The Atlas Paradox
The Atlas Paradox

The Atlas Paradox, recensione del libro di Olivie Blake


'The Atlas Paradox' è il secondo romanzo della trilogia di Olivie Blake iniziata con 'The Atlas Six', ma la lettura è monotona e noiosa
Voto: 5/10

Quando in libreria è uscito The Atlas Six, il libro di Olivie Blake era già un fenomeno. Uscito prima con self-publishing, questo fantasy dall’ambientazione dark academia aveva già fatto parlare molto di sé, raccogliendo intorno a sé una folla di lettori appassionati, che si sono fatti irretire dalla storia di sei personaggi che, quasi in cerca d’autore, venivano fatti entrare nella Società Alessandrina con la premessa che solo cinque di loro avrebbero potuto continuare il loro percorso di studi, mentre il sesto sarebbe stato eliminato. All’uscita di questo primo volume, però, il giudizio dei lettori si è diviso. Da una parte c’era chi è rimasto del tutto affascinato da questo mondo di biblioteche e digressioni, di poteri diversi e relazioni sempre pronte a cambiare, così come le varie alleanze. Altri, invece, hanno trovato il libro vuoto, un mero esercizio di stile che non aveva poi molto da dire. Ecco, The Atlas Paradox, il secondo volume della trilogia, risponde più a questa seconda critica. Il libro di Olivie Blake, edito sempre da Sperling & Kupfer per l’Italia, soffre infatti di quella che si potrebbe identificare come la sindrome del libro di mezzo. Si tratta infatti di un volume in cui il tempo, così come l’azione, è dilatata al massimo della sopportazione: la sensazione, infatti, è che l’autrice avrebbe dovuto optare per una dilogia invece che per una trilogia, visto che The Atlas Paradox appare davvero un libro vuoto, in cui la trama è ridotta all’osso.

The Atlas Six, copertina libro di Olivie Blake
The Atlas Six, copertina libro di Olivie Blake

Questo non vuol dire, naturalmente, che un libro, per funzionare, debba avere bisogno di sola azione. Anche The Atlas Six non era certo caratterizzato da un ritmo febbrile, anzi. Lo stile dell’opera è di quelli che invitano alla pazienza e alla riflessione, che si basa più sulla costruzione dei personaggi e sull’ambientazione, che sull’azione stessa. Eppure The Atlas Six funziona e funzionava perché c’era alla base un conflitto, qualcosa che serviva a far avanzare la storia. In definitiva, c’era una storia da raccontare. Il secondo libro, invece, è una lunga (lunghissima, a tratti) sequela di conversazioni e di scene pressoché inutili, che non hanno altro scopo se non quello di far avanzare il numero delle pagine. Altro problema, legato a questo, è il fatto che in The Atlas Paradox l’autrice procede soprattutto venendo meno a quel patto col lettore che si basa sullo show don’t tell. Olivie Blake racconta quello che succede, riempie le sue pagine di infodump che, oltretutto, spesso non servono a nulla nell’arco di questo libro. Basta leggere anche solo i primi capitoli per rendersene conto: quando tutti i personaggi sono costretti a vedere delle “proiezioni” mentali degli altri, mentre l’autrice approfitta di questa pausa per riempire il lettore di informazioni vuote, che non arricchiscono quasi mai la costruzione dei personaggi, e che dunque sono solo “elenchi” di informazioni che finiscono con il rallentare la lettura e indispettire chi legge. Gli stessi personaggi sembrano come cristallizzati nel tempo, incapaci di cambiare, di crescere, di evolvere, nel bene e nel male. In questo caso è emblematico il fatto che uno dei personaggi più amati del primo libro, Nico, in questo secondo volume appare quasi sempre mentre è intento a dormire. Si tratta, naturalmente, di un escamotage attraverso la quale l’autrice può utilizzare altri personaggi, ma il ritmo cade vittima di questa strategia narrativa, al punto che chi legge si trova annoiato ancor prima di entrare nella lettura e nel vivo della storia. Vivo che, come dicevamo poche righe più su, non c’è.

The Atlas Paradox di fatto è uno di quei romanzi che si possono definire anti-climax, proprio perché non punta mai davvero a una catarsi narrativa o a qualche svelamento: anche i colpi di scena si trascinano tra le pagine con una tale lentezza e senza alcun appeal che anche le svolte perdono la loro funzione, facendo sì che la lettura risulti piatta, monotona. Noiosa, appunto. Un altro problema è che questo secondo volume non è riuscito a mantenere né le premesse né le aspettative nate dopo il primo volume. The Atlas Six si concludeva con un paio di cliffangher molto interessanti, che avrebbero potuto portare a uno sviluppo davvero febbrile, di quelli che ti impediscono di posare il libro finché non arrivi al punto in cui scopri quello che sta accadendo. Ma di quegli eventi del primo libro The Atlas Paradox non sa ereditare la portata e il potenziale, tanto che vengono lasciati al margine come se fossero cose di poco conto, quando al contrario avrebbero dovuto essere le fondamenta su cui costruire lo sviluppo della storia. Cosa che, probabilmente, avverrà nel terzo romanzo di questa trilogia, rendendo ancora una volta The Atlas Paradox un libro tutto sommato inutile, che si fa apprezzare quasi esclusivamente per la bella scrittura di Olivie Blake, che rimane invariata.

Valutazione di Erika Pomella: 5 su 10
Impostazioni privacy