La Casa
La Casa

Solo una Casa tra i Boschi


Il regista Fede Alvarez, lo scenografo Rob Gillies e Roger Murray parlano del remake La Casa.

La rivisitazione di Fede Alvarez di La Casa ha avuto come base alcuni elementi visivi iconici dell’originale ed ha amplificato il fattore paura con la miglior tecnologia a disposizione oggi. Il successo del suo piano era strettamente legato al coordinamento tra i vari dipartimenti, soprattutto dopo aver fatto una scelta insolita e impegnativa. Per restare fedele allo spirito del classico del 1981, Alvarez aveva deciso di usare soprattutto effetti reali, evitando il più possibile l’uso della CGI.

Tapert e Raimi hanno deciso di girare a Auckland, in Nuova Zelanda. “Volevamo dare a Fede tutto quello di cui aveva bisogno e abbiamo pensato che il posto migliore fosse la Nuova Zelanda”, dice Campbell. “Laggiù hanno delle troupe fantastiche, che lavorano molto seriamente”. La decisione ha permesso ai realizzatori di avere gli artigiani e gli operai specializzati con cui avevano lavorato per oltre un decennio. “Molta gente voleva lavorare a questo film perché aveva amato La Casa”, dice Tapert. “Hanno tutti più o meno la mia età e si divertono molto con il sangue, le budella e le situazioni che spaventano a morte. E’ stata un’esperienza incredibilmente positiva”.

La preparazione è iniziata con lo scenografo Rob Gillies, responsabile dell’ideazione del particolare look del film, che rende omaggio all’originale. “Fede aveva molto chiaro in mente cosa fare”, dice lo scenografo . “Noi abbiamo solo sostenuto la sua visione. Abbiamo iniziato a lavorare su una gamma ristretta di colori, lo sfondo resta lo stesso e le cose vengono aggiunte per attirare l’attenzione, per enfatizzare, volevamo che fosse il sangue a risaltare”.

Alvarez ha girato il meno possibile in teatro. “Volevamo una vera casa nel bosco”, dice. “Per gli attori è di grande aiuto essere in un luogo reale, vedersi circondati dagli alberi. Ci siamo impegnati in questo senso fin dall’inizio”.  Il regista, insieme a Young, Gillies e Tapert, ha fatto una serie di sopralluoghi nei boschi che circondano Auckland prima di trovare il posto giusto. “Era molto importante ricreare l’atmosfera del cottage di La Casa”, dice Young. “Abbiamo trovato una piccola radura, circondata dagli alberi, che aveva un aspetto abbastanza inquietante”.

Il cottage disegnato da Gillies ricorda in effetti il look dell’originale, con qualche aggiunta migliorativa. “Abbiamo inventato una storia per il cottage”, dice. “E’ stato costruito negli anni ’20. Il suo periodo migliore è stato forse negli anni ’50, poi non è mai stato ristrutturato. Mia e David ci andavano da piccoli con la madre e si sono divertiti durante quei giorni di vacanza. Ci sono ancora tracce di quegli anni felici, come le vecchie foto alle pareti”.

Per ottenere l’effetto che cercavano, il dipartimento ha costruito il cottage a partire da un disegno. “Dovevamo costruirne anche una copia per girare in teatro, perché la quantità di materiale prostetico rendeva più facile lavorare in studio”, dice Gillies. “La difficoltà per me è stata nel duplicarlo al momento della decadenza, quindi l’abbiamo smontato, portato via dalla radura e rimesso in piedi in teatro. Comunque la maggior parte delle riprese sono state fatte sul posto”.

La copia in teatro doveva essere abbastanza flessibile da permettere i movimenti di macchina progettati da Alvarez. “Il cottage è un set in due parti, il piano terra e il primo piano”, continua Gillies. “Sotto però c’è una cantina, si scendono alcuni scalini e si spalanca la porta sull’orrore: la stanza è piena di gatti morti, sembra di essere all’inferno ed è lì che viene trovato il Libro. In teatro la cantina era a livello del pavimento e le pareti erano smontabili per permettere il passaggio delle macchine da presa”.

Oltre al cottage, Gillies ha dovuto ricreare un altro elemento classico della serie: il Libro dei Morti. “E’ dal libro che si scatena tutto in “La Casa”, dice Tapert. “Inizialmente il primo film si intitolava appunto Il Libro dei Morti,  perché Sam aveva letto una storia che ne parlava. Ma l’agente che lo doveva vendere disse che era un titolo orribile, perché i libri non spaventano il pubblico. Ci diede tutta una serie di cattivi suggerimenti dello stesso livello e poi siamo stati d’accordo su The Evil Dead. Il resto è storia”.

Dopo aver fatto parecchie proposte per il libro, Gillies è arrivato a una versione abbastanza semplice. Dice lo scenografo:

“A parte che è rilegato in pelle umana e sigillato con filo spinato. Abbiamo deciso che già così incuteva paura. Ma dovevamo creare anche il contenuto, perché Eric ne sfoglia le pagine, così abbiamo deciso di farlo apparire come se nel XII secolo uno scrivano avesse aggiunto qualche annotazione, mentre nel XIV secolo qualcun altro avesse inserito note in un’altra lingua. Nel corso dei secoli è passato di mano in mano, è bizzarro, affascinante e Eric non sa resistere e lo legge”.

Alvarez ha sorpreso i realizzatori con la sua insistenza sugli effetti di macchina, convinto com’era che solo così avrebbe ottenuto l’autenticità e l’immediatezza che voleva per il film. “Questa è una storia semplice e viscerale”, dice il regista. “E’ incentrata su cinque persone che si ritrovano in un cottage e proprio perché è così semplice non ho voluto aggiungere CGI alla storia. Gli effetti riguardano elementi reali che vengono messi insieme per creare qualcosa di sorprendente”, continua. “Troppa CGI avrebbe solo distratto, io lavoro con la CGI in Uruguay e anche gli effetti migliori talvolta si notano”.

Quando la CGI non si poteva evitare, entrava in scena il supervisore degli effetti visivi George Ritchie. “E’ molto bello lavorare a qualcosa cui noi aggiungiamo valore, invece che cercare di creare tutto dall’inizio”, afferma Ritchie. “Non mi piace vedere immagini generate dal computer quando non è necessario. Attualmente si usano troppo, secondo me, io preferisco un tocco più leggero. E’ un vero privilegio riuscire a fare qualcosa che, se il mio lavoro è ben fatto, non verrà notato da nessuno”.

Dallo storyboard fino alle riprese, i realizzatori si sono sempre posti il problema di quanto poteva essere ripreso dal vero. Gran parte dei trucchi erano frutto della stretta collaborazione tra Roger Murray, il responsabile degli effetti del trucco che ha creato la complicate prostetica usata nel film, e il team del trucco, guidato da Jane O’Kane. Avendo lavorato a tanti progetti in cui la CGI veniva usata ampiamente, Tapert dice di aver apprezzato la differenza. “Quando teste e braccia vengono tagliate in CGI, c’è una certa bellezza melodrammatica. La CGI tende in sé a creare immagini ‘gradevoli’, mentre se qualcuno lentamente si taglia un braccio e il sangue schizza ovunque, la scena deve avere realismo, deve far sentire lo spettatore come se fosse lì”.

Tutti gli attori si sono sottoposti a lunghe sedute di trucco per trasformarsi in demoni. Per Natalie, il team ha creato cinque diverse braccia prostetiche che rappresentano gli stadi della sua degenerazione. “Le si taglia di netto un braccio”, dice Murray. “Quindi abbiamo iniziato con un braccio di silicone e affiancato l’attrice con una controfigura, così lei recita e la sua controfigura controlla il braccio infetto. Poi c’è il braccio che taglia davvero e un altro che è quello che cade a terra ed Elizabeth si è sottoposta a tutto questo”. Ma questo è niente se si pensa alla punizione che subisce Mia, il personaggio interpretato da Jane Levy. “Mia viene intrappolata da un rovo e ferita prima che la sua parte Deadite venga fuori”, dice Murray. “Noi abbiamo isolato otto diverse fasi in cui la possessione avanza, con circa  150 applicazioni che abbiamo messo insieme combinandole di volta in volta”.

Le ferite sono state il punto di partenza per il trucco di Mia, dice O’Kane:

“Quando la incontriamo per la prima volta è una eroinomane, quindi molto segnata e la vediamo peggiorare. Il silicone doveva essere preparato fresco ogni volta, quindi la squadra di Roger lavorava intensamente tutti i giorni. In genere Jane passava tre ore al trucco prima di mettersi le lenti a contatto e andare sul set. Poi avevamo bisogno almeno di un’ora per togliere il trucco, ma lei è sempre stata estremamente paziente. Non si era mai sottoposta a questo tipo di trucco, ma è molto professionale e le piaceva che la rendessimo orribile”.

Levy sostiene di ricordare molto poco di quello snervante processo: “Mi sedevo in poltrona e li lasciavo fare il loro lavoro”, dice. “Quando ero pronta, mi bagnavano, così sembravo sudata, e mi versavano addosso una caraffa di sangue. Ricordo quando mi hanno fatto il calco della testa, hanno preso quella sostanza appiccicosa che usa il dentista e me l’hanno applicata ben bene dappertutto, mi hanno avvolta nella cartapesta e l’hanno fatta asciugare prima di liberarmi, poi hanno fatto la stessa cosa con i denti, la lingua, il torace, le braccia e le gambe, in totale forse 12 ore”.

Bruce Campbell ricorda che la prima volta fu usato un procedimento leggermente diverso. “Facevamo il calco con gesso di Parigi”, dice. “Era piuttosto rozzo, tanto che abbiamo strappato le ciglia della protagonista. Infatti, per togliere il calco, l’attrice doveva sporgersi in avanti e lasciare che la gravità lo facesse scivolare via dalla faccia, ma le ciglia erano rimaste imprigionate nel gesso”.

Questa volta però anche i costumi sono stati accuratamente coordinati con gli effetti. “Abbiamo lavorato a stretto contatto con il dipartimento della prostetica e con quello degli effetti speciali”, dice la costumista Sarah Voon. “I costumi sono stati adattati per permettere l’inserimento dei cavi, alcuni hanno il dorso estensibile, altri hanno degli elementi inseriti dentro. Certo non si può inserire molto sotto una sottoveste, ma rimarreste sorpresi dal sapere quanto si può nascondere con bendaggi color carne. Anche il sangue nasconde parecchio”.

Alvarez ha incaricato Voon di creare costumi senza tempo, che fossero tipicamente americani. Con questa idea in mente, Voon ha preparato un look vintage per Mia.

Definire La Casa uno dei film che gronda più sangue della storia del cinema non è una semplice iperbole, secondo il supervisore degli effetti speciali fisici e meccanici Jason Durey. Durey dice che la richiesta più frequente del regista al team degli effetti speciali era “Ancora, ancora, ne voglio di più, lo voglio più grande. Fede ha portato un nuovo elemento alle nostre riprese, chiedendo sempre di più , anche quello che noi non sapevamo bene come ottenere. Sicuramente ha reso interessante il mio lavoro, chiedeva sempre altro fumo o altro sangue e noi ci siamo impegnati al massimo”. E questo era esattamente quello che Alvarez cercava.

La Casa era un progetto con budget limitatissimo, con una tecnologia approssimativa per tenere i costi più bassi possibile, mentre questa volta i realizzatori avevano più disponibilità economiche. Forse il cambiamento più grande nel look complessivo del film riguarda le luci. “Nel primo La Casa, sapevamo che sarebbe passato nei drive-in”, dice Tapert. “In un drive-in ci sono molte più luci rispetto a un cinema normale, quindi abbiamo cercato di girare dando più illuminazione, così il pubblico avrebbe potuto vedere meglio l’immagine sullo schermo. Fede ha avuto un approccio più artistico e il film ha un look cupo e misterioso”.

Alvarez si è allontanato anche dalla tradizione girando molte scene con la luce del sole. “Non è frequente vedere film dell’orrore girati di giorno”, dice. “Ma la nostra macchina da presa era davvero all’avanguardia e il look del film è fantastico. Sapevo che, per molte scene, la scelta più ovvia sarebbe stata girare di notte, ma abbiamo trovato tutta una gamma di possibilità durante il giorno che avrebbero reso l’atmosfera ancora più paurosa, perché si può vedere cosa c’è nella foresta, tra gli alberi”.

Il direttore della fotografia Aaron Morton definisce il look complessivo del film “naturale“. Per Morton l’aspetto più complesso della produzione è stato trovare l’equilibrio giusto tra l’oscurità e la luce. “Anche quando è scuro, devi vedere delle sagome, le ragazze devono apparire belle e i ragazzi duri. Noi abbiamo usato la nuovissima Sony F65, una macchina da presa fantastica che, insieme alle nostre Arri Master Prime Lens, ci ha dato un’immagine molto naturale, come quella della pellicola, è il massimo della tecnologia digitale di oggi”.

La fotografia ha reso omaggio al primo film con un momento che inquadra la Forza del Male che insegue Mia nel bosco. “E’ una sequenza del film originale”, dice Morton. “Allora fissarono una macchina da presa a una tavola di legno e c’era una persona a ogni lato che la trasportava correndo. Noi abbiamo voluto aggiunge un ulteriore effetto, quando il Male insegue Mia, in pratica sono io che appeso a una sorta di teleferica, volo verso di lei”.

Anche il montaggio ha avuto un ruolo fondamentale per creare l’intensità e il ritmo con cui è raccontata la storia. “L’originale aveva un tono un po’ punk”, dice il montatore Bryan Shaw. “Erano i primi anni ’80 e noi abbiamo cercato di ricreare quell’aspetto, come Fede aveva già puntualizzato nella sceneggiatura. A volte leggo delle sceneggiature e spero che lascino perdere tre o quattro scene, ma con Fede no, lui sa bene come costruire la paura passo dopo passo e quanto a lungo sospendere l’attimo”.

Anche se per i realizzatori le due esperienze sono state molto diverse, l’intensa collaborazione necessaria per creare La Casa  ha ricordato a Tapert quella cementata nel primo film con gli altri partners.

“L’originale La Casa  è stato duro e impegnativo fisicamente, ma è stata una magnifica esperienza per Sam, Bruce e me”, dice. “E infatti da allora, sono passati 32 anni, siamo amici. Questo film è stato molto meno faticoso perché il denaro ha risolto tanti problemi, ma soprattutto è stato grandioso tornare a lavorare con Sam e Bruce. E’ stato un vero piacere  anche lavorare con Fede. Ha tutte le qualità che io cerco in un regista. Anche se questo era il suo primo film, lavora da anni sui set e insegue la sua visione finché la cattura. Lavorare con uno come lui, per me, è stata la parte migliore del processo e non vedo l’ora di sapere quale sarà il suo prossimo progetto”.

Anche Campbell è entusiasta del film: “In questo film sono migliori non solo la recitazione e gli effetti speciali, ma anche la fotografia. Questa volta non c’è il tubo da giardino per schizzare il sangue, ma tecnologie all’avanguardia. Spero che un giorno, ci sia un maledetto doppio spettacolo dei due La Casa. Vorrei farlo alla Alamo Drafthouse di Austin. Credo che sarebbe fantastico .” .

Impostazioni privacy