St. Vincent
St. Vincent

St. Vincent, la recensione


'St. Vincent' è un'opera prima che deve gran parte della sua discreta riuscita ad un adorabile Bill Murray. Nonostante una sceneggiatura piatta e poco originale, nel rapporto tra Vincent e Oliver, la pellicola riesce comunque ad emozionare.
Voto: 7/10

Theodore Melfi è un rinomato regista pubblicitario che ora tenta il salto nella cinematografia con il suo film d'esordio, St. VincentLa pellicola è quasi interamente incentrata sulla figura sgorbutica ma al tempo stesso adorabile di Vincent, interpretato da un sempre magnifico Bill Murray. Vincent è un uomo come ce ne sono tanti, a questo mondo. Vive a Brooklyn – nella parte più operaia e decadente, non quella alla moda che il cinema rimanda con precisione quasi inquietante -, in un continuo stato di caos, diviso tra le scommesse ai cavalli e i tentativi amoreggianti con una prostituta russa che ha le sembianze di Naomi Watts. La vita di Vincent cambia quando vicino a casa sua si trasferiscono Maggie (Melissa McCarthy) e suo figlio, al quale ben presto Vincent dovrà fare da baby sitter visto che Maggie, radiologa, è spesso impegnata a lavoro.

St. Vincent è Bill Murray; ci troviamo infatti davanti ad una pellicola in cui tutte le qualità sono racchiuse nella scelta azzeccata di un interprete che riesce a dare il meglio di sé proprio quando si trova ad interpretare uomini comuni, scevri di qualsiasi potenziale speciale o particolare. Murray mette tutta la sua arte a disposizione di questo personaggio un po' sgradevole, che porta un bambino nei luoghi meno indicati per l'infanzia e sembra non curarsi di niente, neanche di se stesso. Un uomo che non è alcolizzato, ma che non rinuncia ad alzare di tanto in tanto il gomito perchè, diciamocelo, la vita sa essere infidata e crudele. L'interprete, con la sua verve e la buona alchimia con gli altri professionisti, riesce quasi a nascondere i problemi legati ad una sceneggiatura piuttosto piatta e vuota.

Quanto a contenuto, infatti, St. Vincent non mostra niente di nuovo, anzi; si inserisce alla perfezione in una certa corrente indie con tutti i cliché ad essa legati. Tra famiglie allargate e al limite dell'assurdo, toni sommessi e un budget relativamente basso, Theodore Melfi utilizza tutti gli strumenti a disposizione e lo fa con una certa consapevolezza che ammorbidisce il giudizio legato alla banalità di sviluppi e situazioni già viste varie volte al cinema, anche con risultato decisamente migliori. Il regista – che ha dichiarato di aver dato vita a questa storia partendo da un fatto personale – sembra interessato a raccontare semplicemente questa storia e sa che, per farlo, può attingere ad una serie di meccanismi che mette in scena con una precisione svizzera. Lo spettatore si trova così davanti ad uno schermo di cui conosce già perfettamente il funzionamento e lo svolgimento della diegesi si srotola senza sorprese verso un prevedibile e fin troppo buonista happy ending.

Detto questo, però, va anche riconosciuto a St. Vincent il merito di essere un prodotto che si presenta esattamente per quello che è: senza fronzoli o velleità artistiche, la pellicola di Melfi è il ritratto posato di un uomo ormai anziano che forse non è ancora del tutto pronto ad accettare l'idea di dover tirare le somme di una vita tutt'altro che soddisfacente. A lenire questo senso di inevitabile e nefausto destino arriva però Oliver ed è sul rapporto tra i due che il film convince con più forza.

Valutazione di Erika Pomella: 7 su 10
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