa eccezione: primo capitolo tratto dalla splendida saga di Cassandra Clare (al momento sono stati pubblicati nove romanzi), il film miscela elementi di possibile impatto sul pubblico di riferimento, giocando con demoni, storie d'amore e misteri soprannaturali.
La storia è quella di Clarissa "Clary" Fairchild (Lily Collins), una giovane ragazza apparentemente normale, che passa il suo tempo divisa tra il miglior amico Simon (il sempre strepitoso Robert Sheehan di Misfits) e le ossessioni di sua madre Jocelyne (Lena Headey, la Cersei di Trono di Spade), che tenta di tappare le ali alla giovane figlia, essendo iper protettiva. Una sera, mentre è al misterioso locale chiamato Pandemonium Clary assiste all'uccisione di un bel ragazzo, per mano di tre misteriosi coetanei che per qualche ragione solo lei riesce a vedere. Quello sarà l'inizio di una discesa in un mondo sotterraneo, nascosto agli occhi degli umani (definiti Mondani), abitato da creature leggendarie come vampiri e lupi mannari. Quando misteriosamente Jocelyne viene rapita, lasciando dietro di sè solo il nome di un certo Valentine e di una mistica Coppa Mortale, Clary accetta l'aiuto dei tre sconosciuti, che nel frattempo hanno svelato alla ragazza di essere degli Shadowhunters, ossia cacciatori di demoni. Mentre le ricerche di Jocelyne vanno avanti, Clary stringe un rapporto sempre più stretto con Jace (Jamie Campbell Power, che ha lavorato sia nella saga di Twilight che in quella di Harry Potter), suscitando però la gelosia dell'amico di lui Alec (Kevin Zegers). Tra stregoni, città nascoste nel sottosuolo e lotte al limite dell'umana comprensione, Clary dovrà fare di tutto per trovare la coppa mortale, prima che lo faccia Valentine (Jonathan Rhys Meyer), la cui sete di potere potrebbe portare il mondo sull'orlo di uno sterminio di razza.
Portare sul grande schermo le atmosfere e le situazioni di un libro non è mai un'impresa facile: il rischio che si corre con più frequenza è quello di rivolgersi al solo pubblico di lettori accaniti, rendendo la ricezione più difficile per chi si avvicina alla storia per la prima volta. D'altra parte può accadere che, proprio per accontentare quel pubblico più "vergine", si decida di stravolgere il materiale di partenza, scatenando così le ire dei lettori/spettatori. Harald Zwart riesce nell'impresa di non rivolgersi a nessuno.
Shadowhunters è un film che fa inorridire i fans della saga letteraria e confonde i neofiti, a causa di una sceneggiatura piena di lacune, priva di spiegazioni e ricolma, al contrario, di informazioni che solo chi ha letto il libro può comprendere. A poco serve la splendida cornice newyorchese o la buona colonna sonora: la pellicola è come avvolta da un velo fatto di noia, battute banali e spesso fastidiose e, cosa assai più grave, una comicità grottesca involontaria. Momenti che dovrebbero essere pieni di pathos e riempiti di un tono epico si riducono a minime recitazioni che strizzano l'occhio al melodramma (inteso nel senso negativo del termine), con situazioni e scene (molto spesso inventate ex novo) che non fanno altro che nuocere all'impianto generale del racconto. Persino gli effetti speciali, che molto spesso spingono sul pedale dell'accelerazione, finiscono con il diventare kitch. Nonostante la bella fotografia e la resa dei colori che si riflette magnificamente sulla retina dello spettatore, il resto dell'operazione è da definirsi completamente fallimentare.
Dei grandi personaggi tracciati dalla penna di Cassandra Clare non rimane che un debole eco, fatta eccezione per i già citati Robert Sheehan e Kevin Zegers, oltre che per il personaggio di Magnus Bane, stregone capo di New York, interpretato da Godfrey Gao. Cosa ancora più grave vengono in qualche modo depauperati i due personaggi maschili portanti dell'intero racconto: da una parte Jace perde tutte le sue fragilità, la sua divertente arroganza e quindi, in qualche modo, le caratteristiche che lo rendevano tanto attraente su carta. Tuttavia, il vero sacrilegio è stato fatto nei confronti del villain Valentine: non solo Jonathan Rhys Meyer non corrisponde in alcun modo alla descrizione tracciata nei libri, ma la sensualità del personaggio, la sua ambiguità nell'oscillazione continua tra bene e male, si perdono in un lungo sproloquio confusionario. Non serve nemmeno fare paragoni con il libro per accorgersi che almeno la metà dei personaggi sembra priva di una propria anima, accontentandosi di essere una macchia incolore in un mare di stereotipi. Proprio come il film in sè.