Stardust
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Stardust, un David Bowie senza anima arriva alla Festa del Cinema di Roma


Alla Festa del Cinema di Roma arriva 'Stardust', un film che vorrebbe raccontare il percorso di un giovane David Bowie verso Ziggy Stardust e che si rivela una pellicola fiacca e noiosa
Voto: 5/10

Ci sono personaggi che, nel corso della loro carriera, sono riusciti a lasciare una traccia di sé nel firmamento della Storia, utilizzando solo la propria arte come lasciapassare verso l'immortalità. E non è affatto esagerato affermare che David Bowie non solo rientra in questa categoria, ma ne tratteggia anche alcuni lineamenti fondamentali. Bowie, che è stato cantante ed attore è diventato soprattutto una sorta di forma mentis, quasi un'icona religiosa davanti alla quale abbassare il capo o grazie alla quale trascendere la piatta quotidianità attraverso le melodie dei suoi brani immortali, che continuano ad essere attuali anche a distanza di anni. Anche a distanza di decenni. Ed è senz'altro vero che non deve essere facile avere a che fare con una creatura aliena, a tratti spigolosa, e cercare di trarne fuori un film. Ma è altresì corretto affermare che in Stardust, il film di Gabriel Range presentato alla 15a edizione della Festa del Cinema di Roma, non c'è stato nemmeno un tentativo di travalicare il mero (e sciatto) esercizio di stile, riducendo David Bowie ad una macchietta, l'ombra di se stesso, un artista imprigionato in una gabbia narrativa comune a tutti i biopic mediocri.

La trama di Stardust prende il via nel 1971, quando un giovanissimo David Bowie (interpretato dal Johnny Flynn visto recentemente in Emma) si reca negli Stati Uniti d'America per promuovere il suo terzo album, The Man who sold the world, ad una popolazione che sembra sorda alla sua musica. È un David Bowie ancora in divenire, un personaggio intrappolato tra il David Johns del passato e quello che poi diventerà Ziggy Stardust. Un uomo che cerca se stesso mentre tenta di tenere insieme i frammenti di una personalità quasi schizofrenica mentre viaggia da un capo all'altro di una terra altrettanto frammentata, altrettanto colma di angoli e spigoli. Un'America che sembra rispecchiarsi alla perfezione nelle parole di Neil Gaiman nel libro Questa non è la mia faccia: "Da una parte ci sei tu e dall'altra c'è l'America. È più grande di te. E così cerchi di capirci qualcosa. Di risolverla, come un problema, ma lei resiste."

Un merito, però, va riconosciuto a Stardust. Inizia, infatti, con un cartello esplicativo in cui viene sottolineato come quello che si vede sul grande schermo è per la maggior parte… falso. Un vero e proprio mettere le mani avanti, uno "scusarsi" a prescindere davanti i moltissimi fan di Bowie che possono vedere il film senza andare alla ricerca spasmodica di inessattezze che sono state denunciate immediatamente. Una mossa del genere, tuttavia, avrebbe senso qualora servisse a sviare l'attenzione dalla ricerca storica per far sì che lo spettatore si concentri sul lato più prettamente emotivo. Ma in Stardust non c'è nemmeno questo. La pellicola è vuota, piatta, un'accozzaglia di scene che sembrano sempre più teatrini fatti non per ridere ma per smuovere forzatamente un'emotività nel pubblico che invece rimane sempre lontano, sempre distaccato per non dire infastidito da un film che sembra non avere niente da dire. Un reato gravissimo, dal momento che si poteva scavare a fondo, intorno a questo David Bowie che cerca risposte e cerca il proprio riflesso. Invece al centro del racconto c'è solo un bamboccio capriccioso e vigliacco, un essere monodimensionale che ripete sempre se stesso, in una narrazione decisamente troppo ridondante.

E cosa ancora peggiore e quasi del tutto imperdonabile è il fatto che a venir meno in un biopic su David Bowie e Ziggy Stardust è proprio la musica. Per chi non lo sapesse Duncan Jones – regista e figlio di David Bowie, che qui appare solo come presenza futura nella "pancia" dell'ex moglie di David Bowie Angie (interpretata da Jena Malone), apparso a mo' di colpo di scena tra un'inquadratura e un'altra – ha dichiarato che il film è stato realizzato senza il suo contribuito o quello della famiglia. Inoltre il progetto ha trovato così poco entusiasmo da parte di Jones che quest'ultimo ha vietato l'utilizzo delle canzoni del Duca Bianco. Così lo spettatore si trova davanti un film che vorrebbe raccontare la nascita di Ziggy Stardust senza poter suonare le note di Ziggy Stardust. Viene dunque meno qel momento catartico dei film biografici incentrati sui musicisti: quel momento in cui tutti i pezzi vanno al loro posto e lo spettatore può sentire risuonare nelle orecchie le note di un successo che già sapeva ma per il quale ha tifato durante la visione del film.

Stardust è dunque un film piatto, vanesio, che non porta niente alla figura di David Bowie e che invece sembra sminuirlo della sua dimensione iconica. Un film sbagliato sotto molti punti di vista, privo di ritmo e di qualsiasi possibilità di appeal.

Valutazione di Erika Pomella: 5 su 10
StardustFesta del Cinema di Roma 2020
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