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Transformers – L’Ultimo Cavaliere, Recensione

In Transformers - L'Ultimo Cavaliere non mancano combattimenti tra robot giganti, adrenalina e caos d'azione ma il regista Michael Bay utilizza il disaster movie come espediente narrativo che inizia a stancare, e la durata eccessiva del film non aiuta.

Un vecchio proverbio recita: "scherzando, si dice la verità". Scherzando, quindi, possiamo immaginare esplosioni a profusione se Michael Bay avesse girato Titanic o tanti altri film che poco si prestano a questo tipo di estetica, come ci fanno notare parecchie GIF che girano tra i social ed internet. Potenzialmente, tutto sembra essere oggetto di azione, intesa come genere filmico tanto caro all'esplosivo regista californiano che con questo capitolo del franchising dei "Transformers" arriva al quinto complessivo ed al secondo del repentino reboot.

L'estetica di Bay è sempre la stessa e o si ama o si odia. L'immagine e soprattutto l'azione divorano tutto, non lasciando né spazio né respiro. Adrenalina e caos, nella miglior tradizione "Bayhem", come è stato soprannominato lo stile di Bay. Non c'è spazio per chiacchiere troppo lunghe e questo si denota sempre dalla banalità delle sceneggiature, scontate e davvero povere di contenuti. E per colmare questo vuoto, non c'è niente di meglio di combattimenti tra robot giganti sulla terra, tra una fuga e l'altra dal TRF, uno squadrone creato appositamente per contrastare i Transformers, messi al bando dopo l'ultima disastrosa battaglia tra Optimus Prime e Lockdown. Al fianco degli Autobot troviamo ancora Cade (Mark Wahlberg), che vive in clandestinità insieme ai fuggiaschi robot.

In "Transformes: L'ultimo guerriero" non c'è tempo nemmeno di mettersi seduti che già si è in battaglia. Non tra robot ma tra le armate inglesi di Re Artù ed i barbari. Un prologo che ha del surreale, se vogliamo, e che vuole donare un'aura quasi epica alla genesi dei Transformers. Un po' come se loro fossero l'origine di tutto e che tutto sia stato deciso da loro, come ci mostrerà successivamente un Antony Hopkins che dopo i panni di Odino, si veste in quelli di un nobile inglese protettore degli Autobot.

Ma qual è il fulcro della trama? Bay utilizza un'espediente narrativo trito e ritrito: il disaster movie. La Terra è ovviamente in pericolo e sta per essere fagocitata dal pianeta morente dei Transformers, Cybertron. E solamente un guerriero puro potrà salvarla dal temibile ed imminente attaco. Da qui in poi, le parole verrano sostituite dalle amabili esplosioni di Bay, unite da un montaggio schizofrenico e impazzito.

L'impatto visivo è tutto, la vera colonna portante di un film che presenta una trama tanto banale quanto scontata. A Bay questo non interessa e non è mai interessato. Anzi, qua sembra essere quasi volutamente fatto apposta, come quando ci vengono introdotti gli scagnozzi di Megatron, in una modalità analoga a "Bastardi Senza Gloria" di Tarantino. Perchè in fin dei conti, "Transformers: L'ultimo cavaliere" altro non è che un B movie con un alto budget, diviso in due parti nette come nei "Grindhouse" tanto cari al regista di "Kill Bill". L'unica differenza si trova nella durata, davvero eccessiva, soprattutto se visto in 3D. E forse è proprio questa la pecca principale del film. Non c'è un attimo di respiro, tutto è fin troppo vorticoso ed in un film così prolisso, la noia ma soprattutto il fastidio si fanno sentire. Senza contare che di dialoghi veri e propri ce ne sono ben pochi e sono anche scritti male.

Come detto prima, Bay o si ama o si odia. Lo stupore delle immagini, delle costruzioni che ricordano le megastruttre dell'architettura anni 50/60, vengono prima della coerenza narrativa e dei dialoghi. E se da un lato è vero che il cinema è un medium che comunica prevalentemente via immagini, dall'altro qui c'è un vero e proprio abuso.

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